Dara Marks e il Punto di Vista Tematico
La celebre story editor Dara Marks individua due elementi chiave nella struttura di una storia: il Tema e il Punto di vista tematico.
Il Tema è il soggetto della storia, ovvero l’argomento attorno al quale ruota l’intera vicenda. Di conseguenza, il Punto di vista tematico è la declinazione del Tema nella storia, ovvero il modo in cui quell’argomento viene interpretato ai fini della trama.
Ma facciamo qualche esempio.
in Romeo e Giulietta, il Tema della storia è l’Amore e il Punto di vista tematico è: «L’amore resiste anche alla morte». Perché? Perché Romeo e Giulietta si uccidono per unirsi, almeno, nella morte. Perché non possono vivere l’uno senza l’altra.
Il fine ultimo è l’amore, non la morte, e l’amore resiste anche alla morte. Questa è la tesi di Romeo e Giulietta.
Al contrario, non potremmo definire il Punto di vista tematico «La morte vince sull’amore». In tal caso, infatti, i due non si sarebbero uccisi. Suicidandosi, paradossalmente, Romeo e Giulietta hanno scelto l’amore, non la morte.
In Qualcuno volò sul nido del cuculo, qual è il soggetto della storia? Ricordiamo tutti come McMurphy porti una ventata di vita nell’ospedale psichiatrico, come rivoluzioni il sistema e cerchi di rivitalizzare gli internati. Gite, donne, giochi, eccetera. E quelle persone cambiano, assaporano la spensieratezza per la prima volta da quando risiedono in quella triste prigione.
La forza vitale di McMurphy emana da ogni scena. Essa trascina, nella sua frenesia, persone che erano “morte dentro” e le risveglia, nonostante l’esistenza patetica che devono sopportate tra quelle quattro mura e le leggi draconiane imposte dalla caporeparto Ratched.
Il Tema attorno al quale ruota la vicenda sembrerebbe essere, dunque, lo spirito umano. Ma in che modo lo spirito umano influenza la narrazione? Sotto quale luce? Come viene dipinto a noi spettatori e sotto forma di cosa plasma i protagonisti e la trama?
McMurphy viene lobotomizzato (climax) e la sua storia termina con l’oblio, ma il film continua: Grande Capo eredita lo spirito del protagonista e fugge dall’ospedale psichiatrico (risoluzione). Il Punto di vista tematico è: «Lo spirito umano è insopprimibile». Perché? Perché è il motivo che si ripete fino alla risoluzione la quale, a sua volta, lo ribadisce e cristallizza.
Se t’interessa l’argomento, fai un salto sulla rubrica Scrivere una Storia!
Pensateci: se il film si fosse concluso con la lobotomia del protagonista, non sareste rimasti delusi? Perplessi? E non solo perché non è un happy ending, ma perché cozza col resto del film. Questo è infatti univocamente trascinato dallo spirito incontenibile e inarrestabile di McMurphy, di scena in scena, e non dal fatto che sfidare l’autorità porti alla morte.
Del resto, la vicenda non ruota né attorno all’autorità né alla morte. Quest’ultima appare, in senso lato, solo alla fine; l’autorità, invece, è presente e atroce, ma solo in determinate scene, in forma di conseguenza e non riesce mai a prevalere. Il Tema della storia è un altro.
Ogni volta che viene punito, McMurphy escogita qualcosa e, con le sue azioni, ribadisce che lo spirito umano non può essere schiacciato. Concludere il film con la lobotomia avrebbe lasciato gli spettatori con l’amaro in bocca, con la sensazione di un film tronco. Non avrebbe avuto lo stesso successo.
Il Vero Potere del Tema
Per molti autori, Tema e Punto di vista tematico sono la stessa cosa. Non hanno tutti i torti: una data storia non parla genericamente d’Amore (Tema), ma di come l’Amore sia una seccatura, una via d’uscita dalla depressione o chissà cos’altro (Punto di vista tematico).
Nell’ottimo Story, Robert Mckee scrive:
«Il termine tema è diventato un vocabolo piuttosto vago nel vocabolario dello scrittore. “Povertà”, “guerra” e “amore”, per esempio, non sono temi: si riferiscono all’ambientazione o al genere. Un vero tema non è una parola, ma una frase – una frase chiara e coerente che esprima in modo irriducibile il significato di una storia. Io preferisco l’espressione idea di controllo, perché, come per il tema, esprime la radice della storia o l’idea centrale, ma indica anche la sua funzione: l’idea di controllo modella le scelte strategiche dello sceneggiatore. È un’ulteriore disciplina creativa che guida le vostre scelte estetiche verso quello che è appropriato oppure inappropriato nella vostra storia, verso ciò che è espressivo della vostra idea di controllo – e va quindi tenuto – rispetto a ciò che invece è irrilevante e va dunque eliminato»
Non sono d’accordo. Mckee è stato furbo nella sua disamina, e ciò non aiuta nessuno. Per iniziare, “amore” non è un genere, perché un’opera di qualsiasi genere può ruotare attorno a una storia d’amore. L’etichetta di romanzo rosa, infatti, si riferisce a uno stereotipo più che a un genere letterario.
Direste, per esempio, che Source Code non è un film di fantascienza? Che Final Fantasy VIII o FFX non sono videogiochi di genere fantastico? Che La Spada Spezzata di Poul Anderson non è un dark fantasy? Che Pan di Knut Hamsun non è un romanzo mainstream?

L’amore può essere marginale o fondamentale in qualsiasi storia. Lo stesso dicasi della povertà o della guerra; possono costituire lo sfondo, certo, oppure essere al centro della narrazione.
Vero è che l’Amore (Tema) non può rappresentare il significato di alcuna vicenda, poiché si tratta di un semplice nome e non di una proposizione; di qualcosa, insomma, che è e basta. Non necessita di dimostrazioni, non sottende conflitti e così via.
Va detto, però, che indipendentemente dal modo in cui l’autore sfrutta o dipinge tale sentimento, la suddetta storia rimane una storia d’amore. Può essere di genere fantasy, come detto, o horror, ma è una storia d’amore.
Riprendendo l’esempio di FFVIII di poc’anzi, abbiamo una storia d’Amore (Tema) fantasy. FFX, invece, ha un altro Tema, nonostante la storia d’amore sia importante ai fini della trama. Si tratta, a mio avviso, di una vicenda fantastica incentrata sulla Morte. Il romanzo Pan, al contrario, è una storia di Passione.
Allo stesso modo, un romanzo che gravita attorno alla ricerca dell’immortalità da parte del protagonista è una storia sull’Immortalità, a dispetto del fatto che inseguirla sia giusto o un errore gravido di implicazioni psicologiche.
La differenza è sottile, ma importante. Se il Punto di vista tematico incarna la direzione, la convinzione che anima una storia, il Tema è il vero nucleo della stessa.
Prendiamo il videogioco Hollow Knight, per esempio. Un capolavoro indie, sviluppato da un piccolo team, che ha stregato milioni di giocatori. Qual è il punto di forza del titolo? Di certo non il gameplay o la formula metroidvania, entrambi di ottimo livello ma non innovativi.
Di certo non la grafica fotorealistica, trattandosi di un gioco in 2D, o lo storytelling “emergente” come in Dark Souls e praticamente assente.
No. Gran parte dell’impatto di Hollow Knight si deve alla sua visione artistica, al suo Tema.
Il gioco ci mette nei panni di un insetto umanoide, armato di aculeo (una sorta di stocco), e ci catapulta in un mondo fatto di grotte oscure e abbandonate da tempo immemore; di città sotterranee in decadenza; di labirinti in cui perdersi e tornare sui propri passi più volte, come da tradizione per un metroidvania.
Gli unici abitanti di questi cunicoli sono insetti come noi, ma aggressivi e privi di senno. Gusci vuoti di persone, come zombie affamati da cui dobbiamo difenderci col nostro aculeo.
Giungiamo, in prima battuta, al crocevia di Pulveria, unica zona franca abitata da un pugno di vecchi insetti ancora sani di mente. La musica di Christopher Larkin ci colpisce subito con le sue melodie desolanti, distanti, nostalgiche.
Il gioco è un susseguirsi di pericolse esplorazioni sotterranee in cui, poco alla volta, incontriamo personaggi, stralci di lore, nuovi poteri che ci permettono di raggiungere posti prima inaccessibili, biosfere in miniatura (L’Alveare, Picco di Cristallo, Canyon Nebbioso, Caverne Fungine ecc.) e, soprattutto, ciò che rimane della civiltà in rovina (Città delle Lacrime, Terre del Riposo, Idrovie Reali e così via).
Dalla descrizione del gioco:
Affronta le profondità di un regno ormai dimenticato.
Al di sotto della città decadente di Pulveria giace un antico regno ormai in rovina. Sono in molti a essere attirati sotto la superficie, per cercare ricchezze, gloria o risposte ad antichi segreti.
Qual è la fonte di questa nuova piaga? Quale calamità ha colpito questo grande regno? Per risolvere questi misteri sarà necessario intraprendere un viaggio nelle profondità più cupe, ma alcuni segreti sarebbe meglio lasciarli sepolti…

L’esperienza è la stessa per milioni di giocatori e si può condensare in un’atmosfera, una sensazione precisa che permea il gioco in ogni sua scelta di design.
Abbandono. Decadenza. Questo è il nucleo di Hollow Knight, il suo Tema, indipendentemente da ciò che si scopre dopo tante, tante ore di gioco e di ciò che accade nel finale. Una parola, non una frase.
Facciamo un altro esempio in tema videoludico: God of War (di cui ho recensito anche il romanzo). Inutile presentare questo gioco a chi abbia una PlayStation, ma per chi non lo sapesse si tratta dell’ultima iterazione dell’omonima saga ispirata alla mitologia greca. Qui, però, non ci troviamo nell’antica Grecia ma a Midgard, il regno degli uomini della mitologia norrena.
Attenzione: spoiler di seguito!
Kratos, il protagonista, è un semidio vendicativo proveniente da Sparta e reduce, negli altri giochi, da un massacro di Dei, incluso il parricidio di Zeus. Nell’ultimo God of War, lo ritroviamo vecchio, cambiato, nascosto nelle terre innevate della Scandinavia con la sua nuova famiglia.
Il gioco si apre con Kratos e Atreus, suo figlio, alle prese con la morte della madre di quest’ultimo e moglie di Kratos, Faye. I due devono partire alla volta del picco più alto di Midgard per portarvi le ceneri della defunta, come ella desiderava.
Kratos ha nascosto il suo passato e la sua natura divina al figlio, per tutti questi anni. Le atrocità compiute e subite lo tormentano ancora, ma lui riesce a ricacciarle nel profondo e a tenerle sopite, finché il “problema” non bussa alla porta: gli Dei norreni sanno di Kratos e lo prendono di mira, per un motivo sconosciuto.
Comincia, dunque, il viaggio del duo padre-figlio nelle terre norrene. Viaggio in cui la natura di Kratos viene tirata in ballo a più riprese ed è costretta a emergere per il bene di Atreus stesso (che rappresenta la Posta in gioco).
Alla fine, come ci si aspetterebbe, Kratos accetta il suo passato e la sua natura, cambiamento simboleggiato da una delle scene più potenti: il ritorno di Kratos alla baita di famiglia in cui ripesca, nel sottoscala, le antiche e sanguinose Lame del Caos donategli da Ares, con le quali ha mietuto innumerevoli vittime innocenti o meno.
Il Tema della storia riguarda l’Identità di Kratos. Identità che ci viene raccontata in ogni svolta della trama, certo, nell’ottica del rifiuto, del rimorso e, dopo, dell’accettazione. Identità, però, che si concretizza nella divinità di Kratos e di suo figlio, poiché di Dei si tratta, nonostante Kratos affermi più volte di odiare le divinità e intimi al figlio di stare lontano da esse.
A differenza di Hollow Knight, la narrazione in God of War è classica. Ma scordatevi la trama per un momento.
Il Tema è letteralmente dappertutto: dai combattimenti, in cui Kratos esprime la sua divinità attraverso poteri devastanti e lotta oltre ogni limite umano, alle ambientazioni, permeate dalla divinità e identità norrena.
Ogni passo nelle terre di Midgard ci mostra località maestose e segnate dai prodigi degli Dei; luoghi conditi di rune, sortilegi, maledizioni ed emissari degli Dei stessi; tracce che raccontano le tantissime storie della mitologia norrena e dei suoi protagonisti e così via. Si parla di Dei sempre e comunque, anche nei dialoghi meno importanti, e Kratos, per andare avanti, deve sempre ricorrere alla sua natura sovrumana.

Questo aspetto è sottolineato da scelte stilistiche precise, come l’uso di una tonalità fluorescente di blu per le fonti di potere soprannaturale. L’art design è eccezionale sotto ogni punto di vista, comunque, e trabocca di dettagli ispirati alla mitologia.
Il Tema di God of War la fa da padrone e supera, a mio avviso, il pur ottimo storytelling del titolo. Ciò che mi ha fatto innamorare del gioco è proprio il costante senso del meraviglioso che lo permea, la divinità che il gioco emana da ogni anfratto.
Giocare a God of War significa essere catapultati nella paganità come se esistesse ancora. La divinità è reale, quotidiana, collettiva; la si tocca e vive come se risiedesse in ogni cosa e non fosse relegata a un’idea astratta, individuale, remota come nel caso dei monoteismi. Gilgamesh di Robert Silverberg sortisce un effetto analogo.
Allo stesso modo, mi sono innamorato di Hollow Knight per il senso dolceamaro di decadenza e abbandono che lo attraversa da cima a fondo, nella società morente di Nidosacro.
Conoscere il Tema della propria storia è fondamentale, poiché permette di far emegere l’essenza stessa di ciò che scriviamo. Una ricchezza e pregnanza di dettagli simile a quella descritta poc’anzi è impossibile se non ci si concentra su tale aspetto; le descrizioni non avranno mai una portata emotiva o sensoriale lontanamente paragonabile.
E noi vogliamo generare sensazioni e sentimenti nel lettore coi nostri scritti. Non li vogliamo duri e impassibili come ciocchi di legno, giusto?
Occorre ribadire il soggetto della storia il più frequentemente possibile attraverso i giusti dettagli, le scene che ne esprimano il Punto di vista tematico, i giusti dialoghi e così via.
Il risultato è un lavoro di gran lunga più distinto, coeso, potente e influente di uno in cui il Tema ha svolto il suo lavoro in sordina, o di uno in cui ci si è preoccupati di inserire solo la tesi della storia nei momenti chiave.
La Premessa di Lajos Egri
Accantoniamo il Tema per un istante e torniamo alla sua declinazione, il Punto di vista tematico.
È facile perdere la bussola quando si scrive un romanzo. A maggior ragione, è facile smarrirsi quando si scrive senza criterio. Ecco perché abbiamo bisogno di imprimere una direzione alla storia e, allo stesso modo, ne abbisogna il lettore.
«Sì, tutto molto bello e interessante, ma dove vuole andare a parare?», vi sarete chiesti dopo aver letto un libro o dopo aver visto un film. Capita che manchi quel qualcosa a una storia con una trama interessante, magari ben scritta o ben recitata.
Quando ci viene un’idea e iniziamo a scrivere un romanzo, è naturale che quell’idea contenga una convinzione. Magari non ce ne rendiamo conto (accade spesso), magari è una convinzione inconscia. È inevitabile: si scrive per dimostrare qualcosa, anche nel caso della narrativa e perfino del genere comico.

L’arte per l’arte non basta; qualcosa ci spinge a raccontare una storia più della storia stessa. Ebbene, quel qualcosa, la direzione che permea la storia, si chiama Premessa (Premise), secondo Lajos Egri. Una concezione del tutto simile al Punto di vista tematico, che la Marks ha probabilmente mutuato da Egri. Ma con dei piccoli distinguo.
La Premessa è la constatazione di ciò che capita ai personaggi quale risultato del conflitto di fondo all’interno della storia.
Di contro, il Punto di vista tematico non è necessariamente connesso al conflitto. Esso esprime la nostra interpretazione del Tema, ovvero il “punto di vista” che adottiamo riguardo a quello specifico argomento (per approfondimenti sulla struttra della Marks, leggi il mio articolo sull’Arco di trasformazione del personaggio).
La Premessa de Il Vecchio e il Mare di Hemingway è, per esempio, «La perseveranza porta alla redenzione». in Madame Bovary di Flaubert, la Premessa è «L’amore illecito conduce alla morte». In Pan di Knut Hamsun, la Premessa potrebbe essere «La passione amorosa tormenta il cuore fino a prosciugarlo». Ne Il Padrino, la Premessa è: «Il senso di fedeltà nei confronti della famiglia conduce a una vita criminale». La Premessa de L’epopea di Gilgamesh è senz’altro «Neanche l’uomo più forte, saggio e coraggioso può sfuggire alla morte».
Come potete notare, è facile scorgere il Tema in queste formulazioni. Quello di Pan è proprio la Passione, quello de Il Vecchio e il Mare è la Perseveranza, mentre il Tema di Gilgamesh è certamente la Mortalità, condizione a cui l’eroe tenta in ogni modo di sfuggire.
Il re si è disteso e non sorgerà più,
il signore di Kullab non sorgerà più;
egli ha vinto il male, non verrà più;
benché fosse forte di braccio, non sorgerà più.
Saggezza aveva e un viso aggraziato, non verrà più;
se ne è andato nella montagna, non verrà più;
giace sul letto del fato, non sorgerà più,
dal giaciglio dai molti colori non verrà più.
I Sumeri conoscevano la Premessa o il Tema? Ovviamente no. Ma, come specificato precedentemente, apportare un senso, una direzione a uno scritto è un atto del tutto naturale e ogni storia ha uno o più soggetti centrali (Vita e Morte, l’Amore, la Felicità ecc.).

Molti romanzi hanno un leitmotiv preciso, sebbene l’autore non ne fosse cosciente al momento della scrittura; moltissimi altri hanno un abbozzo di Premessa poco coerente o molteplici Premesse contemporaneamente. Ecco perché è necessario studiare l’argomento e gestire la tecnica con criterio.
Un ottimo metodo per scovare la Premessa di una storia, ci insegna Egri, è quello delle “tre C“. Una Premessa efficace è infatti composta da: un Carattere, che affronta un Conflitto la cui risoluzione porta a una Conclusione. “CCC“.
Es: un codardo (Carattere) combatte in prima linea nella Grande Guerra (Conflitto) e diventa un ardito scalmanato (Conclusione). L’amore adultero (Carattere) porta alla (Conflitto) lapidazione (Conclusione). Nemmeno (Conclusione) un ospedale psichiatrico può schiacciare (Conflitto) lo spirito umano (Carattere).
Attenzione: in alcuni dei succitati casi il Carattere, inteso in senso lato, s’indetifica con il Tema, ma non è necessario che sia così. Spesso, il Carattere è assimilabile al difetto fatale del personaggio, ovvero al suo stato precedente al Conflitto che porterà, nella Conclusione, a un cambiamento.
Tornando a noi, ricordate che la Premessa è una verità assoluta all’interno della storia. Ma solo nella storia, intendiamoci. Possiamo avere Premesse come «Mangiare i bambini porta alla felicità», se queste sono verificate e soddisfatte dalla trama.
Occorre tuttavia che l’autore creda alla Premessa che afferma, altrimenti essa non sarà altrettanto sentita e permeante. Se non si è convinti dell’affermazione su cui si fonda il romanzo, questa non trasparirà a dovere e scrivere la storia potrebbe risultarci perfino sgradevole.
Ma soprattutto, perché basare un romanzo su una Premessa alla quale non si crede? Il romanzo è proprio il pretesto, il mezzo attraverso cui poter esprimere le proprie convinzioni. E tutti, nessuno escluso, siamo saturi di convinzioni. Esse, però, devono essere precise.
Proposizioni come «La vita porta alla morte» o «La vita è breve» o ancora «La guerra genera sofferenza» non sono buone Premesse, perché si tratta di constatazioni e non di convinzioni. Siamo tutti a conoscenza di tali verità, non serve riaffermarle e non interessa a nessuno che ciò accada.
Per quanto riguarda il Tema, esso non esprime nulla di per sé. Non si può credere nella Sete di vendetta, nell’Ambizione, nell’Empatia e nel Disprezzo ecc. Esistono e basta, sono parte della vita. Tuttavia, consiglio di scrivere storie i cui Temi siano particolarmente affini alla proprio personalità.
Se siamo ossessionati dalla Paura della morte, per esempio, questo sarà un Tema che sapremo portare alla luce e cristallizare nel migliore dei modi.
Una storia senza un Tema è una serie incoerente di temi
Si possono avere due Premesse o Punti di vista tematici nella stessa storia? No. Per dirla come Lajos Egri, sarebbe come tirare un carro in due direzioni opposte. Non si può andare a destra e a sinistra, ma solo a destra o a sinistra.
Mettiamo che la vostra Premessa sia «La vera amicizia ti riempie la vita e poi la distrugge». In tal caso, probabilmente, il romanzo si baserà su due amici che, insieme, affrontano la vita (status quo).

Con l’introduzione di un elemento di conflitto (una donna?), le cose precipitano rapidamente finché i due amici non si uccidono a vicenda. La Premessa è dunque rispettata dall’inizio alla fine e, si spera, in tutti capitoli che compongono il romanzo.
Ora, proviamo ad aggiungere alla formula una seconda Premessa, magari collegata (altrimenti è troppo facile): «L’amore genera sofferenza». Se i due non si fossero innamorati di quella donna, del resto, la storia non sarebbe finita così.
Se il Tema è la Vera amicizia e la storia ruota intorno al rapporto che intercorre tra i due amici, è chiaro che essa risponderà solo alla prima Premessa.
La chiave interpretativa degli eventi è il rapporto fraterno che interessa i due protagonisti, la capacità di affrontare insieme gli ostacoli della vita, la competizione per l’oggetto dei loro desideri (la donna), che si trasforma in una lotta fratricida.
L’amore, nell’ottica di questo Punto di vista tematico, è una scusa, come poteva esserlo un tesoro dalle immani ricchezze.
Se volessimo modificare la struttura della vicenda per inserire la seconda Premessa, dovremmo cambiare il Tema in Amicizia e Amore e inserire l’Amore (ora co-soggetto della storia) fin da subito.
«L’amore genera sofferenza» non potrebbe mai funzionare se comparisse solo a un certo punto della storia, poiché il resto si fonderebbe esclusivamente su «La vera amicizia ti riempie la vita e poi la distrugge».
E noi non vogliamo due storie separate, giusto?
Proviamoci, dunque. Il protagonista viene lasciato dalla fidanzata («L’amore genera sofferenza») e l’unico a consolarlo è il suo migliore amico («la vera amicizia ti riempie la vita»).
I due si sostengono a vicenda, superano gli esami universitari aiutandosi l’un l’altro ecc. Notate che abbiamo soddisfatto le due Premesse (o parte di quella sull’amicizia) già nell’incipit.
In segreto (ha paura di essere giudicato), il protagonista va a prostitute in cerca di quell’affetto di donna che non ha più. Si innamora di una di loro e la fa uscire dal giro, ma il suo migliore amico scopre tutto e si oppone alla relazione. L’amico crede, infatti, che la donna continui a vedere altri uomini e stia sfruttando il protagonista per i suoi soldi.
Al protagonista vengono dei dubbi, che feriscono la donna. Lei pensava che il loro fosse un amore puro, speciale, di cieca fiducia. Per ripicca, dunque, la donna decide di non chiudere il rapporto che ha con i suoi clienti “migliori”.
Nel frattempo, l’opposizione dell’amico s’inasprisce e questi diventa un ostacolo alla felicità del protagonista, che lo picchia e lo taglia fuori dalla sua vita (climax). Nella risoluzione della storia vediamo il Nostro che torna a casa da lavoro, mesto, e trova la sua donna a letto con dei clienti. Quindi, esce e va a ubriacarsi per soffocare il suo dolore.
Ecco, in questo polpettone ho cercato di inserire entrambe le Premesse, ma non funziona! Restano due storie parallele che si legano soltanto a tratti: da una parte l’amore ricercato dal protagonista, che lo porta a frequentare prostitute di nascosto, a lasciare il suo migliore amico e a penare per il resto della vita («L’amore genera sofferenza»).
Dall’altra, la vicenda di due amici che si supportano finché uno dei due non tenta, in buona fede, di salvare l’altro, creando solo casini («La vera amicizia ti riempie la vita e poi la distrugge»).
Detto ciò, è la forza dell’amore a guidare il protagonista e a spingerlo a commettere le scelte sbagliate. Come diceva Egri? Si può tirare un carro solo in una direzione. È normale, dunque, che un significato prevalga sull’altro.
La storia ruota intorno al desiderio d’amore e non all’amicizia, perciò la Premessa è «L’amore genera sofferenza» con una irrealizzata «L’amicizia ti riempie la vita e poi la distrugge», che si può benissimo tagliare. Un aborto, insomma, nonostante il tentativo di fusione.
Avrei potuto creare qualsiasi combinazione, ma il risultato sarebbe stato il medesimo. Un mostro di Frankenstein. È come mescolare acqua e olio: i due elementi tendono a separarsi, indipendentemente dalle proporzioni. E queste determinano quale dei due sia quello “dominante“.
Ci può essere una sola Premessa/Punto di vista tematico. E cercate di essere specifici; non potrà che giovare alla linearità del romanzo.
Per quanto riguarda il Tema, è tutto molto più semplice. Ce ne può essere più di uno, purché collegato all’altro. I Temi di Arma Letale, per esempio, sono Vita e Morte, legati dal Punto di vista tematico di «Scegliere la vita».
È possibile anche avere un’accozzaglia di Temi, privi di collegamento e di un significato che li unisca. Tali storie presentano, di norma, un susseguirsi di vicende minori con le relative tesi.
Può capitare agli autori impreparati, soprattutto quando si scrive senza una pianificazione precedente e a “sentimento”. Siamo creature volubili: quello che sentiamo di dover esprimere oggi, sarà diverso da ciò che esprimeremo domani.
Ed ecco che l’eroe attraversa una catena di eventi e stati emotivi poco coesi, come succede alla nostra vita da borghesi da un giorno all’altro.
Alcuni manoscritti di questo tipo che mi sono capitati, nel tempo, sono etichettabili come romanzi di formazione. L’autore crede che far crescere un ragazzo immaginario tra mille avventure equivalga a scrivere una storia con un significato, ma non è così. Come non è vero che quel ragazzo abbia raggiunto la maturità, alla fine del libro.
Tutto ciò che accade deve avere un senso (Premessa/Punto di vista tematico), a differenza della vita vera, o è il nostro eroe a doverne inventare uno. Non basta che il ragazzo venga temprato fisicamente, nelle relazioni, nei valori ecc. dagli eventi, ma che questi lo aiutino a trovare la sua identità, attraverso un leitmotiv (Tema).
In un romanzo di formazione, come in qualsiasi altra storia, l’eroe non deve capire cosa sia giusto o sbagliato, ma cos’è davvero importante per lui. Chiaro, quindi, che uno scrittore impreparato (e, per giunta, privo di tale esperienza di vita) non potrà che usare surrogati morali e socialmente accettati al posto di Temi e Punti di vista tematici. Impropriamente.

A proposito…
La Morale
Il Punto di vista tematico è una cosa e la Morale è un’altra. Attenzione a non confonderle!
La Morale è un’interpretazione universale che si può trarre a posteriori dalla storia. Per es. il Punto di vista tematico de L’epopea di Gilgamesh è, secondo le parole di Utnapishtim, «Nulla permane». La Morale che ne traggo, invece, è che bisogna accettare il proprio destino invece di inseguire desideri futili e irrealizzabili.
La Premessa dell’ottimo Schegge di Paura è «La doppiezza morale conduce alla morte interiore», mentre la Morale che ne traggo io suggerisce di non essere opportunisti nella vita se si vuole avere la coscienza pulita.
Una storia deve essere fedele al proprio Tema e al proprio Punto di vista tematico, e non a una Morale. In caso contrario, si rischia di scrivere un romanzo didascalico. La Morale appartiene al lettore ed esula dalla narrazione.
E noi non siamo così narcisisti e bigotti da intrometterci nella storia per imporre i nostri valori al lettore, giusto?
E voi cosa ne pensate? Applicate Tema, Punto di vista tematico/Premessa alle vostre storie o lo fate inconsciamente? Siete contrari a quest’approccio? Ditemi la vostra nei commenti!
Se avete apprezzato l’articolo, non dimenticate di leggere gli altri della rubrica Scrivere una Storia!
15 risposte
Mi sto dilettando a scrivere un romanzo, il mio primo (ultimo?), e credo di non essermi mai soffermato su quale fosse la mia premessa. Fin da quando ho iniziato a scrivere ho sempre avuto in mente una storia abbastanza ben delineata, così come sono sempre stato consapevole del motivo che mi ha spinto a cominciare l’impresa; quello su cui non avevo mai riflettuto era l’idea portata avanti capitolo dopo capitolo.
Mi sono chiesto: ma il mio racconto ce l’ha una premessa? La risposta è che sì, ce l’ha, ma non me ne sono reso conto fino a quando non ho letto questo articolo. E’ qualcosa che ho fatto inconsciamente, senza prestarci attenzione ma, ora che inizio a unire i puntini, mi è stata subito evidente l’idea che volevo comunicare.
Forse, però, non è tanto un’idea che voglio comunicare all’esterno, quanto un principio che sento il bisogno di ripetere a me stesso; una sorta di promemoria sullo spirito che vorrei animasse le mie azioni e il mio modo di affrontare le cose. Una specie di catarsi ma anche di auto-motivazione.
Ciao Tyler, benvenuto nel blog!
Capisco che intendi, perché ebbi la tua stessa esperienza con il mio primo romanzo. La differenza è che, nel mio caso, la Premessa che animava le scene era un’idea che volevo comunicare al lettore. Era un po’ l’intento del romanzo, e lo facevo in modo piuttosto goffo e forzato in certi punti, tanto da risultare didascalico. Infatti l’opera finita risultò essere una schifezza mal scritta, un coacervo di generi letterari, eccetto per questo filo conduttore. Ma era il mio primo tentativo, eh…!
Credo che le “opere prime” tendano ad avere una Premessa più spesso del normale, proprio per quel dover “buttare fuori” caratteristico del neofita. È una cosa positiva e da non sottovalutare (e qui sbagliai col mio secondo romanzo), quindi fanne tesoro!
Ho letto questo articolo con particolare interesse, penso che sia molto istruttivo, sia per chi vuole cimentarsi per la prima volta nella scrittura, sia per chi scrive già,e magari vuole approfondire un pò la teoria. Trovo il blog davvero ben fatto, molto curato in tutti i particolari, le immagini sullo sfondo sono davvero molto belle. Continuerò sicuramente a leggere gli articoli che verranno pubblicati perché li trovo davvero esaustivi. Per non parlare della radio che si può ascoltare mentre si legge.
Complimenti davvero ottimo lavoro.
Grazie mille e benvenuto! Sono sicuro che i prossimi articoli soddisferanno le tue aspettative! Le illustrazioni nell’header e nello sfondo appartengono a Georges Le Mercenaire, come segnalato in fondo alla pagina.
Aggiornato! (19/12/17)
Mi piace molto il tuo blog. ?
Grazie Judith! Benvenuta 🙂
Le coordinate per ascoltare la radio ?
Ciao Pier Paolo, purtroppo ho rimosso la feature della radio alcuni anni fa. Se non ricordo male, però, si trattava della new retrowave radio
Ciao, complimenti per il tuo blog ricco di argomenti molto interessanti. Vorrei chiederti un chiarimento xché non ho capito del tutto la differenza tra Premessa e Punto di vista tematico. Ad esempio ne “Il vecchio e il mare” dici che il tema è la perseveranza, la premessa è che la perseveranza porta alla redenzione. E il pdv tematico? Non è lo stesso della premessa? Se puoi chiarirmi questo aspetto ti ringrazio molto. Ti seguo con interesse.
Ciao Elisabetta, benvenuta nel blog! Esattamente, la premessa e il punto di vista tematico sono essenzialmente la stessa cosa. La prima è stata individuata da Egri, il secondo da Dara Marks. L’unica differenza, a conti fatti, risiede nel modo in cui premessa e pdv tematico vengono formulati, ma si tratta di un dettaglio formale e insignificante, tant’è vero che uso i due termini indistintamente.
Mi pare nel video o forse in un altro video affermi che il romanzo rosa o romance, per essere definito tale debba avere delle caratteristiche precise. Sapresti indicarmi risorse dove poter apprendere queste nozioni? o fai un video tu!? 😀
Grazie
Ciao Cane. Non sono esattamente un fan del romance, ma trovi informazioni relative al genere facilmente in rete, a partire da wikipedia. Non credo che farò un video in merito, ma mai dire mai!