Cos’è lo Stile di Scrittura? Alcune Definizioni
Quando si parla dei pregi (e dei difetti) di un romanzo, si fa spesso riferimento allo stile di scrittura, anche detto stile letterario. È il Santo Graal degli aspiranti autori, sempre alla ricerca di uno stile personale. Ma di cosa si tratta esattamente? Detta in parole povere, lo stile di scrittura è il modo in cui lo scrittore si esprime e trasmette le informazioni al lettore. È ciò che permette di far emergere la voce di un autore da un testo letterario.
Lo stile di scrittura è stato spesso accostato al linguaggio, attraverso il quale una storia può prendere vita. Parliamo della morfologia, della sintassi, la scelta dei termini… insomma, tutti quegli elementi che contraddistinguono la modalità di scrittura di una persona. E infatti, in teoria, lo stile letterario non sarebbe altro che quel pattern linguistico e narrativo caratteristico di un singolo autore a dispetto di tutti gli altri. Semplice, vero? Eppure, non lo è affatto.
La fonetica, la struttura delle frasi, la struttura dei paragrafi… sono solo alcuni degli elementi che formano lo stile di scrittura di un autore. Sì, perché se fosse solo una questione grammaticale relativa alla trasmissione di informazioni, lo stile letterario non sarebbe tale, ma riguarderebbe le opere di saggistica (o, più in generale, il campo della nonfiction). Tuttavia, qui stiamo parlando di narrativa; è possibile ridurre lo stile di Hemingway a punti e suoni? Ovviamente no.
Parlavamo di voce dell’autore, e la voce è stata spesso associata a tutto e al contrario di tutto. Per alcuni, la voce di uno scrittore si riferisce anche al tono di una storia; all’atmosfera; al punto di vista e al tempo della narrazione; alla modalità di narrazione (se didascalica, ironica, comica ecc.); finanche al genere letterario. Il motivo è semplice: ognuno di questi tasselli costituisce, nel complesso, la penna di uno scrittore, tanto da formare motivi, ripetizioni facilmente individuabili tra le parole che egli utilizza.
A proposito di parole: la si spaccia come una questione puramente linguistica, magari legata all’appartenenza dell’autore, ma anche la scelta dei termini comporta delle implicazioni problematiche. Certo, è possibile distinguere uno stile di scrittura rispetto a un altro in base al registro: a parità di contesto, qualcuno potrebbe usare la parola “pappone” e qualcun altro il desueto “prosseneta“. C’è chi scrive in modo aulico e chi in modo volgare, per esempio. Ma ho detto, badate, a parità di contesto.

E se il contesto non fosse uguale?
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Forma e Contenuto. Forma è Contenuto?
Abbiamo accennato, precedentemente, al punto di vista, elemento tra i tanti dello stile letterario. Ebbene, la scelta del punto di vista è strettamente legata al registro. Se i pensieri appartengono a un contadino, non penserà e non si esprimerà come un principe. A questo punto, il registro cessa di essere un aspetto squisitamente linguistico del testo e diventa parte della storia. La voce dell’autore, lo stile di scrittura, si sposta dalla forma al contenuto.
Pensateci: se la scelta dei sinonimi riguarda lo stile, perché non la scelta delle immagini? Uno scrittore potrebbe citare, nella composizione di una scena, un gran numero di particolari truculenti e sanguinolenti, mentre un altro potrebbe glissare. I dettagli che nota il personaggio; le descrizioni che riporta l’autore; perfino la maniera in cui questi affronta gli argomenti di una storia, non sono forse parte della voce di uno scrittore?
Siamo ben oltre la forma. Lo stile di uno scrittore fa riferimento anche ai temi a lui cari. Alla declinazione che prende il genere che è solito esplorare, come gli horror paranormali di King e la fantascienza letteraria di Silverberg. Ai personaggi ricorrenti in cui, con verve autobiografica, si riversa. Al suo modo di utilizzare la suspense e gestire la tensione, come De Palma nel cinema. C’è una linea sottile che divide forma e contenuto: lo stile di scrittura è lì al confine, dove forma e contenuto si fondono e confondono.
Separo la questione dello stile in due categorie generali: la selezione dei contenuti e la selezione delle parole. La ‘selezione dei contenuti’ riguarda quegli aspetti che uno scrittore sceglie di comunicare… Dovrei descrivere lo scenario? includere un dialogo? narrare i loro pensieri? Quella è la selezione dei contenuti. La ‘selezione delle parole’ è ciò che si associa comunemente allo ‘stile’: la scelta delle parole e dei metodi di costruzione delle frasi di uno scrittore.
Ayn Rand, da The Art of Fiction: A Guide for Writers and Readers

Siamo arrivati a un primo, importante punto, che tanti autori e insegnanti di scrittura creativa non sospettano neanche. Se lo stile di scrittura riguarda anche la storia, vuol dire che dipende in qualche misura da essa.
Come afferma John Gardner, autore del celebre manuale Il mestiere dello scrittore (tra gli altri), «L’argomento influenza lo stile». Secondo quest’ottica, un autore non ha uno stile letterario e basta. Adotta uno stile a seconda della storia che intende scrivere, poiché storie diverse richiedono approcci differenti. Gardner ci ricorda, infatti, che «Dire che uno stile pare appropriato a un argomento significa affermare, dunque, che esso ci permette di vedere l’argomento con chiarezza».
In un romanzo d’avventura avremo uno stile snello, carico d’azione. In un romanzo storico adotteremo uno stile di scrittura più ricco a livello linguistico, complesso e pieno di dettagli. In un diario autobiografico daremo più spazio alle introspezioni e ai monologhi interiori, mentre in un giallo ci concentreremo sulla trama, che sarà più intricata, e sui dialoghi. E così via.
«Assurdo!», griderà qualcuno. «Lo stile non dipende dalla storia, ma dall’autore! Che dire dei grandi della letteratura? Il loro stile era identico e riconoscibile indipendentemente dal romanzo». È una contestazione logica, vero? Vediamo se regge.
Il (Cattivo) Esempio dei Classici
Senza l’autore non ci sarebbe alcuna storia. Non c’è dubbio in proposito. D’altro canto, le persone non sono intercambiabili: vissuto, contesto, biologia… ogni singolo elemento che compone la nostra identità è in grado di differenziare la nostra penna. Prima ho affermato che lo stile di scrittura dipende dalla vicenda, ma è altrettanto vero che, se mostriamo determinate preferenze in fatto di storie, personaggi, temi, scene e così via, il motivo dipende da noi. E basta.
La verità è che gli autori formano un tutt’uno con le loro storie, proprio come la forma si mescola al contenuto. Lo stile trasparente ed evocativo di Hemingway non avrebbe avuto senso nelle storie scritte da Dostoevskij. Le profonde introspezioni di quest’ultimo non avrebbero trovato posto nelle opere di Carroll. Non da un punto di vista linguistico, badate, ma per come sono state concepite. E gli scrittori tendono a esprimersi sempre nel medesimo modo, ovvero scrivendo storie simili tra loro.
Prendiamo Louis-Ferdinand Céline, uno degli autori stilisticamente più impressionanti della storia. Maestro dell’espressionismo in narrativa, Céline anima le sue storie con una voce scoppiettante, anarchica, nichilista, efferata, simile a un’infilata di mitragliatrice. Il suo argot punteggiato di sarcasmo è privo di qualsiasi compromesso e inibizione: è pura espressione dell’autore, che si manifesta con prepotenza in ogni suo romanzo.
Ebbene, andiamo a vedere questi romanzi. A partire da quel capolavoro assoluto che è Viaggio al termine della notte, troviamo un protagonista che narra in forma autobiografica. Protagonista che somiglia tanto, troppo al suo autore, per le sue esperienze e le sue opinioni… tanto che si è detto che Ferdinand Bardamu fosse l’alter ego di Céline. E di cosa si parla nel suddetto romanzo, se non della decadenza più estrema, della miseria, della morte, della sofferenza e del disgusto?
Viaggio al termine della notte è Céline in tutto e per tutto. È un suo diario personale, un pretesto per vomitare ciò che ha dentro. Come ogni singolo romanzo dopo di esso: tutti narrati in prima persona, tutti fortemente autobiografici, tutti percorsi dallo stesso nichilismo fiammeggiante… e da un linguaggio che si fa sempre più estremo, fino alla (onestamente ostica) Trilogia del Nord. La produzione letteraria segue l’iter del suo creatore.
Avete capito bene: a guardare oltre il velo, è sempre la stessa storia. È sempre Céline, proprio come Bukowski, che tanto prende dal maestro e per il quale il Voyage è il libro più bello scritto da duemila anni a questa parte.
Si potrebbe dire lo stesso di Drieu la Rochelle, ossessionato da sé stesso, dalla tragedia, dal suicidio e da certi personaggi ricorrenti. Di Knut Hamsun e le sue odissee bucoliche e decadentiste. Di Ambrose Bierce, Raymond Carver, Yukio Mishima, Edward Bunker, Luigi Pirandello. Perfino di Jack London, nonostante la sua sia una produzione eterogenea, e infatti il suo taglio naturalista varia parecchio. Zanna bianca e Il richiamo della foresta sono molto diversi dall’abissale Martin Eden (per me il suo capolavoro). Tutti e tre differiscono dai suoi racconti di fantascienza, eccetera.
Uno si preoccupa dello stile. Un altro cerca di scrivere meglio. Uno prova a essere semplice, chiaro e succinto. Un altro ancora aspira al ritmo e all’equilibrio. Uno rilegge la frase ad alta voce per sentire se suona bene. Uno ci mette l’anima. Resta il fatto che i quattro più grandi romanzieri mai venuti al mondo – Balzac, Dickens, Tolstoj e Dostoevskij – scrivevano nelle rispettive lingue in maniera alquanto noncurante. Ciò dimostra che se si sanno raccontare storie, creare personaggi, inventare episodi, e se ci si mette sincerità e passione, il modo in cui si scrive non conta. D’altra parte, è pur sempre meglio scrivere bene che scrivere male.
W. Somerset Maugham, da Taccuino di uno scrittore

Insomma, è vero che lo stile di tanti grandi della letteratura è costante, ma il motivo è che le storie sono costanti. Provate a scambiare le vicende e gli autori e avrete degli ibridi mostruosi. Inoltre, ciò che concerne la persona rimane un affare intimo, non un linguaggio mistico da imparare o trovare dentro di sé. Come afferma E. B. White, di cui parleremo tra poco, «Uno scrittore onesto e attento non deve preoccuparsi dello stile».
In definitiva, lo scrittore è la sua storia, e le sue storie. Come afferma Goethe nelle Conversazioni, «Se un uomo desidera scrivere con uno stile chiaro, lascia che abbia prima la mente chiara; e se qualcuno intende scrivere con uno stile nobile, lascia che possieda un animo nobile». Alcuni insegnanti di scrittura creativa vi diranno di prendere spunto dai classici. Sono degli idioti: non fatelo! È uno degli errori peggiori che possiate commettere! Lo stile letterario non si prende in prestito.
Voler scrivere come altri, indipendentemente dal loro successo, è uno sbaglio, perché non sarete voi. Finirete per corrompere le storie che volete narrare con delle sovrastrutture, le quali vi impediranno di essere voi stessi, nonché di emergere come vorreste dal testo. Al contrario, le acrobazie stilistiche finiranno per ostacolare la storia, che è già di per sé a vostra immagine e somiglianza. Ciò significa che tale riflesso ne sarà offuscato, come in uno stagno mosso da una sassaiola.
È un concetto molto diverso da quello che insegna la vulgata, in Italia, ma è uno su cui insisto particolarmente nelle mie sessioni di coaching narrativo. Non ci si deve ispirare ai classici; ciò che ci influenza agisce inconsciamente sulla storia e sulla prosa, in modo naturale. Al contrario, rifarsi a uno stile crea artefatti; artefatti che potrebbero cronicizzarsi nel tempo e diventare complicati da disimparare.
Lo Stile di Scrittura e l’Autore. Lo Stile è l’Autore?
Tanti neofiti si affannano per scrivere nel modo più lirico e articolato possibile, così da affermare un personale stile di scrittura, senza sapere che esso non va ricercato. Cosa rimane, allora? In che modo è possibile migliorare questo stile letterario, ammesso che esista e si possa definire come tale?
Semplice: se lo stile riguarda la storia, è sufficiente rimuovere l’autore e far emergere la storia. Vale a dire, scrivere nel modo più trasparente e chiaro possibile, così da non ostacolare il lettore nella comprensione degli eventi. Questo è lo stile di scrittura più appropriato secondo i grandi critici e autori di tutto il mondo ormai da quasi un secolo. Ed è lo stile che insegna la guida di stile per definizione: Elementi di stile nella scrittura di William Strunk jr. ed E. B. White.
Il libello fu composto da William Strunk jr. nel 1918 e pubblicato nel 1920, ma fu E. B. White, nel 1959, ad arricchirlo al punto da trasformarlo in un vero e proprio manuale. Da allora, Elements of style è andato incontro a dozzine di stampe e riedizioni. Parliamo di uno dei libri più influenti della storia, in fatto di scrittura: su di esso si sono formate generazioni di studenti e autori americani. Ciò nonostante, il libro si focalizza maggiormente sulla grammatica e risulta di gran lunga più utile a chi scrive in lingua inglese.

La sezione più interessante (e ancora attuale) per gli scrittori italiani è Un approccio alla scrittura, in cui l’autore rimarca più e più volte che «Lo stile è lo scrittore, e pertanto chi sei, piuttosto che ciò che sai, determinerà in ultimo il tuo stile». Per far emergere la propria personalità è sufficiente scrivere con sincerità, perché «Tutti gli scrittori, nel modo in cui usano il linguaggio, rivelano qualcosa della propria anima, delle proprie abitudini, capacità e preconcetti. Ciò è inevitabile, oltre che piacevole. La scrittura è comunicazione; la scrittura creativa è comunicazione attraverso la rivelazione – è il Sé che esce allo scoperto. Nessuno scrittore rimane a lungo in incognito».
Il sillogismo è chiaro. Se, come abbiamo accennato, lo stile è la storia, e la storia è l’autore, allora lo stile è l’autore.
Tuttavia, è importante scrivere «in modo da attirare l’attenzione del lettore sul senso e la sostanza della scrittura, piuttosto che sul tono e l’umore dell’autore. Se la scrittura è solida e di buona qualità, il tono e l’umore dello scrittore saranno rivelati alla fine e non a spese dell’opera. (…) per conseguire lo stile, inizia senza scimmiottarne alcuno – vale a dire, posizionati sullo sfondo. (…) Padroneggiando l’uso del linguaggio, il tuo stile emergerà, perché tu stesso emergerai».
Sono le stesse indicazioni che dà Jack London in alcune lettere, raccolte in Pronto soccorso per scrittori esordienti.
Trattandosi di narrativa, il lettore non vuole le tue dissertazioni sull’argomento, le tue osservazioni, il tuo sapere in quanto tale, le tue opinioni su tutto questo, le tue idee… Però metti tutte queste cose che ti appartengono NELLE STORIE, NEI RACCONTI, ELIMINANDO TE STESSO (tranne quando prendi parte all’azione in prima persona). E QUESTA SARÀ L’ATMOSFERA, E QUEST’ATMOSFERA SARAI TU, CAPISCI, TU, TU! E per questo, soltanto per questo, i critici ti loderanno, e il pubblico ti apprezzerà, e la tua opera sarà arte. In definitiva, solo allora sarai un artista; se non fai così, resterai un artigiano. È qui che sta tutta la differenza. Studia il tuo insopportabile Kipling; studia II riflusso della marea del tuo amatissimo Stevenson. Studiali e vedrai come riescono a eliminare se stessi e a creare cose che vivono, e respirano, e fanno presa sulla gente, e fanno in modo che le lampade per leggere restino accese fino a tardi. La creazione dell’atmosfera implica sempre l’eliminazione dell’artista, vale a dire, l’atmosfera è l’artista; e quando manca l’atmosfera e tuttavia l’artista è presente, vuol dire semplicemente che il meccanismo letterario cigola e che il lettore riesce a sentirlo.
Considerando quanto abbiamo detto, ha perfettamente senso. La prima regola, per ogni scrittore che ha intenzione di mettersi in gioco sul serio, è quella di abbandonare le sovrastrutture. Come riporta crudamente Elements of style, «La prosa ricca e barocca è dura da digerire, generalmente insalubre, e talvolta nauseante». Del resto, come ci ricorda Gardner, «Riguardo lo stile, meno se ne parla, meglio è. Niente porta alla fraudolenza più rapidamente della ricerca consapevole di un’unicità stilistica».
Uno stile di scrittura chiaro, trasparente, semplice e coinciso permette di far brillare la storia. Nelle Lezioni di scrittura creativa del Gotham Writers’ Workshop, considerata la più importante scuola di scrittura americana, Hardy Griffin scrive (nel capitolo La voce: il suono della storia):
I miei studenti spesso si confondono tra la voce di una storia e la voce dello scrittore, e hanno ragione. Se alcune opere dello stesso autore hanno un tono simile, le persone penseranno che quella sia la voce, o lo stile, di quello scrittore. Tuttavia, la cosa migliore che potete fare quando scrivete è concentrarvi sulla voce del narratore per ogni singolo racconto o romanzo. Un giorno o l’altro, un critico potrebbe accorgersi di ciò che hanno in comune le vostre variegate opere, e quindi scrivere un articolo lusinghiero che esalti la vostra voce di scrittore. Fino ad allora, però, il vostro compito è di concentrarvi su una voce per volta.

Il suggerimento è chiaro: la voce del narratore, che combacia col punto di vista, cambia in base alla storia e l’autore dovrebbe preoccuparsi di gestirla nel modo corretto, e non di curare un presunto stile di scrittura. A emergere dagli elementi comuni delle vostre storie, al contrario, siete proprio voi. Come persone, come anime, oltre che scrittori. Ancora una volta, lo stile è l’autore, ed esso si manifesta non nelle storie, ma attraverso di esse.
Pensate a questa evenienza: siete delle persone passionali, empatiche, altruiste e amate scrivere usando una prosa aulica e infiocchettata. Ebbene, vi trovate a scrivere una storia col punto di vista in prima persona, e la persona in questione è un individuo gretto, cinico, egoista, spiccio e arido di sentimenti. Chiaro che assecondare i vostri gusti non sia una buona idea, in questo caso; tuttavia, deve esserci un motivo se avete scelto di narrare la storia del suddetto individuo.
Può darsi che la storia porti l’uomo ad aprirsi alle emozioni. Può darsi che soccomba proprio a causa di questa chiusura. Può darsi che l’impianto tematico della vicenda si basi interamente su temi a voi cari, come l’isolamento, la solitudine e il raffreddamento che opera sugli individui; argomenti che avete già affrontato in altri romanzi, ma con un taglio diverso. Eppure, quegli elementi in comune restano, nonostante le scelte differenti in fatto di linguaggio, trama, personaggi o altro. E tali assonanze rivelano molto più di voi della prosa artefatta che avreste usato.
Diventare Bravi Scrittori
Nello stesso capitolo, l’insegnante afferma che «Le scelte stilistiche sono collegate alla personalità del narratore e al contenuto della storia», e che «Il cattivo stile spesso nasce quando uno scrittore prova a imitare lo stile di altri autori». È un avvertimento che danno tantissimi scrittori e insegnanti di scrittura creativa. Il motivo è semplice: imitare significa non essere sinceri; significa concentrarsi sulle parole piuttosto che sulla storia. Può avere senso, certo, ma solo se la storia lo richiede.
Nel buon manuale stilistico Word Painting: A Guide to Writing More Descriptively, di Rebecca McClanahan, l’autrice cita Elementi di stile nella sua bibliografia consigliata. E lo consiglia caldamente anche Stephen King, il maestro dell’orrore, nel suo manuale On Writing, nel quale aggiunge, tra le altre cose:
Mi avvicino al cuore di questo libro con due temi, entrambi semplici. Il primo è che la buona scrittura si basa sulla padronanza dei fondamentali (vocabolario, grammatica, elementi di stile) e sul fatto che la vostra cassetta degli attrezzi contenga, al terzo livello, gli strumenti giusti. Il secondo è che, sebbene sia impossibile estrarre uno scrittore competente da un cattivo scrittore, e sia ugualmente impossibile tirar fuori un grande scrittore da uno bravo, è invece possibile, con molto duro lavoro, dedizione e aiuti tempestivi, trasformare in bravo uno scrittore che è solo competente.
Temo che questo mio concetto sia respinto da molti critici e numerosi insegnanti di scrittura. Molti di costoro sono di larghe vedute in politica ma arroccati sui propri principi nei rispettivi campi di attività. Uomini e donne pronti a scendere in strada per protestare contro l’esclusione degli afroamericani o dei nativi americani (mi immagino che cosa avrebbe detto il signor Strunk di questi termini politicamente corretti ma così goffi) dal country club locale sono spesso gli stessi uomini e le stesse donne che dicono ai loro allievi che la capacità di scrivere è fissa e immutabile; se scarso sei, scarso resterai. Anche se si conquisterà la stima di uno o due critici influenti, lo scrittore si porterà sempre dietro la reputazione precedente, come una rispettabile donna sposata che è stata un po’ troppo esuberante da ragazza. Certa gente non dimentica mai, tutto qui, e gran parte della critica letteraria ha la sola funzione di consolidare l’inaccessibilità di una casta che è antica quanto lo snobismo intellettuale che la nutre.
Se lo stile è lo scrittore, e lo scrittore si manifesta attraverso le storie, allora… allora se creerete delle belle storie e le trasmetterete in modo chiaro e trasparente, potrete diventare dei bravi scrittori. Occorre concentrarsi sulla vicenda, non sulle parole; soltanto così queste verranno in modo naturale, autentico e appropriato alla vicenda stessa, permettendovi di permeare l’opera senza essere visti. Come afferma Steinbeck, «Non appena la storia ha inizio, il suo stile definirà sé stesso». Il suo stile, cioè quello della storia. Non dell’autore.

“Scrittori si nasce” è un concetto a dir poco sorpassato, sebbene la casta a cui si riferisce King sia ben in salute in Italia. Non fatevi scoraggiare: non occorre diventare acrobati da dizionario o filosofi a tempo perso per avere un buono stile, né per pubblicare romanzi in grado di toccare la gente.
L’idea che una prosa densa, complessa, astrusa e altisonante sia connaturata a un buono stile di scrittura è tipicamente italiana. Non stupirà nessuno; basti pensare a come esista, ancora, un enorme snobismo della casta “intellettuale” nei confronti dei romanzi di genere. Qualsiasi genere, badate, sebbene fantasy e fantascienza restino l’oggetto preferito del disprezzo. In Italia va per la maggiore, se così si può dire (dato che non legge nessuno, a ben donde), la narrativa mainstream, o “non di genere”. E mi riferisco ai premi e alla critica, non certo alle vendite, dove regnano i gialli… ostracizzati, infatti, dai suddetti circoli.
Ma questa è un’altra storia.
Tornando allo stile di scrittura, anche il celebre scrittore di New weird Jeff VanderMeer dice la sua. In un articolo chiamato Style is Story is Style egli afferma che «Ogni singola storia deve essere raccontata con lo stile più appropriato ad essa, che il medesimo sia semplice e privo di ornamenti, o convoluto e barocco; alcune storie richiedono entrambi, o un ibrido di qualche tipo. La maggior parte degli scrittori lavora con le variazioni di una singola voce, ma all’interno di tali variazioni si trovano diversi modi di sentire, quindi questa idea di variazione è in realtà ampia nei suoi effetti e, perciò, molteplici stili».
Effettivamente, anche se un autore tende ad adottare delle voci narranti simili da un romanzo all’altro, le differenze possono essere tali da stravolgere lo stile di scrittura stesso. Del resto, le storie sono diverse, nonostante le assonanze, e ciò non può non influenzare lo stile letterario. Lo stesso VanderMeer ha scritto cose molto diverse: è interessante notare, a tal proposito, la varietà di voci nella Trilogia dell’Area X. Non solo la biologa e Controllo, per esempio, si differenziano come narratori, ma il cambio di approccio genera tante altre implicazioni.
La voce della biologa, in Annientamento, è caratterizzata in modo eccelso e distorce la narrazione in maniera profonda e coerente. La storia stessa sembra svolgersi parallelamente all’esterno e all’interno del personaggio punto di vista, di introspezione in introspezione, nonostante l’apparente aridità del tono. È una profondità di filtro che manca in Controllo e che, da sola, è già in grado di ribaltare lo stile. Annientamento pare scritto, in effetti, da uno scrittore molto più abile di VanderMeer, rispetto ad altri suoi libri (o agli altri due volumi della medesima Trilogia).
Per questo motivo, una delle prime capacità da imparare e con cui destreggiarsi, se si vuole curare il proprio stile di scrittura (leggasi: se s’intende raccontare per bene delle storie), è la gestione del punto di vista e dei tempi della narrazione. A cui vi rimando.
E voi che ne pensate? Credete che lo stile di scrittura sia innato, che si debba coltivare o trovare? O che appartenga alle storie che scriviamo? Fatemelo sapere nei commenti!
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