Questione di Mimesi
Ho già parlato, nel precedente articolo, della nascita e dello sviluppo della narrativa moderna e contemporanea. Una delle conseguenze di questa impostazione è la classica regoletta Show, don’t tell, ovvero “Mostra, non raccontare”.
Se t’interessa l’argomento, fai un salto sulla rubrica Tecniche Narrative!
Per comprendere appieno tale tecnica bisogna rifarsi ad alcuni degli scopi della narrativa moderna, ovvero:
- Narrare una storia.
- Coinvolgere il lettore a livello emotivo.
- Farlo immedesimare nel personaggio.
- Fargli vivere gli eventi come fossero reali.
Tali scopi si devono a una concezione di storia e storytelling di derivazione aristotelica, oggi maggioritaria nelle produzioni narrative di tutti i tipi. Sto parlando di mimesi, cioè imitazione o rappresentazione della realtà. Per maggiori informazioni in merito, rimando all’articolo citato poc’anzi.
Se un romanzo, per voi, non si occupa di questo, allora non consiglio l’impiego dello Show don’t tell. Questa discriminazione rappresenta, invero, l’origine di tante incomprensioni: molti autori e insegnanti criticano lo Show don’t tell perché non conoscono o non sposano i princìpi della narrativa moderna e contemporanea.
È del tutto lecito, sia chiaro. Ci sono persone che scrivono e leggono in maniera differente; che rifuggono, inconsciamente o meno, l’immedesimazione nel personaggio, l’immersione nella storia, le sensazioni forti che produce una narrativa di questo tipo e le sue implicazioni. Quelle persone consumano le storie da una distanza di sicurezza e non vogliono essere coinvolte a un livello più profondo.
Del resto, ci sono tante persone che rifuggono la realtà stessa. È normale, per quanto patetico; come scriveva il grande T. S. Eliot, il genere umano non può sopportare troppa realtà. Ed ecco che certi romanzi, del tutto innocui dal punto di vista narrativo (indipendentemente dai temi trattati), si possono prendere e leggiucchiare tra una pausa e l’altra, tra una pubblicità e l’altra, distrattamente.
Perché sì, per quanto il contenuto possa essere sconvolgente, se lo si racconta invece di dimostrarlo avrà lo stesso effetto di un saggio sull’argomento. Ecco: se questa è la vostra idea di narrativa, consiglio invece di scrivere saggi, attraverso i quali potrete manifestare il vostro estro senza ammorbare i lettori.
H.G. Wells, dopo un esordio letterario di enorme successo (le prime opere di scientific romance, tanto amate dai suoi contemporanei e dalla critica, nonché gli unici suoi lavori ancora venduti e ricordati oggigiorno), decise di cambiare princìpi e iniziò a scrivere opere didascaliche, politicheggianti.
Egli divenne, per sua stessa ammissione, poco interessato a narrare storie e a emozionare i lettori. Wells intese la scrittura come un mezzo attraverso cui diffondere le sue idee, perché si sentiva un giornalista piuttosto che un romanziere.
Perché non scrivere articoli, in tal caso?
Show don’t Tell: Guida all’Utilizzo
Tornando a noi, Show don’t tell non significa raccontare al lettore ciò che accade, ma permettergli di vivere direttamente gli eventi momento per momento. Mostrare qualcosa significa mettere una persona di fronte al fatto, alla realtà, e non farne una cronaca.
La superiorità di questa tecnica, in fatto di coinvolgimento e resa emotiva sul lettore, è auto-evidente. Vedere un uomo che muore o sentirlo al telegiornale ha su di voi il medesimo effetto? Guardare una partita dagli spalti o ascoltarne la telecronaca produce le stesse emozioni?
Parlare con qualcuno che vi dice di essere disperato, o vederlo disperarsi davanti ai vostri occhi accende l’empatia allo stesso modo? Nel momento in cui gli angoli di quella bocca si storcono, il cervello inizia a sintonizzarsi su quella sofferenza.
«Ma che c’entra», direte voi. «Mica vedi le cose di persona, quando leggi». Falso: significa che non avete mai letto storie scritte in questo modo, il che è improbabile. O che siete in malafede. Pensateci: se nemmeno immaginate quella bocca tremante, come potete provare emozioni? La disperazione è astratta. Gli occhi rossi di lacrime sono reali.
Perché vedere, poi, dovrebbe fare la differenza? Mica significa vivere; casomai è assistere. Eppure, sappiamo tutti come il cervello simuli sulla nostra pelle ciò che vediamo, o resteremmo imperturbabili. Ebbene, il cervello simula anche quando legge… ma di questo parleremo in un altro articolo.
Tornando allo Show don’t tell, facciamo un semplice esempio.
Raccontato: Incontrai Marcello e lo riempii di botte.
Mostrato (Show don’t tell): Marcello mi si parò davanti e mi spinse contro il muro. Gli mollai una testata in bocca, gli tagliai la fronte con una gomitata. Lui barcollò, si coprì la faccia grondante sangue. «Fevmo! Mi avvendo!».
Ok, ho esagerato, ma era per rendere l’idea. Come avrete notato, il risultato è estremamente diverso in termini di drammatizzazione. Lo Show don’t tell implica una descrizione dettagliata di ciò che accade, a differenza del generico raccontato. Ma ci sono altre finezze da cogliere.
Non è necessario focalizzarsi sulla scena, se la trama non lo richiede. Non è necessario essere truculenti, grotteschi o verbosi. Anzi: lo Show don’t tell brilla se conciso. Il punto è sviluppare azione per azione ciò che sta accadendo. Ricreare tali immagini nella mente del lettore man mano che si dipanano nella narrazione.
Raccontato: Mariotto lo uccise e se ne andò.
Mostrato cruento (Show don’t tell): Mariotto aprì il fuoco. Un pennacchio di sangue e materia cerebrale si levò dalla fronte dell’uomo.
Mostrato (Show don’t tell): Mariotto gli sparò in piena fronte. L’uomo cadde da fermo, come se gli avessero staccato la spina.
Mostrato succinto (Show don’t tell): Mariotto gli sparò in faccia. Si precipitò fuori.
Mille le sensibilità, mille i modi di scrivere una scena. Lo Show don’t tell non priva l’autore di alcuna libertà. Ma torneremo in seguito su questo argomento.
Ricordate quando dicevo che la disperazione è astratta? Si tratta, più precisamente, di un’etichetta, cioè di una designazione soggettiva data a posteriori. Vediamo un vecchio stracciarsi le vesti urlando e lo etichettiamo come disperato. In una narrazione Show don’t tell, però, dobbiamo mostrare la realtà, cioè la disperazione in sé e non l’etichetta che, priva del suo corrispettivo, perde di senso. Inoltre, ricordate che la storia si sviluppa momento per momento.
Occorre non confondere le due cose. “Mariotto lo uccise” è un altro esempio. Mariotto ha fatto qualcosa che ha portato, a posteriori, alla morte del tizio. Ma cos’ha fatto per davvero? Le etichette sono il nemico numero uno della realtà e, di conseguenza, dello Show don’t tell.
Raccontato: Margaret era altissima e sfavillante come il sole che le gonfiava la lunga chioma.
Mostrato (Show don’t tell): Margherita balzò in piedi. Urtò il soffitto della mansarda, di nuovo, e si massaggiò la parte dolente.
Venne verso di me; la chioma bionda grattò il parquet e lasciò una scia nitida tra i banchi di polvere.
In un esempio ho mostrato la straordinaria altezza di Margherita e la lunghezza dei suoi capelli. Nell’altro l’ho semplicemente detto. Complica la vita? È più difficile e dispendioso di tempo e fatica? Certo, ovvio, ma i risultati parlano da soli.
Al raccontato si associa il discorso indiretto, mentre allo Show don’t tell va associato il discorso diretto. I dialoghi giocano un ruolo importante nella scrittura immersiva.
Raccontato: Jennifer disse a Jacqueline che poteva venire con lei alla fattoria.
Mostrato (Show don’t tell): Gennarina sputò un osso di pollo nel piattino di carta. «Allora? Vieni dal porcaro?».
Gioacchina ruttò in segno di assenso.
Attenzione, però. Show don’t tell significa comporre sequenze visuali, ma non descrivere immagini statiche. Queste sono preferibili al raccontato, ma sono una forma piatta e scialba di mostrato.
Mostrato statico: Prendo il melone. È bianco e picchiettato di semi.
Mostrato (Show don’t tell): Taglio via la striscia di semi e affondo i denti nella polpa bianca del melone.
Qual è la differenza? Nella versione Show don’t tell abbiamo descritto la scena attraverso un’azione e non una descrizione. Dinamico batte statico. Sempre. Una buona scrittura mostrata presenta un gran numero di verbi d’azione e una minoranza di passivi o ausiliari. Questi ultimi danno vita a immagini concrete ma immobili.
E che ci sarebbe di male nelle immagini statiche? Beh, per cominciare esse rallentano il ritmo, poiché non fanno progredire la sequenza in atto (da notare che, nel secondo esempio, il melone lo abbiamo già aggredito).
Poi, esercitano un impatto minore sul lettore. L’azione rende le immagini più vivide, le relaziona al contesto, permette di associare più stimoli sensoriali contemporaneamente. Insomma, il dinamismo risulta senz’altro più stimolante ed efficiente, oltre che realistico.
A proposito di immagini concrete: Show don’t tell implica l’uso di termini precisi, al contrario della vaghezza che contraddistingue il raccontato.
Scrivere mostrando significa abolire le parole inutili, quelle che non aggiungono nulla alla scena, e soprattutto i termini aulici o altisonanti. Secondo il principio d’immersione, tutto ciò che distrae dalla scena e dalla narrazione è considerato errore, poiché spezza la magia dell’immedesimazione del lettore negli eventi e nel personaggio.
Aggiungere fumo annacqua la narrazione. Per non parlare dell’assoluta trasparenza che deve vigere nel testo, per la quale il lettore deve capire al volo e non dubitare di ciò che legge.
Possiamo giungere a una prima conclusione. Uno spartiacque nel mondo della narrativa. Scrivere belle parole per il gusto di farlo invece che scrivere in modo concreto è una pessima forma di raccontato e un errore comune tra i neofiti (come l’intrusione dell’autore nel testo o il punto di vista vacillante).
Raccontato: Raggiunse il natante con delle forti bracciate, ma si godé il tragitto. L’acqua scura era spazio siderale, per lui; i coralli, stelle del firmamento. Gli sembrava di fluttuare tra i pianeti, quando entrava in acqua. Novello astronauta di un mondo perduto.
Bellissimo, fantastico, bravò! Ma che significa? Qui si può notare la brodaglia che non aggiunge nulla alla narrazione e che, anzi, la ostacola. Già il fatto che il lettore possa fermarsi per riflettere sul senso o sulla musicalità delle parole è uno svantaggio, poiché interrompe il ritmo e il flusso della storia. Coinvolgimento e tensione diminuiscono in un istante.
Mostrato (Show don’t tell): Si gettò in acqua e nuotò verso la barca.
Regole Avanzate
In certi casi, il raccontato non è considerato tale. Parliamo dei giudizi espressi dal personaggio punto di vista in forma di dialogo o di pensieri. Questi possono funzionare, soprattutto se aggiungono qualcosa all’identità di chi li esprime. O se la ribadiscono.
I giudizi sono, ovviamente, una forma di etichetta. La differenza, rispetto alle altre etichette, è che sono espressione dei pensieri del personaggio. Come ho detto prima, se la disperazione non esiste nella realtà, noi pensiamo a posteriori che una persona sia disperata. Dunque, se stiamo riportando dei pensieri nella narrazione ha senso che ci siano quei giudizi.
Tuttavia… rimane il fatto che il lettore legge l’etichetta e non ciò che l’ha causata!
Raccontato: Prendo la foto. È bellissima.
Non dice niente sul personaggio (che coincide con la voce narrante, POV in prima persona con filtro totale) né della foto.
Raccontato: Prendo la foto. Bella come una prigione che brucia, falsa come una birra analcolica.
Qui il giudizio del personaggio ci suggerisce che si tratta di un ex-galeotto, o un uomo che odia lo stato, o una persona poco raccomandabile. In ogni caso ci dice qualcosa su di lui e ci aiuta a entrare nel personaggio. Il lettore, però, non vede la bellezza della donna in prima persona. Pertanto la versione migliore sarebbe:
Mostrato (Show don’t tell): Prendo la foto. Scorro il dito sulle labbra sottili, seguo il profilo del nasino e accarezzo gli occhi a mandorla. Bella come una prigione che brucia, falsa come una birra analcolica.

Raccontato: È brutto e avido. Indietreggio e cambio strada.
Mostrato (Show don’t tell): È un rabbinaccio col nasone. Indietreggio e imbocco la traversa.
Nella seconda il giudizio ci dà un’idea migliore del POV, che evidentemente cova qualcosa contro gli ebrei, e ci mostra ciò che ha effettivamente visto.
Altra regola avanzata: le similitudini. Metafore, analogie e similitudini sono armi a doppio taglio. Mai, mai usarne di banali o già viste, a meno che non calzino perfettamente. Inoltre rischiano di distrarre il lettore dalla narrazione, se usate troppo spesso, se vaghe o se “ardite”.
Al contrario, un uso moderato e preciso di analogie ha un fortissimo valore persuasivo, in termini retorici. Del resto, nella vita reale ricorriamo spesso a similitudini quando vogliamo far capire qualcosa a qualcuno.
Raccontato: Era bella come il sole.
Raccontato: Mi scruta col suo sguardo da predatore. Spalanca le fauci leonine e balza su di me come un gatto di montagna. (Troppe!)
Raccontato: Corse via con la foga di un uomo orgoglioso, ma indispettito dallo svolgersi degli eventi. (Cosa dovrei visualizzare, esattamente?)
Mostrato (Show don’t tell): Mauro cadde a terra come un sacco di patate. (Rende l’idea ma è inutile specificarlo ed è una similitudine banale)
Mostrato (Show don’t tell): Mauro piombò sul castello di sabbia come una quercia su una Smart.
Il segreto della scrittura immersiva e dello Show don’t tell è scrivere in modo evocativo, mai banale. Termini netti, significativi. Non dovete edulcorare, non dovete usare inutili mitigators come “quasi“, “piuttosto“, “abbastanza” ecc. Si tratta, ancora, di etichette: nella realtà, una cosa non è “quasi” o “abbastanza” così. È o non è; il resto sono valutazioni a posteriori.
Più netti siete, più evocate. Più concreti e precisi siete, più evocate. Ricordate la citazione di Ezra Pound nell’articolo sulla narratologia? L’oggetto è sempre il simbolo adeguato.

L’accuratezza è estremamente importante, soprattutto quando si parla di verbi: bisogna usare quello giusto, sempre, in modo da non doverlo correggere con ulteriori aggettivi.
Pensateci: meglio tagliare di netto le dita con una mannaia o tranciarle? Meglio leggere un libro tutto d’un fiato o divorarlo? Meglio mangiare con una grande foga o ingozzarsi? L’uso di verbi appropriati separa una scrittura generica da una d’impatto.
A proposito di verbi: quando si narra al passato, è preferibile l’uso del Passato remoto rispetto all’Imperfetto. Il perché è presto detto: il primo definisce azioni compiute; il secondo definisce azioni «considerate nello svolgimento, nella durata, senza riferimento all’inizio, alla conclusione o allo scopo». (Da Treccani).
- L’Imperfetto è adatto al raccontato. “Mangiavo”, “dormivo”, “dicevo”, “andavo”…
- Il Passato remoto è adatto allo Show don’t tell. “Mangiai”, “dormii”, “dissi”, “andai”…
Parlavamo, poi, di nettezza nella prosa. Possiamo fare un passo in più per definire l’essenza stessa della terminologia evocativa: sensorialità. Un verbo o un aggettivo, per stimolare il lettore a dovere, devono suscitare la risposta di uno dei cinque sensi. Ciò è supportato da alcuni studi sulle neuroscienze di cui parlo approfonditamente in questo articolo.
In breve: non dobbiamo parlare di odore, ma di caffè o limone. La scrittura evocativa è rasposa, rugosa, liscia; è appiccicosa, gelata, gommosa. Non fa rumore, ma ronza, romba, fischia. Non è buona, brutta o gustosa, ma salata. Ferrica. Pungente. Non puzza e basta, ma puzza di stalla; di benzina, di formaggio stagionato. Non fa male, ma punge, scotta, pulsa…
Questo è Show don’t tell. Ciò che non è vago, ciò che rimane, ciò a cui risponde intimamente il cuore o il corpo di chi legge è sensoriale. È realtà. Maggiore è la frequenza con cui utilizziamo termini di tale valore, maggiore è l’efficacia della nostra scrittura.
Non dimenticate che Show don’t tell non significa descrivere immagini al lettore, ma creare immagini nella mente del lettore. Questa è una differenza fondamentale. Pensare in tali termini vi aiuterà a creare una prosa dinamica, attiva, immaginifica.

Funziona così, nella vita: se una persona ci dice che è triste o felice, non proviamo nulla. Se la vediamo piangere a dirotto, l’empatia ci sincronizza su quella tristezza. Lo stesso dicasi della gioia, che si definisce contagiosa
Show don’t tell: pro e contro
Sebbene Show don’t tell sia una regoletta ormai largamente accettata anche dai critici letterari, non tutti concordano sull’applicazione della stessa.
C’è chi dice che il raccontato sia importante quanto o più del mostrato, da cui Storytelling e non Storyshowing. C’è chi dice che si debba raccontare per passare da una scena all’altra, o per impostare l’atmosfera, o per allargare il respiro temporale della narrazione.
Orson Scott Card, autore del Ciclo di Ender, in Characters & Viewpoint afferma, in merito allo Show don’t tell, che «in alcune circostanze è un buon consiglio; in altre è proprio errato. Chi racconta storie deve costantemente scegliere tra il mostrare, il raccontare e l’ignorare. Mostrare è ciò che si fa meno spesso».
I romanzi non sono film e non si può mostrare tutto, poiché «mostrare è terribilmente dispendioso di tempo». Per cui, secondo Scott Card, bisognerebbe limitarsi a mostrare le scene importanti in modo da drammatizzarle. Lo Show don’t tell, infatti, servirebbe a enfatizzare certe sequenze.
In un commento l’autore reitera dicendo che «Show don’t tell è una pessima idea, eccetto nelle scene che scegli di mostrare perché sono le scene chiave che creano dramma».
Per approfondire: Characters & Viewpoint, di Orson Scott Card.
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Personalmente ritengo che queste opinioni derivino da una mancanza di esperienza nell’uso dello Show don’t tell e da una parziale ignoranza dei principi da cui scaturisce tale tecnica. Ciò le rende facilmente attaccabili.
Se, infatti, intendiamo rappresentare la realtà, il raccontato deve essere automaticamente escluso. Come le etichette, i riassunti non esistono. Due persone non si “picchiano”, ma compiono determinate azioni che ci fanno pensare che si stiano picchiando. Una persona non è “bella”, ma ha determinate caratteristiche ci fanno pensare che sia bella (e non il contrario).
Per quanto concerne il “tempo”, lo Show don’t tell va impostato in un contesto di narrazione qui-e-ora, in cui la storia scorre scena per scena. Per compiere dei salti temporali è sufficiente interrompere il capitolo e iniziarne un altro a salto avvenuto, oppure aggiungere i tre asterischi col medesimo effetto.
Mettiamo che, per esempio, Marcovaldo debba andare a casa della nonna ma che non c’interessi mostrare il viaggio in macchina. Non c’è bisogno di raccontarlo: essendo inutile ai fini della trama, basta tagliare la scena interrompendo il capitolo e facendo iniziare il prossimo con Marcovaldo che entra a casa della nonna.
Se invece volete includere il viaggio per qualche ragione, basta mostrare pochi dettagli per liquidarlo. È facile dimenticare che Show don’t tell non significa necessariamente mettere in risalto qualcosa o essere prolissi. Anzi, come insegna la teoria dell’iceberg di Hemingway sono sufficienti pochi, precisi, perfetti dettagli per sottintendere il resto (come anche provato tempo addietro da Cechov).
L’arte della scrittura è tanto più raffinata quanto più asciutta, come tutte le arti in generale. Ma raggiungere questo livello di raffinatezza è assai difficile. In ogni caso, se volessimo mostrare il viaggio di Marcovaldo senza dilungarci (e con una ragione ai fini della storia, altrimenti va tagliato) agiremmo, per esempio, così:
Marcovaldo montò sulla Cresta, accese i fari e percorse la salita del garage. Svoltò su Via Veloce. «Ah, la mia Cresta! La mia splendida Cresta!».
Imboccò Via dei Vecchi. La casa della nonna spuntò sul fondo della strada.
… e stop! Ci siamo, basta che parcheggi ed entri.
Per farla breve: non è lo stile a condizionare l’importanza del testo, ma la struttura. Lo Show don’t tell si limita a trasmettere il contenuto al lettore con la massima efficacia retorica. L’interesse si produce solo se il contenuto è effettivamente interessante.
È da illusi pensare che il lettore, alla lunga, si appassioni alla vicenda in base alla prosa, se la vicenda non stimola interesse di per sé.
Di questo parlo nei miei articoli su come Scrivere una Storia. Monomito, Arco di trasformazione del personaggio, Premessa narrativa, What-if, Archetipi, Storie a tre, quattro e cinque atti… trovate tutto nella succitata rubrica!
C’è un punto sollevato da Scott Card che mi sento di condividere, però. Lo Show don’t tell richiede tempo e fatica, specie all’inizio. A maggior ragione se le scene non sono già definite nella mente di chi scrive. Provare per credere. Scrivere come capita è assai più semplice e rapido.
In linea teorica direi che questa non è una giustificazione; non è un segreto che per fare un buon lavoro si debba buttare il sangue in qualsiasi disciplina. È altrettanto vero che, se doveste esordire con un’epopea bestiale da tremila pagine, mostrare ogni scena potrebbe costarvi la vita (ammessa e non concessa la necessità di quelle tremila pagine…).
Una volta fatto il callo, lo Show don’t tell diventa una seconda natura e i tempi di scrittura si accorciano notevolmente. Ma è anche facile lasciarsi prendere la mano e riscrivere più e più volte porzioni di testo per renderle più pregnanti. Del resto, come ho dimostrato prima, c’è mostrato e mostrato.

Parlando di opere di altissimo livello, ovvero di casi che non riguardano né me né la quasi totalità di quelli che mi leggeranno, trovo comprensibile fare un compromesso tra valore artistico e impegno profuso. Credo che a pochi interessi creare l’opera stilisticamente perfetta (col contenuto ovviamente non all’altezza, come spesso è il caso. E viceversa) se il prezzo da pagare è l’intera propria esistenza.
Bisogna accontentarsi: un romanzo è lungo e si può sempre migliorare qualcosa in termini artistici. La mia modesta opinione è che si debba semplicemente cercare di dare il massimo in base alle proprie possibilità e ai propri bisogni, a 360°. Il che significa imparare a scrivere e documentarsi, oltre che scrivere.
Fatto questo, la soddisfazione personale è più importante di qualsiasi valutazione artistica. Chi sogna di vivere di scrittura, poi, non può lasciarsi rallentare dalle ideologie. Ciò detto, raccontare significa accontentarsi prima di averci davvero provato. Ricordate? Lo Show don’t tell si può applicare nei modi più disparati.
Scegliere i dettagli che si vogliono mostrare; scegliere i sensi che si vogliono colpire e le immagini che si vogliono evocare; comporre le scene da sviscerare con maggiore impatto e dinamismo… tutto ciò contribuisce a rendere unico lo stile di uno scrittore.
Perché sì, uno stile c’è. In teoria, lo Show don’t tell si limiterebbe a mettere il lettore davanti ai fatti, ma… un mediatore esiste. Un interprete. Il solo fatto di filtrare quegli eventi attraverso il nostro cervello, le nostre emozioni, la nostra lingua e la nostra penna, li trasforma inconsciamente.
Proprio come essi vengono ri-trasformati dagli occhi del personaggio POV, mediante i quali li vive il lettore.
Io mi regolo così, nella scrittura. Mi sforzo, ma troverete verbi passivi e ausiliari nei miei testi. Troverete immagini poco nitide e descrizioni statiche. In certi casi, passaggi verbosi o a dir poco rocamboleschi. Potrei fare meglio. Possiamo far meglio.
E voi che ne pensate di questa tecnica? Se avete esempi da proporre o domande da porre, commentate!
Se avete apprezzato l’articolo, non dimenticate di leggere gli altri della rubrica Tecniche Narrative!