Cenni di Narratologia
A scuola non sentii mai parlare della narrativa moderna. In compenso, mi furono insegnati i rudimenti di romanzologia. La fabula, l’intreccio, la focalizzazione… finanche qualcosa di avanzato come il deus ex machina. Studiai il vecchiume che studiano tutti, con una predilezione per la Commedia di Dante e I Promessi Sposi del Manzoni. Poi, il nulla.
Se t’interessa l’argomento, fai un salto sulla rubrica Tecniche Narrative!
È interessante notare come nel ventunesimo secolo non si insegni a leggere ciò che produce il ventunesimo secolo. Vi siete mai chiesti perché a scuola non diano gli strumenti per comprendere la produzione letteraria contemporanea, per criticarla o per crearla?
Del resto, essa costituisce il 90% di ciò di cui usufruiamo quotidianamente. Non venitemi a dire che leggete abitualmente testi precedenti al ‘700-800, perché non ci credo. O meglio, posso capire che questi occupino uno spazio minoritario tra le vostre letture, a meno che non siate esperti del settore. Per usare un’iperbole, dubito che in tanti leggano la Gerusalemme Liberata per diletto.
Ebbene esiste una disciplina che governa questi benedetti romanzi del ventunesimo secolo, ed esistono regole e tecniche. Sono elementi che possiamo osservare, in forma embrionale, già nel romanzo Robinson Crusoe, che fa uso di una struttura unificata, sequenze narrative dotate di continuità e coesione, drammatizzazioni e così via.
Parliamo di narratologia e principi della narrativa moderna, ovvero dello studio delle strutture narrative. Fu Tzvetan Todorov a coniare tale termine, nell’alveo della scuola dei formalisti russi (all’avanguardia in fatto di letteratura come l’Impero Russo tutto, URSS inclusa).
Le tecniche di narrativa moderna cominciarono a prendere forma da Gustave Flaubert in poi: egli fece fare un passo avanti al realismo francese, innescò la trasformazione dello stile ottocentesco in quello che siamo abituati, oggi, a leggere.
Gustave Flaubert e la Narrativa Moderna
Flaubert sosteneva che la narrazione dovesse procedere attraverso un susseguirsi di scene e d’immagini dinamiche. Flaubert affermò, in netta controtendenza con l’epoca, che un testo narrativo dovesse avvalersi di dettagli concreti, verbi scelti accuratamente e non un profluvio di termini vaghi o altisonanti.
Egli sancì anche che l’autore di romanzi dovesse limitarsi a raccontare storie e non farle a brandelli con la sua intromissione. Nasce il primo, determinante principio della narrativa moderna: la trasparenza.
«Qualsiasi cosa tu voglia dire, non c’è che un termine per esprimerla, non c’è che un verbo per imprimerle movimento, non c’è che un aggettivo per qualificarla; devi cercare finché non trovi questo sostantivo, questo verbo, questo aggettivo».
Tony Williams ricostruisce la metodologia di scrittura inventata da Flaubert in The Cambridge Companion to Flaubert e scrive che lo stile ricercato da Flaubert fosse «ritmato come un verso, preciso come il linguaggio scientifico, e con le ondulazioni, il mormorio di un violoncello, i pennacchi di fuoco, uno stile che ti entra nella mente come una stoccata, e su cui finalmente i pensieri scivolano come su una superficie liscia…».
Alcuni dei succitati tratti sono riscontrabili in Madame Bovary: un’intromissione minima da parte dell’autore; una limitazione dei discorsi all’interno dei dialoghi (da tradizione, spesso esageratamente lunghi); una più spinta e allusiva presentazione della componente sessuale, ancora indiretta ma maggiormente efficace e passionale rispetto alla produzione coeva.
Va comunque detto che, come tutti, Flaubert fu figlio del suo tempo, e come tale vittima del modus scrivendi allora in voga (sebbene in misura minore di tanti suoi contemporanei): monologhi continui e fastidiosi dei personaggi, prosa poco impattante e consona alle signore per bene, tempi morti e una scarsa tensione drammatica.
Ciononostante, Flaubert era già anni luce avanti al nostro Manzoni in quanto a tecnica (come anche Edgar Allan Poe), poiché limitato nel bisogno di fare saggistica all’interno delle sue storie. Questa era, invero, una pratica consueta nell’Ottocento, giacché alle lettrici (che restavano a casa) piaceva istruirsi sugli argomenti più disparati e Internet e la televisione non esistevano.
I Precursori
«Non dirmi che la luna splende; mostrami il riflesso sul vetro infranto».
Cechov fece ulteriori passi verso la narrativa moderna: a lui si deve il popolare motto Show, dont tell, ovvero “Mostra, non raccontare“.
Si tratta di una delle tecniche fondamentali della narrativa moderna. Potete leggerne di più in questo articolo.
Henry James arrivò a simili conclusioni. «Drammatizza. Drammatizza. Drammatizza» fu l’invito dell’autore a narrare con elementi vividi, netti, utili a catturare il lettore e a emozionarlo. Da qui parte un altro principio basilare: raccontare per emozionare.
Fu Ford Madox Ford a raccogliere il consiglio e a traghettare il realismo didascalico di fine ‘800 al realismo di oggi, fatto di sangue, di carne e di sesso.
Da Charles Dickens, che narrava della povertà e dei bassifondi ma si vantava di non far «arrossire le gote dell’innocenza», a una narrativa che dovesse coinvolgere l’uomo e non più l’idea di uomo. Ford Madox Ford concepì il punto di vista, o POV, circoscritto al protagonista e filtrato dal protagonista stesso. Ciò costrinse il lettore a calarsi nei panni dell’eroe, a vivere le sue avventure in prima persona, a vedere coi suoi occhi e a discernere con i suoi sensi. La distanza tra romanzo e lettore venne abbattuta.
Prima di Ford, tuttavia, ci fu un autore capace di scuotere nelle fondamenta la narrativa americana e di influenzare, ancora oggi, migliaia di scrittori. Immaginario truculento, idee strampalate e inquietanti, prosa violenta e raffinata: tutto ciò fu anticipato da Ambrose Bierce, che diede una forte spinta al processo di mascolinizzazione della letteratura.
I Giganti della Narrativa Moderna
Lo scrittore soldato avrebbe ispirato, coi suoi racconti, la futura corrente weird di H.P. Lovecraft (inventò, tra le altre cose, Carcosa), nonché l’avanguardia della narrativa moderna impersonata da Ernest Hemingway. I suoi racconti di guerra, in particolare, furono tra i più audaci dell’intero diciannovesimo secolo.
Tutt’oggi sono in tanti a risultare più datati del Bitter Bierce. Egli fu di idee talmente originali da precedere le Edisonate e lo steampunk; da scrivere di un robot prima che la parola fosse inventata (nel bel racconto Moxon’s Master). Fu anticipatore dell’horror insieme a Poe. Ma soprattutto, scrittore di una prosa così sensoriale da far strappare i capelli ai suoi contemporanei.
An Occurrence at Owl Creek’s Bridge è forse il racconto di letteratura americana più famoso al mondo. Ma non è l’unico: altro capolavoro è Chickamauga, seguito da Killed at Resaca e George Thurston.
A un tratto udì una forte detonazione e qualcosa colpì l’acqua a pochi centimetri dalla sua testa, schizzandogli il viso. Dopo una seconda detonazione vide una delle sentinelle con il fucile puntato, mentre una lieve nuvola di fumo azzurro fuoriusciva dall’imboccatura. L’uomo in acqua vide l’occhio dell’uomo sul ponte fissare il suo attraverso il mirino del fucile. Notò che era grigio e si ricordò di aver letto che gli occhi grigi erano quelli dalla vista più acuta, e che tutti i tiratori scelti più famosi avevano gli occhi di quel colore. Ciononostante, questo l’aveva mancato.
Jack London, l’autore americano più tradotto e letto al mondo, potenziò ulteriormente quella prosa e, al contempo, la semplificò. Egli scriveva con uno stile lineare, ma crudo e obiettivo. Naturalista, a tratti, ma percorso da esplosioni di emozioni e introspezioni degne delle future odissee interiori della narrativa contemporanea.
Hemingway affinò la tecnica con la teoria dell’Iceberg: conoscere ogni elemento descrittivo e ambientale della storia permette di scegliere pochi dettagli per una resa migliore. Sono quei dettagli, infatti, a costruire nella mente del lettore l’interezza dell’immagine (o della scena). Maggiore è la precisione nel descrivere, più nitido è il risultato. La punta dell’Iceberg, dunque, implica ciò che le sottostà. Da Il vecchio e il mare (1952):
«Il vecchio era magro e scarno e aveva rughe profonde sulla nuca. Sulle guance aveva le chiazze del cancro della pelle, provocato dai riflessi del sole sul mare tropicale. Le chiazze scendevano lungo i due lati del viso e le mani avevano cicatrici profonde che gli erano venute trattenendo con le lenze i pesci pesanti. Erano tutte antiche come erosioni di un deserto senza pesci.
Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri e indomiti».
Lo stesso Ezra Pound, sommo poeta americano, avrà a dire sulla poesia (nel pezzo A Few Don’ts, che consiglio):
«(…)
2 — Non usare termini superflui, nessun aggettivo che non riveli qualcosa.
3 — Non usare un’espressione come “fievoli terre di pace”. Sbiadisce l’immagine. Mischia un’astrazione col concreto. Deriva dalla mancata realizzazione, da parte dello scrittore, che l’oggetto è sempre il simbolo adeguato.
4 — Abbi paura delle astrazioni. Non riscrivere in versi mediocri ciò che è già stato narrato con una buona prosa. (…)
7 — Utilizza un buon abbellimento o nessun abbellimento».
Ciò vale a maggior ragione per la narrativa, che dà minore importanza alla fonetica. Allo stesso modo la pensava T.S. Elliot, amico di Pound e progenitore della corrente critico-poetica del New Criticism.
La Retorica della Narrativa
Dai New Critics si passò alla scuola di Chicago, lo stato dell’arte per quanto concerneva la critica letteraria e la narratologia. Wayne Clayson Booth ne divenne il principale esponente, nel ’61, con la pubblicazione di Rhetoric of Fiction. La critica letteraria morì e rinacque: per Booth, la narrativa moderna è retorica, e come tale segue i principi e le regole dell’arte retorica.
Un filo conduttore, quello di Booth, che si lega al concetto in divenire della letteratura post-Flaubert. La narrativa moderna, essendo retorica, è persuasione: autore e lettore sanno che si tratta di fantasia, ma il primo deve convincere il secondo a credere nella storia, a fingere che sia realtà (similmente a quella che oggi chiamiamo, nel fantasy, la sospensione dell’incredulità).

Per approfondire: Retorica della narrativa, di Wayne C. Booth, Dino Audino editore.
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Il lettore diventa, dunque, il protagonista e vive il romanzo di persona. Ecco perché la narrativa moderna deve essere verosimile e il mondo fittizio deve risultare credibile agli occhi del lettore.
Vi chiedete mai il perché della dicitura “tratto da una storia vera” che precede molti film e romanzi? Perché funziona: il fruitore si sente più coinvolto, cessa di considerare la storia come frutto dell’immaginazione e mero intrattenimento.
Il libro/film appare sotto una nuova luce: realtà. Fatti, per quanto brutali ed emozionanti, che sono accaduti davvero. «Oh mio Dio, non posso credere che sia successo!». «Devo saperne di più, il suo passato è sconvolgente». La storia va oltre la storia, in un interessante espediente meta-narrativo.
Certo, si tratta di un semplice trucco. Una truffa, spesso, in quanto gli eventi potrebbero essere ben diversi dal modo in cui sono narrati. Ma il risultato è il medesimo, e il meccanismo è simile a quello della narrativa moderna. L’azione parla più delle parole.
A tal proposito, va detto che i Neo-Aristotelici della scuola di Chicago diedero grande importanza alla struttura e all’impianto narrativo piuttosto che alla prosa, campo prediletto dai New Critics. Ed è anche sulla struttura (elemento, per altro, valutabile oggettivamente) che si deve puntare, se si vuole abbattere la distanza tra la storia e il fruitore.
Di questo parlo nei miei articoli su come Scrivere una Storia. Monomito, Arco di trasformazione del personaggio, Premessa narrativa, What-if, Archetipi, Storie a tre, quattro e cinque atti… trovate tutto nella succitata rubrica!
Tornando alla forma, sentiamo cosa pensava George Orwell in merito.
«1 — Non usare mai una metafora, similitudine, o altra figura retorica che sei abituato a leggere su carta stampata.
2 — Non usare mai una parola lunga ove puoi usarne una corta.
3 — Se ti è possibile tagliare una parola, tagliala sempre.
4 — Non usare mai i passivi ove puoi usare gli attivi
5 — Non usare mai una frase straniera, un termine scientifico o una parola incomprensibile se ti viene in mente un termine inglese equivalente e di uso comune
6 — Infrangi una di queste regole prima di dire qualcosa di assolutamente incivile».
Sembra ricalcare alla perfezione quanto appena esposto in merito alla narrativa moderna, non è così? Orwell è sempre stato per la trasparenza, anche in virtù del suo mestiere di giornalista (come Hemingway, del resto).
Ciò detto, neanche lui seguiva pedissequamente le sue stesse regole, come dimostrato dall’ultimo punto (che, in altri termini, raccomanda di usare il buon senso prima di tutto). Il segreto è sforzarsi; la perfezione non esiste.
La Narrativa Contemporanea
Andando avanti, di particolare rilevanza e interesse è la narrazione here-and-now (qui-e-ora) e scene by scene (scena per scena) di Jack Bickham, identificata come la forma letteraria che contraddistingue il nostro periodo storico e alla quale siamo abituati. Bickham, in Scene & Structure, scrive:
«(…) Almeno il 95% dei romanzi popolari pubblicati oggi — qualunque sia la forma — dipendono dalla struttura della scena perché funzionino.
Per metterla in modo leggermente diverso: la maggior parte della narrativa di successo, oggi, si basa su una struttura che usa una serie di scene, le quali si collegano in modo chiaro per formare una narrazione lunga con sviluppo lineare (…)».

Per approfondire: Scene & Structure, di Jack Bickham.
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Oggi la narratologia è un campo multidisciplinare in cui si dice tutto e il contrario di tutto, senza neanche citare le tante correnti post-moderne che ne agitano le acque.
E si continua a procedere verso nuovi lidi: la sommersione dell’Io (submerging the “I”), ricalcata da Chuck Palahniuk con l’abolizione dei verbi sensoriali e di pensiero nel POV, ne è un esempio. Perfino la tecnologia ci mette lo zampino: le neuroscienze offrono nuovi spunti e punti di vista, quando applicate alla narrativa contemporanea.
E voi cosa ne pensate? Siete più attaccati alla produzione letteraria “antica” di cui avete letto a scuola, o preferite la narrativa moderna?
Se avete apprezzato l’articolo, non dimenticate di leggere gli altri della rubrica Tecniche Narrative!
26 Marzo 2017 il 13:09
Articolo molto valido ed interessante,hai citato alcuni grandi nomi della narrativa moderna,mi piace molto il riferimento ad Henry James e ad Hemingway.Penso però che anche grandi scrittori ottocenteschi precedenti avessero in qualche modo una tecnica di scrittura valida,prendi Tolstoj o Dostoiewsky,insomma non è strano amare libri scritti nel passato, dipende sempre dagli autori.Complimenti per la preparazione che dimostri e per le capacità espositive davvero ottime
28 Marzo 2017 il 11:49
Grazie cosc… Paola!
Specifico che qui parlo di tecnica narrativa, non di quanto un romanzo possa essere bello o meno. È chiaro che ci siano romanzi splendidi ma scritti in modo “antico” e noioso, e romanzi orribili ma scritti in modo spedito e moderno. Non è strano amare artisti del ‘700 e dell’800; è solo più difficile! Insomma qui parliamo di forma, non di contenuto. Chiaro che una forma più “adatta” a essere letta possa veicolare più facilmente il contenuto.
Per quanto riguarda i Russi, stavano avanti. Restano pallosi, però, specie quando si tratta di romanzi e non di racconti.
28 Marzo 2017 il 9:46
Hai ragione a scuola non ti insegnano a leggere narrativa contemporanea, anche se è la narrativa che un adolescente apprezza di più in quel periodo. Ti fanno leggere I Promessi sposi, la Divina Commedia, Romeo e Giulietta e tu sei così scemo, che ovviamente non riesci ad apprezzare queste opere come dovresti. Per quanto riguarda gli scrittori che hai citato, ho letto poche delle loro opere, anche se mi piacerebbe leggere Hemingway. Articolo come sempre molto interessante e molto studiato che aiuta chi è vicino al mondo della narrativa e della scrittura a capirne meglio i concetti e il funzionamento di queste ultime. Sei sempre molto chiaro nei tuoi articoli. =)
28 Marzo 2017 il 11:55
Grazie Toradira! Hai sottolineato un altro punto interessante: non capisci un cavolo del vecchiume che ti fanno studiare a quell’età. A maggior ragione perché si tratta di opere così distanti nel tempo e nella sensibilità. Non parlo di Shakespeare, ovviamente, che non è difficile ed è tutt’ora più che leggibile.
Secondo me quei “capolavori della letteratura” andrebbero studiati all’università, previo approfondimento estremo del contesto storico, sociale, economico ecc. Insomma, prima di addentrarti nei Promessi Sposi dovresti sapere tutto del ‘600 e dell’800. Quindi puoi studiarlo in modo maniacale proprio per “goderti” l’enorme valore storico che contraddistingue l’opera e apprendere la sensibilità dell’epoca.
1 Aprile 2017 il 8:51
Non sono tanto d’accordo sulla critica all’800. Sul ‘700 non so tanto ma dell’800 oltre ai russi (“Delitto e castigo” noioso? – per dirne uno), dove mettiamo l’immenso Dickens, o Stevenson, Hardy, Conan Doyle!, Twain, Poe, Dumas (se Dumas è noioso!?!)…quanti anni si potrebbe andare avanti a leggere questi? 🙁
1 Aprile 2017 il 10:12
Poe, Twain, Dostoevskij… stavano avanti, in quanto a stile, rispetto a molti autori coevi. Per quanto riguarda Dumas, che mi piace molto, perfino Umberto Eco diceva che Il Conte di Montecristo fosse “un buon romanzo con un brutto stile”.
Detto ciò, il loro modo di scrivere risulta datato, oggi, e non c’è niente di male in questo. È naturale. Come ho già specificato, poi, parliamo di forma, non di contenuto. Ci sono tanti capolavori dell’800, ma risultano più difficili da digerire proprio a causa dello stile datato rispetto alla sensibilità odierna.
1 Aprile 2017 il 12:32
Io da lettrice direi che un romanzo “antico” da uno “moderno” differisca macroscopicamente e linea generale per due cose:
1) Lingua. Ci sarebbe anche tutto un discorso di lingua originale, testo tradotto 100 anni fa e testo tradotto 20 anni fa. Comunque, un bell’italiano anche di 100 anni fa, non dovrebbe essere meno godibile anche se ovviamente usa termini ed espressioni desuete.
2) Ritmo. Un romanzo di oggi è mediamente più scorrevole di uno antico.
Farei un parallelismo con i film. Un film di questi anni è di solito più veloce di uno di 30 anni fa; vuoi per il montaggio più serrato, vuoi per i movimenti di macchina, vuoi per i dialoghi più veloci ecc. Anche una ciofeca di oggi, uno se la guarda perchè visivamente c’è un certo ritmo (e a volte anche velocità in cui avvengono diversi eventi). Se uno spettatore è abituato a un film di oggi (e vuoi anche che siamo continuamente bombardati da mille stimoli ed è un fatto che la nostra attenzione media sia calata) più difficilmente digerirà un film di 40 anni fa.
Tu sei giovane e io vorrei vedere quanti giovani della tua età apprezzano il tenente Colombo, già tanto se sanno chi è. Ma di sicuro i suoi telefilm hanno un ritmo ben diverso da quello di una qualsiasi serie odierna.
Anche per i libri io penso si possa fare lo stesso discorso. Sono i lettori di oggi che non sono abituati allo stile del passato ma questo non significa che sia lo stile in sè a non andar bene. Poi ovviamente si può criticare anche gli scrittori passati, non è che bisogna accettare tutto in blocco. Sto leggendo ora un bel libro del 1950 che però in una scena descrive il tramonto che colpisce le trecce bionde di un personaggio, ma contemporaneamente sta iniziando a nevicare. Non so se un evento atmosferico del genere sia possibile comunque di sicuro la scena non è chiarissima, mi ha creato un po’ di confusione.
Però, insomma, apprezziamo gli autori del passato senza considerarli inferiori a quelli moderni.
1 Aprile 2017 il 13:06
Guarda, il parallelismo ci sta e sono d’accordo con te, anche se la differenza tra romanzo “antico” e moderno è più complessa. Ma tu stai confermando quello che ho scritto prima: quello del ‘700 e di gran parte dell’800 è uno stile datato. Il cinema e la narrativa si sono evoluti, i gusti sono cambiati eccetera eccetera. Non ho mai detto che gli autori del passato siano inferiori a quelli moderni, leggi bene 🙂
Per quanto riguarda la scena che hai letto, non c’entra con lo stile. È semplicemente concepita male.
1 Aprile 2017 il 15:32
Forse abbiamo criteri di valutazione diversi.
Il termine “datato” io lo uso con accezione negativa quando un’opera poteva essere valida in un certo periodo ma non ha resistito al passare del tempo. Spesso è una questione di contenuti. Quando lo stile è scadente già in partenza, stai pur sicuro che diventa “datato” nel giro di pochissimo. Ma con i grandi nomi, parlare di “datato” ha poco senso. Perché allora anche Michelangelo è datato, Beethoven è datato, ecc. No, loro e le loro opere non sono datati; ai nostri tempi non ha molto senso dipingere o comporre come questi personaggi perchè sarebbe una ripetizione e lo stile e l’arte mutano (non uso il termine “evolvono” perché sennò sembra che il più recente sia il migliore) perché rispecchiano i cambiamenti della società e cultura ecc. ma le opere del passato e il loro stile rimangono validissimi. Se sono datate, vuol dire che oggi sono illeggibili, inascoltabili, inguardabili.
Mi “inalbero” un po’ su questo argomento per via di questa etichetta del palloso che mi pare tu abbia attribuito un po’ troppo gagliardamente a opere del passato, a mio avviso sia chiaro. Per dire, io in larga parte leggo cose dagli anni ’50 -’60 in giù. Forse ci vuole più concentrazione, a volte, ma mi sembra ci sia più libertà, più profondità e magari meno piaggeria astuta nei confronti del lettore.
Posso anche capire, non dico che non capisco, ma torno a dire, secondo me è il lettore moderno che fa fatica a destreggiarsi agevolmente tra letture di diverse epoche. Poi dopo, per carità, ci sono i gusti personali e lì non si discute più di tanto.
1 Aprile 2017 il 16:32
Lo stile si è evoluto in modo tale da coinvolgere di più il lettore, e questo è un fatto. Metterò, in futuro, un articolo con degli studi scientifici che provano la differenza di stimoli cerebrali tra una prosa contemporanea, Show don’t tell, e una datata. Del resto lo dice il buon senso, lo dicono gli esempi, lo dicono i critici letterari… scrivere come gli autori passati, dal punto di vista stilistico, è semplice, pigro e poco coinvolgente. E questo non perché abbiamo una diversa sensibilità, oggi, ma perché è così oggettivamente. Il fatto che, invece, siamo abituati a leggere una prosa più coinvolgente è l’effetto, non la causa di questa evoluzione dello stile.
Poi tutto il resto non ha importanza, perché continui a confondere lo stile con il contenuto. La profondità di un’opera sta nella storia, non nella forma. La forma, ripeto per l’ennesima volta, serve solo a veicolare nel modo più efficace possibile il contenuto.
Infine, il termine “datato” va benissimo, anche se a te non piace e gli dai un’accezione inventata. Datato significa “superato”, “inattuale”. Lo stile del ‘700 e ‘800 è datato, come tu stessa continui a confermare. È tautologico. Così è, così rimane. No-io-so, rispetto a quello contemporaneo.
Stiamo ripetendo sempre le stesse cose!
8 Agosto 2018 il 8:27
Mmm, non proprio. Io non sarei così tranchant sul discorso che la profondità di un’opera sia nella storia e non nella forma. Molte volte la forma È sostanza. In tutte le opere d’arte (e quelle scritte non fanno eccezione) il come (la forma) è spesso più importante del cosa (il contenuto).
Nel quadro Impression, Soleil Levant di Monet il soggetto è di una banalità totale: una barca all’alba in mezzo al mare (contenuto) era stata già dipinta miliardi di volte, ma mai in quel modo tutto nuovo e particolare (forma).
E la Notte Stellata di Van Gogh? Stesso discorso: è grazie alla forma nuova che che il pittore è riuscito a dare a un soggetto così scontato che rende il quadro speciale.
Le vicissitudini del signor Cosini (smettere di fumare, corteggiamenti vari, scappatelle extraconiugali, crisi dell’azienda di famiglia) non sono intrinsecamente avvincenti, tantomeno originali, anzi: sono piatte, in alcuni casi trascurabili. A mio modo di vedere La Coscienza di Zeno è l’esempio perfetto di forma e contenuto che si fondono in un qualcosa di inscindibile che è più della somma delle singole parti. Senza quella forma, quel tipo di contenuto (storia/testo) non avrebbe senso. Immaginiamo per un attimo raccontato come farebbe Manzoni, con un approccio da narratore onniscente: sarebbe impossibile anche solo da concepire.
Verga stesso dice a proposito della sua scrittura: “non si vede che il naturalismo è un metodo, che non è un pensiero, ma un modo di esprimere un pensiero? […] il naturalismo è forma, il misticismo può essere sostanza di un romanzo”.
Tutto questo per dire che la forma non è un container anonimo adibito al solo trasporto di quello che c’è dentro. Forse è così per un certo tipo di narrativa, prevedibile e mainstream, ma nelle opere che aspirano ad avere un minimo valore artistico-letterario ha sempre una funzione molto più profonda del semplice imballaggio. La forma è essa stessa arte, senso e contenuto. Dipende di cosa parliamo.
8 Agosto 2018 il 8:32
ops: “narratore onnisciente”, scusate il refuso.
8 Agosto 2018 il 10:15
La forma è forma, la sostanza è sostanza… o non sarebbero contrari. Dici che la forma, spesso, è più importante del contenuto, ma che significa “importante?” Chiaro che un’opera con un contenuto eccezionale e una forma pessima sarebbe illeggibile, perché la funzione della forma è veicolare il contenuto. Nel caso opposto, abbiamo un’opera letteraria leggibile ma pietosa. Forma e contenuto devono fondersi in qualcosa di inscindibile. Detto questo, ho parlato di “profondità”, non di importanza o precedenza. Il fatto che questa profondità di contenuti sia percepibile o meno dal lettore è fondamentale e ciò attiene alla forma. Ma è, a mio parere, ovvio che tale profondità sia un attributo del contenuto, non della forma. Tornando al caso da te riportato, cioè La Coscienza di Zeno, credo che tu stia travisando il significato di forma e contenuto. Il libro di cui parli punta molto sul contenuto, non sulla forma. Contenuto non sono solo gli eventi nudi e crudi, ma la struttura di tali eventi; la caratterizzazione; le scene attraverso cui gli eventi si dipanano, vagliate a loro volta dallo stile (forma) che traduce tali scene in prosa. Per quanto riguarda la citazione di Verga, essa conferma che la forma è forma e la sostanza è sostanza…
8 Agosto 2018 il 11:51
Provo a spiegarmi meglio, in soldoni. Tu dici: “La profondità di un’opera sta nella storia, non nella forma”. A mio modo di vedere questa è una bugia (o una mezza verità, se preferisci), perchè sono tantissime le opere d’arte (anche letterarie) che sono tali proprio perchè “il come” si racconta (la forma) è ben più rilevante del “cosa” si racconta (la storia). Le opere che ti ho citato di Svevo, Van Gogh e Monet sono lì a dimostrarlo. Su Verga rileggi bene: sta dicendo invece che il naturalismo è proprio più questione di forma che di contenuto.
8 Agosto 2018 il 12:57
Secondo me il problema sta in una diversa concezione di “contenuto”. Attenendoci ai paragoni letterari (non mi intendo di pittura), io ti ripeto che al “cosa” corrisponde anche il “come” si sviluppa quel “cosa”, perché ciò fa parte della struttura del “cosa” prima che essa venga tradotta in parole. In soldoni: se un romanzo parla di un pistolero che uccide una persona, il “cosa” è il fatto in sé; sono le scene attraverso cui si svolge il fatto; è la caratterizzazione dei personaggi, la crisi interiore del pistolero eccetera. Ecco perché ti dico che, a mio parere, in Zeno è il contenuto a dare profondità all’opera e non la forma (su cui non spenderei belle parole). Un esempio più calzante per la tua tesi potrebbe essere Viaggio al termine della notte di Céline, per esempio: in tal caso la forma, così unica, scoppiettante, vivida eccetera, contribuisce sicuramente a una trasmissione forte e originale del contenuto… il quale, però, resta la fonte introspettiva ed emozionante senza la quale avremmo uno sterile esercizio di stile. Per quanto riguarda Verga e il naturalismo, dipende dall’accezione che si dà a quest’ultimo. Se si parla di naturalismo in termini di argomenti da trattare, allora è chiaro che esso attiene al contenuto (da questo punto di vista). Se si parla di naturalismo in termini stilistici (l’autore che non interviene nella prosa, la scelta di descrivere con trasparenza e oggettività ciò che appare nella narrazione), allora esso attiene alla forma…
3 Febbraio 2018 il 2:08
Bell’articolo e bel blog, complimenti. Giusto in questo periodo volevo iniziare ad approcciarmi allo studio della scrittura (immersiva, of course), però ora come ora non saprei da dove cominciare. Al di là dei manuali che si occupano della strutturazione della trama (che ho già ampiamente approfondito e ripassato con i tuoi articoli :D), che saggi mi consiglieresti per apprendere le tecniche e i principi della scrittura narrativa come mezzo espressivo in sé (ed in che ordine possibilmente XD)?
3 Febbraio 2018 il 19:17
Grazie mille Matt!
Quasi tutti i manuali di Dino Audino sull’argomento sono validi. “Elementi di stile nella scrittura” è un grande classico da cui iniziare. Per quanto riguarda altre altre CE, ti consiglio Ambientazione di Jack Bickham e, in parte, Come scrivere un romanzo dannatamente buono di Frey. In lingua, invece, un ottimo saggio è “Word Painting: A Guide to Writing More Descriptively” di Rebecca McClanahan.
Scrissi anch’io un articolo sull’argomento: http://immersivita.it/show-dont-tell-mostra-non-raccontare/
È passato un po’ di tempo… lo aggiornerò, prima o poi.
3 Febbraio 2018 il 21:43
Grazie a te per i consigli invece! Pur avendo studiato approfonditamente la struttura delle storie ho a lungo snobbato la letteratura come media, che ho sempre trovato la più noiosa delle forme di racconto. Un giorno di non troppo tempo fa però mi sono imbattuto nel santuario della Dea e nel fortino del Duca, e li sono stato illuminato sui miei (ma soprattutto altrui XD) errori di gioventù. Sarà un piacere seguire un altra roccaforte della buona scrittura/drammaturgia, nel belpaese sono sempre troppo poche!
29 Ottobre 2019 il 13:39
Secondo me, non bisogna escludere nessuna delle due, possono entrambe insegnare e trasmettere qualcosa.
Articoli davvero interessante!
3 Novembre 2019 il 11:26
Grazie mille, Maria! A cosa ti riferisci quando affermi che non bisogna escludere nessuna delle due?
3 Novembre 2019 il 12:02
In risposta alla tua domanda finale “E voi cosa ne pensate? Siete più attaccati alla produzione letteraria “antica” di cui avete letto a scuola, o preferite la narrativa moderna e contemporanea?” ☺
30 Ottobre 2019 il 6:41
Ciao, quando scrivi di Chuck Palahniuk con l’abolizione dei verbi sensoriali e di pensiero nel POV, questo può essere simile in qualche modo al discorso libero indiretto oppure sono due tecniche completamente differenti?
3 Novembre 2019 il 11:39
Ciao Gio, non proprio. Il discorso libero indiretto è inevitabile, a mio avviso, se ci s’immedesima nel personaggio POV, soprattutto se parliamo di narrazione in prima persona. I pensieri del personaggio e la narrazione sono una cosa sola. Tuttavia, l’abolizione dei verbi sensoriali di Palahniuk si spinge più avanti: oltre a non “pensare”, il personaggio non “sente di sentire” in tutti i sensi. In altre parole, se il POV vede qualcosa, descriviamo quella cosa e basta; se ode un rumore, descriviamo il rumore; se ha freddo, descriviamo gli effetti di quella sensazione (battere i denti ecc.).