
Genere: Fantascienza
Editore: Donald I. Fine, Nord il 1 Gennaio 1985
Pagine: 312
Punteggio: 4/5
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Descrizione:
Nel 2103 l'umanità ha scongiurato l'olocausto nucleare, ma l'impiego selettivo di una micidiale polvere radioattiva ha comunque segnato il destino della civiltà. Sulla costa occidentale degli Stati Uniti, in un desolato scenario di angoscia e disperazione, si aggira Tom O'Bedlam, un vagabondo mite e visionario. Dotato di strani poteri Tom è immerso in estatiche visioni di gerarchie celesti, imperi galattici, fantastiche creature e meravigliosi paesaggi alieni, al di là di enormi distese di tempo e di spazio. Ma chi è realmente Tom O'Bedlam? Un pazzo invasato, un mutante telepatico, o il profeta di una nuova rivelazione? Le strane visioni acquistano un nuovo significato quando nella mente di altri personaggi affiorano lentamente sogni e allucinazioni ricorrenti che proiettano le stesse immagini di cui parla Tom. Estasi e angoscia, stupore e inquietudine, ognuno reagisce in modo diverso allo strano fenomeno, ma l'effetto è incontrollabile e nessuno sembra sfuggirvi: Elszabet, direttrice di un'isolata clinica psichiatrica; Charley, capo di una banda di razziatori; Jaspin, un antropologo fallito; Senhor Papamacer, fondatore di un culto messianico che attira migliaia di fanatici. Quando una sonda lanciata molto tempo prima raggiunge Proxima Centauri e rimanda le immagini di uno dei mondi evocati da Tom, non sembrano esserci più dubbi... Ma il tempo della trasmigrazione è ormai prossimo, e Tom si prepara a compiere il rito finale, nel quale a tutti sarà concesso di raggiungere quei mondi di sogno e di beatitudine. Ma qual è il significato di quest'ultima esperienza? Il segreto dell'immortalità e della trascendenza o la fuga allucinata da un mondo di follia e disperazione? Con questo romanzo stimolante e provocatorio, Robert Silverberg ritorna finalmente dopo molti anni ai temi della sua migliore fantascienza.
Il Ritorno alla New Wave
L’Ora del Passaggio è un romanzo di fantascienza scritto dal grande Robert Silverberg nel 1985, esattamente un anno dopo la pubblicazione del mitico Gilgamesh the King. Fu l’ennesimo cambio di rotta per il Gran Maestro della fantascienza; se la sua produzione degli anni ’80 stava solcando nuovi cieli, in particolare col successo della saga di Majipoor, L’Ora del Passaggio si configura come un ritorno alla sci-fi degli anni ’70, nonché ai temi che l’autore newyorchese ha prediletto in quegli anni.
Parliamo di vita e morte, apocalisse, distopia, fede e messianismo, temi che Silverberg ha affrontato ne Il Libro dei Teschi o in Shadrach nella Fornace, tra i tanti. Eppure, L’Ora del Passaggio è qualcosa di nuovo, perché la penna è quella del Silverberg maturo, che ha saputo realizzare le aspirazione letterarie che ha sempre inseguito.
L’Ora del Passaggio fu nominato, nel 1985, al Premio Locus, ma non è una delle opere di Silverberg che ha goduto di maggior diffusione. In Italia abbiamo una singola edizione; l’unica a non riportare il titolo originale, Tom O’ Bedlam, ma non solo. Il momento a cui si riferisce il titolo è tradotto, all’interno del romanzo, come Traversata e non Passaggio… a testimonianza di ciò che ci aspetta: un’edizione con tanti refusi, certo, ma nulla in confronto alla ripugnante traduzione.
Va detto che il libro è particolarmente difficile da tradurre, a causa dell’uso smodato di slang, neologismi e quant’altro. Tuttavia, nulla giustifica il vergognoso lavoro di traduzione ed editing svolto sul romanzo, con scelte surreali (come la traduzione di redhead con testarossa…) ed errori vari. Un peccato, perché L’Ora del Passaggio avrebbe meritato, e meriterebbe, un trattamento decisamente migliore.
Dunque si tratta di un gradito ritorno, o di un buco nell’acqua? Scopriamolo!
Tom, Ed, Jaspin ed Elszabet
La narrazione è in terza persona (limitata) al passato e si apre col punto di vista di Tom, pazzo mendicante che si aggira sulla costa occidentale degli Stati Uniti. Lo scenario che Silverberg ci prospetta è post-apocalittico: la Guerra della Polvere ha spazzato via gran parte della civiltà occidentale (e mondiale?) lasciando soltanto ruderi e scarti. La maggior parte delle persone vive in condizioni di disagio, isolata e in costante pericolo, mentre le radiazioni, i bandido e i grattatori imperversano impuniti.

Silverberg è stato abile nel tracciare i pochi e desolati dettagli che compongono l’ambientazione. Uno scenario, per forza di cose, desertico, che ben contrasta con le visioni di sgargianti pianeti “captate” da Tom. Visioni che, col procedere della narrazione, verranno condivise dagli altri personaggi e approfondite sempre più. Sì, perché Tom è solo uno dei protagonisti.
Il punto di vista si alterna, capitolo per capitolo, tra vari personaggi. I principali (e fissi) sono Jaspin, Elszabet, Ed Ferguson e Tom/Charley. Un pot-pourri di voci narranti che, devo ammetterlo, non mi sarei mai aspettato fossero così ben gestite. Silverberg non è nuovo a esperimenti simili; si pensi, tra i tanti esempi, a Il Libro dei Teschi, in cui la narrazione in prima persona si alternava tra tre personaggi. Ebbene, avevo criticato quel romanzo proprio per la caratterizzazione non sufficiente delle voci. Cosa che non accade in L’Ora del Passaggio.
Silverberg ha corretto il tiro in tutti i sensi. L’uso della terza al posto della prima è molto intelligente, poiché rende le cose più facili e l’immedesimazione è comunque profondissima. I pensieri dei personaggi si mischiano alla narrazione e le loro menti filtrano gli eventi in una terza persona intima; non a livello della prima, ma poco ci manca. In compenso, ciascuna voce narrante è splendidamente caratterizzata e si differenzia nettamente dalle altre.

Tom è il messia invasato e di buon cuore che fantastica, sta all’erta e cerca di non giudicare troppo negativamente gli altri, ma è dotato di grande intuito ed empatia. Jaspin è lo studioso ebreo decaduto (personaggio ricorrente nei romanzi di Silverberg) che analizza tutto, si piange addosso e si nasconde alla vita, ma inizia ad abbandonarsi a un nuovo culto. Elszabet è una donna estremamente razionale, posata, con la testa sulle spalle… e riservata, con la costante paura di perdere il controllo (a cui si aggrappa con tutte le sue forze) e di perdersi. Ed Ferguson è l’imbroglione cinico che crede di saperla più lunga degli altri, che ha paura delle persone e non guarda in faccia a nessuno.
I personaggi sono uno dei punti forti de L’Ora del Passaggio. Riesce difficile condensarli in poche righe, perché ciascuno di loro gode di grande profondità. Inoltre, ognuno si apre pian piano, in tutti i sensi, e va incontro a una trasformazione. Notevole, considerando quanti sono, com’è notevole il modo in cui le varie personalità deformano la voce narrante. I personaggi parlano, agiscono, provano emozioni, interpretano e, soprattutto, pensano in modo estremamente diverso. E non sono dei banali archetipi, ma esseri umani a tutto tondo.
Per quanto mi riguarda, uno degli aspetti più emozionanti del romanzo riguarda proprio il modo in cui i personaggi reagiscono alla premessa speculativa. Questa è molto semplice: le persone iniziano ad avere visioni (che Tom ha sempre avuto) di altri mondi, bellissimi e fatati, in sogno. Visioni che, come detto, si rinforzano man mano, finendo per irrompere nella realtà, anche ad occhi aperti. Ma perché ciò sta accadendo? E a cosa condurrà? Questa è la domanda che pone il romanzo.
Domanda che, mi duole ammetterlo, si sviluppa troppo, troppo lentamente.
L’Ora del Passaggio… che non passa mai
Silverberg getta le fondamenta della speculazione nel giro delle prime pagine, e la situazione rimane statica per un bel pezzo. Poi, proprio quando la vicenda inizia a prendere un poco di slancio, l’autore rimette il freno a mano e continua a rimandare. Fortunatamente le cose succedono, ma soltanto nell’ultima parte del romanzo, che brilla per questo motivo.

La narrazione si focalizza sull’elemento sociale-relazionale, come spesso accade nella fantascienza anni ’70. Le conseguenze della Guerra delle Polveri, la precarietà della vita quotidiana, la sindrome di Gelbard (una sorta di malattia mortale di kierkegaardiana memoria, non a caso citata direttamente nel testo). Inoltre, a ciascun protagonista spetta il tempo di reagire, pian piano, agli eventi, mostrando i rivolgimenti interiori ora dell’uno, ora dell’altro.
L’Ora del Passaggio è ricchissimo di introspezioni. Troppe, a mio avviso, ridondanti e spesso non necessarie ai fini della trama. Tuttavia, molte di esse si attestano ad alti livelli, con picchi di eccellenza perfino superiori a quelli di Morire Dentro. Da questo punto di vista, Silverberg si è superato… e, forse, a discapito del romanzo stesso. Come se non bastasse, descrizioni si susseguono a descrizioni, anche queste a volte non necessarie e a dir poco prolisse. Il risultato è un ulteriore rallentamento dell’opera.
Ciò detto, credo che un ritmo non propriamente veloce sia connaturato all’opera. Gli errori di cui sopra ci sono, ma non implicano che il romanzo sia da tagliare a metà. Certamente una bella potatura e un editing serrato avrebbero aiutato molto; tuttavia, a posteriori appare evidente come alcuni contrattempi non siano tali, sia ai fini della trasformazione dei personaggi sia per la risoluzione della storia.
Non posso dire altro per non fare spoiler, ma chi ha letto il libro capirà a cosa mi riferisco. In realtà, l’intreccio de L’Ora del Passaggio è più fitto e intelligente di quanto non sembri, sebbene resti a dir poco annacquato.
Il verde giunse per primo: piccole volute di densa nebbia impastata, che penetravano furtive nella sua mente. Era abbastanza vicina alla coscienza da sapere ciò che cominciava ad accadere. Ed era abbastanza addormentata che non gliene importava. Aveva tentato di respingere quella cosa fintanto che le era stato possibile. L’invasione del rifugio, una estraneità aliena che era filtrata fin là dentro Dio solo sapeva da dove. Adesso non era più capace di tenerla a bada. Il fatto di dover finalmente cedere le fece quasi provar sollievo. Vai avanti, disse al sogno. Procedi pure. Avvieni. Era ora, no? È il mio turno. D’accordo. È il mio turno, allora.
L’Ora del Passaggio, pag. 121-122.
Verde.
Un cielo verde, un’aria verde, nuvole verdi. Il fianco della collina, il fiume molto più in basso, i prati che si perdevano fino all’orizzonte. Ogni cosa pareva morbida e amichevole, un dolce paesaggio tropicale. Eleganti alberi senza foglie, agili tronchi verdi, scagliosi rami verdi che si attorcigliavano verso l’esterno, reincurvandosi verso il suolo. Il sole visibile a stento dietro il velo della nebbia. Forse anche il sole era verde, pur se era difficile dirlo con sicurezza, visto il modo in cui la luce giungeva offuscata attraverso tutto quel turbinare di nebbia lanosa.
Qualcosa le stava facendo cenno.
Creature cristalline, agili, quasi delicate. I loro corpi dai lunghi arti luccicavano. I loro occhi scuri erano luminosi e scintillanti, una fila di tre su ciascuno dei quattro lati delle loro teste. Si stavano dirigendo verso un lucido padiglione sulla collina, appena oltre il punto dove lei si trovava, e la stavano invitando ad andare con loro, chiamandola per nome, Elszabet, Elszabet. Ma il modo in cui lo dicevano non era terrestre e suscitava un reverenziale timore, un silenzioso sussurro riverberante che risuonava su se stesso più e più volte, un bisbiglio in una camera piena d’echi che aveva come caratteristica un sibilo arcano e uno sfondo simile al rombo di venti lontani: Elszabert… Elszabet…
Sto arrivando, lei rispose. E mise la sua mano nelle loro mani fredde e cristalline e lasciò che la portassero via. Galleggiava appena sopra il terreno. Di tanto in tanto un filo di spessa erba carnosa le sfiorava le dita dei piedi: quando ciò accadeva, lei avvertiva un pizzicore acuto, ma non spiacevole, e sentiva un suono di campane.
Adesso stava entrando nel padiglione. Pareva fatto di vetro, ma di un vetro stranamente cedevole, caldo e gommoso al tocco, come lacrime coagulate. Tutt’intorno si muovevano quei delicati esseri cristallini, chinandosi su di lei, sorridendole, accarezzandola. Dicendole i loro nomi: il principe di questo, la contessa di quello… Un gatto di cristallo camminava fra loro.
Visioni di Mondi Spaziali?
Tornando all’ambientazione, uno dei punti forti riguarda non tanto l’America post-apocalittica, quanto le visioni da sogno dei mondi spaziali. Ognuna di esse è contraddistinta da almeno un elemento unico, iconico e di grande suggestione. Il Mondo Verde, in particolare, si mostra assai seducente e unisce alla perfezione le fantasie sci-fi con delle atmosfere oniriche. La narrazione acquista, così, toni irreali e sognanti, che crescono con l’avanzamento della trama, aumentando parallelamente il sense of wonder.

Quest’aspetto del romanzo ricorda il romanticismo e i sogni de Il Castello di Lord Valentine, pubblicato da Silverberg solo pochi anni prima. A ben vedere, infatti, ne L’Ora del Passaggio si scorgono le varie esperienze e sperimentazioni che l’autore ha compiuto nella sua lunga carriera. Si potrebbe dire, da questo punto di vista, che l’opera costituisca un insieme di immagini, personaggi, temi e suggestioni care all’autore.
Un insieme, però, perfettamente organico, compiuto e funzionante. Ciò che lega il tutto è certamente l’idea di fondo, così semplice e stuzzicante al tempo stesso. Eppure, essa non sarebbe sufficiente, visti i tempi e gli sparuti accadimenti, se Silverberg non l’avesse impostata in un certo modo. Reduce dalla scrittura di Gilgamesh the king, l’autore deve aver trovato calzante l’uso della medesima intuizione. E sì, come in quel grandioso romanzo, funziona a meraviglia.
Per non rovinare la sorpresa, dirò solo che anche L’Ora del Passaggio ha una duplice chiave di lettura… ed è questo il reale valore dell’opera. L’elemento speculativo è portato agli estremi con assoluta coerenza, fino a smascherare non solo i personaggi, ma la realtà stessa. Il pavimento frana sotto i piedi del lettore, che può sperare in un senso o nell’altro, ma non otterrà la risposta che cerca. Ed è giusto così.

Ho trovato delizioso il finale de L’Ora del Passaggio. Emozionante, intelligente, tematico, spietatamente coerente e, per questo motivo, non adatto a tutti. Si potrebbe dire lo stesso del romanzo in generale, visti i difetti che ne pregiudicano il godimento. La domanda è: ne vale la pena? Come credo di aver evidenziato, i pregi superano nettamente le lacune e l’esperienza, una volta consumata, non può lasciare indifferenti.
Eppure, anche questo rappresenta un problema. Ci sono lettori che vogliono essere incuriositi, sfiziati, divertiti… ma lasciati in pace, a lettura terminata. Per quelle persone, paradossalmente, L’Ora del Passaggio non sarà abbastanza, perché non sono nella posizione di coglierne le implicazioni. Che sono tante, troppe e pesanti, come le numerose citazioni che Silverberg sfoggia o cela, alternativamente, nel testo (come Tom stesso, ispirato all’omonimo poema). È un romanzo di genere, ma ha velleità letterarie che, per quanto mi riguarda, realizza pienamente, superando testi ben più blasonati della narrativa mainstream.
Questo è un motivo ricorrente con Silverberg e ammetto che, per i miei gusti, non riesce sempre nell’intento. Perfino Morire Dentro, una delle sue opere più acclamate e smaccatamente letterarie, è un ibrido che non si spinge così a fondo, nonostante l’ispirazione delle introspezioni. Ebbene, non è il caso de L’Ora del Passaggio. Silverberg ha orchestrato qualcosa di imperfetto, sì, ma che va ben oltre le prodezze stilistiche o la somma delle singole parti.
Non dategli una chance. Datevi una chance.
Conclusione: consigliato!
Contro:
- Edizione italiana con refusi e una traduzione ripugnante.
- La trama procede troppo, troppo lentamente.
- Tante introspezioni inutili e ridondanti.
- Tante descrizioni inutili e ridondanti.
- L’idea disattende alcune delle sue premesse per concentrarsi sugli aspetti socio-relazionali.
Pro:
- Caratterizzazione delle voci narranti straordinaria. Uso perfetto della terza persona intima.
- Personaggi profondi e sfumati, mai banali.
- Alcuni passaggi di altissimo livello.
- Concept semplice e geniale, portato agli estremi con spietata coerenza.
- Intreccio più fitto e intelligente di quanto non sembri.
- I mondi spaziali sono estremamente suggestivi.
- Duplice chiave di lettura.
- Un’opera ricca di contenuti, tra temi (di cui uno portante che lega l’intera esperienza), spunti e citazioni.
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