
Genere: Dark Fantasy, High fantasy
Editore: Nord, supernowa il 31 Gennaio 1993
Pagine: 370
Punteggio: 3/5
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Descrizione:
Geralt è uno strigo, un individuo più forte e resistente di qualsiasi essere umano, che si guadagna da vivere uccidendo quelle creature che sgomentano anche i più audaci: demoni, orchi, elfi malvagi... Strappato alla sua famiglia quand'era soltanto un bambino, Geralt è stato sottoposto a un durissimo addestramento, durante il quale gli sono state somministrate erbe e pozioni che lo hanno mutato profondamente. Non esiste guerriero capace di batterlo e le stesse persone che lo assoldano hanno paura di lui. Lo considerano un male necessario, un mercenario da pagare per i suoi servigi e di cui sbarazzarsi il più in fretta possibile. Anche Geralt, però, ha imparato a non fidarsi degli uomini: molti di loro nascondono decisioni spietate sotto la menzogna del bene comune o diffondono ignobili superstizioni per giustificare i loro misfatti. Spesso si rivelano peggiori dei mostri ai quali lui dà la caccia. Proprio come i cavalieri che adesso sono sulle sue tracce: hanno scoperto che Geralt è gravemente ferito e non vogliono perdere l'occasione di eliminarlo una volta per tutte. Per questo lui ha chiesto asilo a Nenneke, sacerdotessa del tempio della dea Melitele e guaritrice eccezionale, nonché l'unica persona che può aiutarlo a ritrovare Yennefer, la bellissima e misteriosa maga che gli ha rubato il cuore...
The Witcher, un successo planetario
Chi non conosce The Witcher, fortunata serie videoludica, serie TV e, originariamente, saga di romanzi fantasy? Prima di prendere questo nome, italianizzato ne “lo strigo”, il personaggio inventato dalla penna del polacco Andrzej Sapkowski era chiamato Hexer dal pubblico internazionale e wiedźmin in lingua originale. E fu The Hexer anche nella versione internazionale dell’omonimo film, uscito nel 2001, come nella serie televisiva del 2002, entrambi ormai dimenticati.
Fu CD Projekt Red, software house polacca che sviluppò il videogioco, a tradurre wiedźmin nel più famoso witcher. Nel 2007 uscì, dunque, il primo videogioco della saga, e fu subito un successo. The Witcher 2: Assassins of Kings uscì nel 2011, battendo il predecessore nell’accoglienza di critica e pubblico, nonché di mercato. Ma fu il terzo capitolo, The Witcher 3: the Wild Hunt, a reclamare lo status di pietra miliare del mondo videoludico e a rilanciare, al tempo stesso, la produzione letteraria.
Del resto, quei capolavori dei videogiochi non sarebbero mai nati senza la controparte letteraria. Quest’ultima aveva già goduto di un grande successo in Polonia, negli anni ’90, e nel resto del mondo dal 2007 in poi. I libri di Andrzej Sapkowski furono accolti con clamore ed entusiasmo dal panorama fantastico a causa del tono, i temi e le ambientazioni a dir poco… inusuali per il genere. All’epoca, il fantasy più cupo e maturo non era ancora affermato come oggi.
Lo ricordo bene. La mia prima esperienza coi libri fu intorno al 2009, credo. Avevo giocato al videogioco e non mi aveva fatto impazzire, lo ammetto, a differenza dei due titoli successivi, che ho amato. Tuttavia, tra gli appassionati si iniziò a parlare di The Last Wish (titolo inglese de Il Guardiano degli Innocenti) con sempre maggiore frequenza e interesse. Tant’è che decisi di leggere l’ebook della Orbit, quello con la copertina rossa edito nel 2008, in lingua originale.
Adoperai il mio caro, vecchio Sony PRS-650, quando il Kindle era un lontano miraggio.
All’epoca, quello era un tipo bizzarro di narrativa fantastica, almeno per un pubblico mainstream. La facevano ancora da padrone atmosfere fiabesche, eroi della luce, storie moraleggianti e stereotipate che, spesso, facevano relegare il fantasy alla letteratura per bambini e ragazzi. Le vicende più serie e articolate erano appannaggio della fantascienza.
L’high fantasy alla Tolkien era ancora stretto nella sua maglia d’acciaio, insomma, ma iniziavano a sbucare titoli interessanti, in grado di scardinare quella concezione. È il caso della trilogia de La Prima Legge di Joe Abercrombie, anch’essa letta con entusiasmo dagli appassionati nostrani ben prima che fosse tradotta e l’autore diventasse un caso internazionale.
Ci provai anch’io, ma la trovai una noia mortale. Il Guardiano degli Innocenti, invece, mi fece un’impressione di gran lunga migliore. E oggi? La popolarità della saga è esplosa, perfino in Italia la si ristampa per intero e Netflix ci dedica una serie originale. Per non parlare dei succitati videogiochi, The Witcher 3 in primis, con circa trenta milioni di copie vendute. Trenta. Milioni. E poi ancora fumetti, giochi da tavolo...
The Witcher è, ormai, un brand milionario a tutti gli effetti.
Tuttavia, la saga di romanzi non necessita minimamente dei videogiochi per essere goduta, anzi. Lo stesso dicasi della serie TV. Certo, la prima stagione è proprio la trasposizione dei racconti presenti nelle due antologie Il Guardiano degli Innocenti e La Spada del Destino… tuttavia, non preoccupatevi: la visione della serie non pregiudica il piacere della lettura.
E se, come me, avete trovato la serie un’orribile accozzaglia di parrucche e costumi da quattro soldi, ambientazioni di cartapesta, sceneggiatura da vomito, attori indecenti (con in testa quella parodia vivente del protagonista), non preoccupatevi comunque, perché le antologie hanno tutt’altra qualità e si sviluppano in maniera differente.
Nota per chi ha giocato ai videogiochi: anche qui non c’è nulla da temere, poiché essi non seguono la storia narrata da Sapkowski ma ricreano una trama originale posteriore all’ultimo libro della saga!
Il Guardiano degli Innocenti: dark fantasy?
Come specificato poc’anzi, Il Guardiano degli Innocenti è un’antologia di racconti. Eppure, quella dello strigo è una saga di romanzi. Perché iniziare con dei racconti, allora? È una domanda che si fanno in molti e che ha una semplice risposta: perché l’ordine cronologico parte dai racconti. Sapkowski ha inteso le due antologie, Il Guardiano degli Innocenti e La Spada del Destino, come introduzioni al mondo dello strigo e ai suoi personaggi.

Il Guardiano degli Innocenti è, in particolare, un’efficace introduzione al mondo fantastico inventato da Sapkowski e al suo protagonista, lo strigo Geralt di Rivia. Un mutante trasformato dalla Prova delle Erbe, un mercenario che uccide mostri per soldi. La cronologia completa è la seguente: Il Guardiano degli Innocenti, La Spada del Destino, Il Sangue degli Elfi, Il Tempo della Guerra, Il Battesimo del Fuoco, La Torre della Rondine, La Signora del Lago. Due antologie e cinque romanzi.
Nel 2013, a saga ormai conclusa, l’autore ha pubblicato un nuovo romanzo, La Stagione delle Tempeste, che si inserisce cronologicamente tra Il Guardiano degli Innocenti e La Spada del Destino. Tuttavia, a differenza degli altri, la lettura non è “necessaria” ai fini della saga, poiché il volume si distanzia dagli eventi che seguiranno.
Ma torniamo a Il Guardiano degli Innocenti. Lo dico subito: l’antologia mi piacque allora e continua a piacermi. Le sensazioni del passato hanno trovato conferma in una nuova rilettura, con occhi più maturi e maggiori conoscenze. Tuttavia, non è un lavoro esente da imperfezioni, come vedremo a breve.
Il Guardiano degli Innocenti è breve ed elegante e anche questo, in un contesto in cui fioccano tomi interminabili e storie annacquate, è già di per sé inusuale. Il libro presenta sette racconti, uno dei quali funge da cornice narrativa e si ricollega alla timeline degli altri volumi.
I racconti sono succinti e to the point. L’architettura delle varie storielle è semplice, basilare e anche un po’ ripetitiva; i colpi di scena sono facili da scorgere, una volta capito l’andazzo, e non resta nulla di incompreso al termine, neanche nel caso dei finali più aperti. Non è così scontato, quando si ha a che fare col primo volume di un fantasy.

Sapkowski è riuscito a introdurre il protagonista, alcuni comprimari, luoghi ed elementi fantastici con maestria e stringatezza. Ma soprattutto, l’autore ha tratteggiato il mondo tetro della saga con poche, efficaci pennellate. Abbiamo a che fare con un fantasy medievaleggiante, ricco di magia e alcune razze tolkieniane, certo, ma non solo: il world-building di The Witcher è fortemente intrecciato al folklore est-europeo e, in particolare, polacco.
Molte delle creature citate da Sapkowski attingono da quel background. Così tantissimi altri elementi ambientali, paranormali, di costume e così via. Il risultato è un fantasy che ricorda alcune fiabe slave raccontate per spaventare i bambini, ma con un’impalcatura molto più articolata e dettagliata, anche di elementi storici. Blasoni, sciabole, nomi spigolosi dal suono inconfondibilmente polacco… tutto ricorda la terra dell’autore e arricchisce le radici norrene del fantasy tradizionale.
Ma Sapkowski si è spinto oltre. Ne Il Guardiano degli Innocenti, come nei libri successivi, l’ambientazione è particolarmente cruda, violenta, realistica. Anzi, direi che l’autore ha calcato sull’efferatezza al punto da andare oltre il realismo. Quello di The Witcher è il Medioevo più buio che si possa immaginare, in cui indigenza, stupri, assassinii, attacchi di mostri e di briganti sono all’ordine del giorno. E i personaggi si comportano di conseguenza.
Almeno in teoria.
Le opere di Sapkowski si basano sul rovesciamento del buonismo di certi fantasy e sfoggiano un sistema etico ben più complesso e sfumato. La morale è incerta, volubile, ricca di zone grigie ed è in queste zone che operano gli attori del mondo dell’autore. Non ci sono scelte vincenti, prive di conseguenze, “giuste” in toto, né eroi senza macchia e senza paura.
Almeno, in teoria. Sì, perché qui risiede il primo limite della serie, a mio avviso.

Ne Il Guardiano degli Innocenti, tale limite si manifesta fin da subito. Da un lato, la storia ci mostra come gli uomini siano i veri mostri, in tanti casi; come il “male” sia relativo, e ancor di più il male minore; come il nostro eroe sia anche un assassino, una persona così spaventosa da somigliare ai mostri che uccide, e non un Santo. Eppure, non è una persona senza scrupoli. Per niente.
Geralt di Rivia è un killer, certo, ma aderisce fermamente a un codice non scritto. Non uccide gli esseri innocui, né le persone (a meno che non sia costretto, cosa che accade… spesso), dice di non immischiarsi nei problemi che non lo riguardano perché non vuole essere un eroe. Tali attributi positivi ci consentono di empatizzare con lui, cosa altrimenti difficile in questo tetro mondo. Anzi, Geralt diviene una zattera sicura su cui navigare nella feccia umana descritta dall’autore.
Tuttavia… le azioni di Geralt lo smentiscono fin troppo spesso. Non rifiuta praticamente mai di aiutare chi è in difficoltà e, se rifiuta, cambia idea; non ci pensa due volte a salvare qualcuno, anche mettendosi in grave pericolo; non si comporta male con nessuno, non fa torti e, se accade, è per una buona ragione. Se sbaglia, siamo sempre portati a giustificarlo, perché aveva buone intenzioni. E poi, da tradizione, le donne gli saltano addosso.
Insomma, a dispetto di tutto Geralt è proprio un eroe e fa ciò che fanno tutti gli eroi dei fantasy classici: tenta di redimere il mondo, nel suo piccolo. In questo, Il Guardiano degli Innocenti si dimostra più tradizionale e scontato di quanto non appaia di primo acchito. Nell’antologia come nei videogiochi, infatti, la morale non è mai grigia per davvero e i valori sono quelli che condividiamo al giorno d’oggi.
Si tratta sempre di salvare vite umane, vite mostruose o, comunque, di proteggere gli indifesi. Di fare giustizia, secondo i nostri canoni. Nessun vero dilemma interiore, dunque, nessuna implicazione reale del world-building, niente che riesca a ribaltare il tavolo con tutte le carte. Ed è un bene, forse, o la saga di The Witcher non avrebbe raggiunto il successo globale di cui gode.

Parlavo di implicazioni del world-building per una ragione. Uno dei temi portanti dell’antologia riguarda la diversità e il pregiudizio. Geralt racchiude entrambi gli aspetti, poiché è uno strigo e le persone si tengono lontane da lui, lo prendono a pietrate, lo insultano e così via. Quale assurdità! Prima di tutto, nella vita reale chiunque temerebbe a morte un mutante-mago e ammazza-mostri professionista; di certo non cercherebbe la rissa con lui.
Cosa che puntualmente accade. E poi, si parla tanto di come il mondo sia infestato, eppure non c’è nessuna riconoscenza per la professione di Geralt. Oltre che temuto, uno strigo dovrebbe essere rispettato. Si dice, poi, che quelli come lui non abbiano emozioni, che siano disumani; pregiudizio, appunto, giacché Geralt non è così. Ma Geralt è… troppo normale. Soprattutto per uno che ha passato l’inferno e combatte l’inferno quotidianamente.
Dire che crescere come strighi sia un trauma è dire poco. Non vi spoilero perché, ma credetemi sulla parola. Tuttavia, non c’è nessuna traccia di questo nella banalissima psiche di Geralt. Lo stesso dicasi del suo aspetto: dovrebbe essere sgradevole e inquietante, a detta di tutti, ma nella pratica risulta solo più bianco degli altri e alle donne la cosa non pare dispiacere. Insomma, Geralt dovrebbe essere un freak terribilmente pericoloso, solo ed emarginato, e invece… è il fico più popolare della scuola.
Che spreco di dettagli. La narrazione è un profluvio di fandonie che si smentiscono da sole: non si parla d’altro che di crudeltà e cose orribili, ma nelle storie ne accadono ben poche e l’autore si guarda bene dal descrivere la violenza (o il sesso, se è per questo) con realismo e dovizia; Geralt chiagne e fotte, letteralmente; tutti soffrono ma la sofferenza non l’avverte nessuno, e Geralt meno di tutti. Nessuno struggimento, nessun dolore vero…
Luci e Ombre dello Strigo
Ciò detto, l’ambientazione de Il Guardiano degli Innocenti resta coinvolgente. Non ci sono preamboli, orribili introduzioni e spiegoni: l’autore catapulta il lettore in medias res, ma senza confonderlo. Merito di una buona pianificazione delle scene e di due elementi in particolare: le descrizioni e i dialoghi.
Anche qui, le prime si discostano dagli stereotipi fantasy, barocchi e fumosi. Le descrizioni sono funzionali e, in larga parte, efficaci. L’autore fa uso di un linguaggio un po’ “tecnico“, in certi casi, ma preciso senza necessità di ulteriori aggiustamenti. Sono descrizioni minimali, a vantaggio dell’ottimo ritmo narrativo ma non dell’atmosfera. Ammetto che avrei gradito qualche parola in più in molti contesti, così da visualizzarli meglio.

E qualche parola Sapkowski ce la mette, ma nei punti sbagliati. Capita che l’autore aggiunga un po’ di aggettivi senza che ci sia il minimo bisogno. Nulla di stucchevole, grazie alla speditezza del resto della narrazione. D’altronde, capita spesso di incontrare avverbi che liquidano le descrizioni, penalizzandole ulteriormente. Il punto più basso, a tal proposito, si tocca con le scene d’azione. Purtroppo, sono poche quelle che mi hanno convinto appieno.
Lo strigo piroetta qua e là e… non si capisce quasi niente. I combattimenti sono spesso confusionari e necessitavano di più punti di riferimento con, magari, meno azioni e caciara. Per fortuna sono riuscito a capire e immaginare alcuni dei momenti chiave, nelle colluttazioni, ma poco del contorno.
Il pesce siluro sporse la testa baffuta al di sopra della superficie, diede un forte strappo e, agitandosi in acqua, fece balenare la pancia bianca.
«Attento, Ranuncolo! Tienilo, maledizione!» gridò lo strigo puntando i tacchi nella sabbia bagnata.
«Lo tengo… Madre mia, che mostro! È un leviatano, non un pesce! Per tutti gli dei, avremo da banchettare!»
«Allenta, allenta, o la lenza si spezzerà!»
Il pesce siluro si aggrappò al fondo, poi, con uno slancio improvviso, si mosse contro corrente in direzione dell’ansa del fiume. La lenza sibilò, i guanti di Ranuncolo e Geralt fumarono.
«Tira, Ranuncolo, tira! Non allentare, o s’impiglierà in una radice!»
«La lenza si spezzerà!»
«Non si spezzerà! Tira!»
Si curvarono, tirarono. La lenza lacerò l’acqua con un sibilo, vibrò, gettando una pioggia di goccioline brillanti come mercurio nel chiarore del sole nascente. All’improvviso il pesce siluro emerse e si agitò appena sotto la superficie, facendo allentare la tensione della corda. Cominciarono a ridurre il gioco.
«Lo affumicheremo. Lo porteremo al villaggio e ce lo faremo affumicare. E con la testa prepareremo una zuppa!» disse Ranuncolo ansimando.
«Attento!»
Sentendo un banco di sabbia sotto la pancia, il pesce siluro spuntò fuori dell’acqua con metà del grosso corpo lungo due tese, diede uno strappo con la testa, una frustata con la coda piatta e si gettò di colpo nelle profondità del fiume. Dai guanti dei pescatori si levò di nuovo del fumo.
«Tira, tira! Bisogna portarlo a riva, quel figlio di cagna!»
«La lenza scricchiola! Allenta, Ranuncolo!»
«Regge, non temere! Con la testa… prepareremo una zuppa…»
Il pesce, trascinato di nuovo in prossimità della spiaggia, si agitò e diede degli strattoni furiosi, come per informarli che non si sarebbe fatto mettere in pentola tanto facilmente. Gli schizzi raggiungevano una tesa di altezza.
Ranuncolo, puntando i piedi, tirava la lenza con tutte e due le mani, rosso per lo sforzo. «Venderemo la pelle… E i baffi… coi baffi faremo…»
Nessuno venne mai a sapere che cosa si proponeva di fare il poeta coi baffi del pesce siluro: la lenza si spezzò con uno schiocco ed entrambi i pescatori, perso l’equilibrio, piombarono sulla sabbia bagnata.
«Maledizione a te! Tanto ben di Dio perduto! Che tu possa crepare, figlio di siluro!» Ranuncolo urlò talmente forte che l’eco rimbombò tra i salici.
«Te l’avevo detto di non tirare troppo forte. Hai rovinato tutto, collega. Sei un pescatore come un culo di capra è una tromba», fece Geralt spazzolandosi i calzoni.
«Non è vero! Se quel mostro ha abboccato è merito mio.»
«Curioso. Non hai alzato un dito per aiutarmi a gettare la lenza. Suonavi il liuto e riempivi i paraggi delle tue urla, nient’altro.»
«Ti sbagli. Perché vedi, quando ti sei addormentato, ho tolto dall’amo le larve di maggiolino e ci ho fissato una cornacchia morta che avevo trovato fra gli arbusti. Questa mattina volevo proprio vedere la tua espressione, quando l’avresti tirata fuori. E il pesce siluro ha abboccato alla cornacchia. Mentre alle tue larve non avrebbe abboccato un corno.»
Lo strigo sputò nell’acqua avvolgendo la cordicella intorno a una forcella di legno. «Sarà. Ma la lenza si è strappata perché hai tirato come uno sciocco. Invece di chiacchierare, avvolgi le altre cordicelle. Il sole è ormai sorto, è tempo di mettersi in viaggio. Vado a fare i bagagli.»
«Geralt!»
«Che c’è?»
«Anche a quell’altra cordicella c’è qualcosa…
(Il Guardiano degli Innocenti)
Per quanto riguarda i dialoghi, Sapkowski si è dato da fare. Quelli de Il Guardiano degli Innocenti sono di altissimo livello, in quanto a funzionalità narrativa. Dinamici, pregni di informazioni e, spesso, conflitto, i dialoghi elaborati dall’autore aggiungono ulteriore velocità al già rapido ritmo narrativo, complice l’abbondanza di essi a scapito delle descrizioni. E, ancora, dell’atmosfera e dell’immersione nel mondo narrato.
In certi casi, i dialoghi sono eccessivamente lunghi e sono responsabili della maggior parte del racconto in atto. Eppure, è raro che annoino, poiché muovono la trama e risultano sempre brillanti. Ecco, brillanti è l’aggettivo giusto per descrivere i dialoghi de Il Guardiano degli Innocenti: sono ricchi di battute, non detti, emozioni, risposte argute e piccate. Credo che non mi sia mai capitato di leggere dialoghi del genere, in altri romanzi, e per un motivo.

Sembrerà paradossale, ma i dialoghi di Sapkowski tendono a essere troppo brillanti. La risposta pronta non manca mai, la lingua rimane sciolta in ogni situazione e non accenna a ingarbugliarsi, ogni singolo personaggio parla come un retore professionista… insomma, l’autore ha spinto un po’ troppo sul pedale e i dialoghi sfociano, a volte, nell’hollywoodiano o nel fumettistico, come fossero caricature. E non è, ahimè, l’unica nota dolente.
L’intento dell’autore traspare fin troppo bene dalle parole dei personaggi. In altri termini, alcuni dialoghi risultano a dir poco didascalici. Geralt si trova a disquisire dei massimi sistemi, di giustizia, morale e così via, senza risparmiare lezioni a noi e all’interlocutore. Ciò si sposa con la volontà, più che mai evidente ne Il Guardiano degli Innocenti, di ribaltare la morale, di relativizzarla, di mostrare quanto possa essere complessa e così via.
Ne ho parlato prima, ma non ho detto tutto. L’aura di maturità di cui si ammantano le storie è, per l’appunto, fumo; alcune di queste mi sono sembrate, addirittura, Young Adult. Mi riferisco, per esempio, a Il Confine del Mondo, o a L’Ultimo Desiderio.
Tra spunti comici a dir poco fanciulleschi, dialoghi troppo costruiti e frizzanti, un eroe che fa il duro e poi ha il cuore di cheddar, temi morali da favole esopiche e gettati a forza in una narrazione già rada, la mancanza della struttura portante di un romanzo e di personaggi fissi… Il Guardiano degli Innocenti risulta essere un fantasy per ragazzi, più che per adulti.
Come ho già detto, è tutto scritto col freno a mano tirato, come se il target dell’autore fossero, effettivamente, i più giovani. Anche il punto di vista della narrazione va in questa direzione.

Si tratta di una terza persona per lo più limitata a Geralt, ma con qualche eccezione. In ogni caso, ci permette di spiare nella testa dell’eroe solo a sprazzi ed è caratterizzata da un narratore inaffidabile che non mente, ma cela informazioni. Il risultato è uno stile che sottolinea il mistero senza svelarlo, con tanti non detti e un’introspezione assente. Una buona scelta per un libro giovanile, poiché non appesantisce l’azione e aumenta un po’ la suspense, sebbene in modo artefatto; una cattiva scelta per un libro adulto.
Ancora, i conflitti interiori ai quali va (o dovrebbe andare) incontro il protagonista ci sono preclusi, insieme a una caratterizzazione più matura e sfumata, in linea con l’idea di partenza di Sapkowski. È un vero peccato, perché Il Guardiano degli Innocenti avrebbe potuto ambire a dignità letteraria, e invece… si accontenta di distrarre il lettore per qualche giorno.
E non c’è niente di male nella narrativa di evasione tout court. Non pretendo che ogni libro mi cambi la vita, né che ci provi.
Il Guardiano degli Innocenti risulta comunque una ventata d’aria fresca, soprattutto per il periodo in cui va collocato; il world-building è interessante e originale, la lettura piacevolissima e le promesse infrante, tutto sommato, positive per il suo glorioso destino. Vedremo se la musica cambierà, nei prossimi volumi!
Conclusione: consigliato, più o meno
Contro:
- Eroe banale
- Fantasy per ragazzi mascherato
- Introspezione assente
- Scene d’azione confusionarie
- Descrizioni minimali, poca atmosfera e immersione
- Dialoghi troppo costruiti. Didascalici, in certi casi
Pro:
- World-building interessante e originale
- Influenza slava permeante e dettagliata
- Ritmo narrativo sempre alto
- Descrizioni funzionali
- Linguaggio preciso e piacevole
- Dialoghi brillanti
- Ottimo lavoro introduttivo
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2 risposte
Di The Witcher ho letto solamente questo primo capitolo della saga ma ammetto di esserne rimasto molto colpito e di averlo apprezzato parecchio. Una bella esperienza. Ottima recensione.
Grazie, Butcher!