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Recensione: Flatlandia, di Edwin Abbott

Flatlandia: Racconto fantastico a più dimensioni, di Edwin A. Abbott, è un libretto di fantascienza che, dal nulla, ha conquistato il mondo e rimane attuale un secolo e mezzo dopo.
Flatlandia

Indice

FlatlandiaFlatlandia di
Genere: Fantascienza
Editore: Feltrinelli, Seeley & Co. il
Pagine: 157
Punteggio: 5/5
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Descrizione:

Tra le grandi allegorie letterarie, "Flatlandia" è sicuramente quella che rimane oggetto di maggior culto tra scienziati, cyberpunk e appassionati di letteratura fantastica. Il mondo piatto immaginato e descritto minuziosamente nei suoi usi e costumi da Edwin Abbott può essere abitato soltanto da figure geometriche che frequentano una scala sociale che discende dai poligoni fino ai triangoli (e più in là fino alle povere semplici linee rette – le donne – a cui non è data neppure la bidimensionalità), tutte quante inconsapevoli della possibile esistenza di dimensioni altre. Abbott delinea in queste pagine una satira assai poco velata della società vittoriana rigidamente divisa in classi. Ma il fascino di "Flatlandia" va ben oltre il contingente del pamphlet politico. Nella seconda parte del libro Abbott narra difatti l’incontro del suo protagonista, il Quadrato, io narrante dell’opera, prima con il mondo monodimensionale di Linealandia, e in seguito con un’inconcepibile Sfera, alla ricerca di un apostolo che possa divulgare il concetto della tridimensionalità nel paese di Flatlandia, trascinando così il Quadrato in un viaggio iniziatico in altre dimensioni.

Dal Nulla, x Caso, x Sempre

Flatlandia: Racconto fantastico a più dimensioni è un romanzo breve scritto dal reverendo Edwin Abbott Abbott, teologo e prete anglicano, nel 1882 e pubblicato due anni dopo dalla casa editrice britannica Seeley & Co. Si tratta di un libello satirico che possiede, a tutti gli effetti, i tratti caratteristici della narrativa fantascientifica (e science fantasy). In anticipo sui tempi, l’opera fu apprezzata ma non raggiunse, a stretto giro, il successo planetario… che arrivò, però, poche decadi dopo.

Flatland, Edwin A. Abbott
Flatland, 1992, Dover

Dopo la pubblicazione della teoria della relatività di Einstein, infatti, l’idea di una quarta dimensione acquistò popolarità e il libro fu riscoperto dagli appassionati, per poi arrivare presso il grande pubblico. Fu tal William Garnett, nel 1920, a ricordare l’esistenza del libello in una lettera pubblicata su «Nature». Di lì in poi il libro sarebbe esploso col boom della fantascienza e sarebbe stato letto da James R. Newman (che ne scrisse nel ’56), Carl Sagan (che ne scrisse nell’80), Stephen Hawking e tanti altri.

Oggi, è possibile trovare riferimenti a Flatlandia in Infinite Jest di David Foster Wallace, nel cartone animato Futurama, nella serie tv The Big Bang Theory e chi più ne ha più ne metta. Il libro ha partorito diversi adattamenti cinematografici e televisivi, nonché un gran numero di romanzi e racconti ad esso ispirati. Non è un caso che venga ristampato ad infinitum. E in Italia, perfino! Nel 2008, nel 2011, nel 2018, nel 2019…

Purtroppo Abbott morì nel 1926, ma non senza aver avuto le sue soddisfazioni professionali. Egli fu, infatti, uno stimato rettore e luminare. Flatlandia, del resto, fu un’opera atipica rispetto alla sua vasta produzione di… trattati. Tra manuali scolastici, lavori teologici e studi sui testi sacri, pubblicò più di una quarantina di libri. Lo stesso Flatlandia somiglia, apparentemente, più a un saggio che a un’opera di narrativa. E, in effetti, siamo sicuri che lo sia?

Flatlandia, cortometraggio d’animazione del 1982 diretto dal matematico italiano Michele Emmer, figlio del regista Luciano Emmer.

Flatlandia: 1 Enigma a + Generi

Per alcuni, Flatlandia è un’opera di difficile catalogazione. Il motivo è semplice: non appena aperto il libro, ci si trova a tu per tu con il Quadrato protagonista che, bontà sua, inizia a spiegarci per filo e per segno le le fondamenta matematiche e geometriche del mondo fantastico al quale appartiene. La “narrazione” avviene, infatti, in forma diaristica e si dipana come una qualsiasi opera scientifico-divulgativa. Lo ammetto, faticherei io stesso a definirla fantascienza se il racconto si protraesse in questo modo.

Planilandia (Flatlandia), Edwin A. Abbott
Planilandia, 1999, J.J. de Olañeta

Ma Flatlandia si divide in due parti. La prima funge da lungo e profondo proemio a ciò che precede: l’incontro del Quadrato con la Sfera, ovvero il racconto di ciò che è avvenuto nel passato del personaggio punto di vista. Una vicenda, insomma, una storiella, per quanto breve e, in certi casi, sommaria. Se la prima parte, dunque, si avvicina pericolosamente alla saggistica, la seconda è indubbiamente narrativa e, tecnicamente, di stampo fantastico-autobiografico.

Considerando l’opera nella sua interezza, ci si rende facilmente conto di come la prima parte, in fin dei conti, sia concepita in funzione della seconda, ovvero della narrazione vera e propria. Senza la decodifica di quel mondo fantastico, d’altronde, non saremmo in grado di capire ciò che accade nella vicenda raccontata dal Quadrato. Non è altro, come anticipato, che un prologo straordinariamente lungo, tanto da rivaleggiare con la storia stessa. Impossibile, pertanto, non considerare Flatlandia come un’opera di narrativa.

Detto ciò, alcuni sono perfino restii a etichettare il libro come fantascienza. Il motivo, in questo caso, non è tecnico, ma riguarda gusti e pregiudizi. Flatlandia è ormai, a tutti gli effetti, un classico della letteratura, pertanto i “critici” fanno fatica a relegarla all’odiata narrativa di genere. È ciò che accade con le grandi distopie a la Il Mondo Nuovo o 1984… sebbene, almeno in quest’ultimo caso, la catalogazione nella narrativa mainstream sia un pelino più ragionevole. Non per “meriti”, sia chiaro.

Xứ Phẳng (Flatlandia), Abbott
Xứ Phẳng, 2020, NXB Dân Trí, Nhã Nam

A tal proposito, c’è chi ha definito Flatlandia una distopia… cosa che avrebbe senso, certo, se fossimo dei poligoni (sigh!). L’impianto pedagogico (ma non didascalico) e sottilmente politicheggiante non aiuta in questo senso. L’opera mette in scena una società classista, gerarchica, formale e falsa che ricorda quella vittoriana… o almeno così dicono, perché mi risulta che qualunque società, inclusa la nostra, condivida le caratteristiche a cui allude l’autore.

L’ironia è, comunque, strettamente correlata all’elemento speculativo, da cui la difficoltà di evidenziarla a discapito dell’impianto fantascientifico. Difficoltà che, al contrario, la critica non concepisce, poiché si focalizza spesso sulla satira che animerebbe la costruzione abbottiana. Eppure, come ho detto, il teatrino crollerebbe senza il fulcro speculativo di cui sopra, e non il contrario.

Si tratta, tra l’altro, di un’ironia dotta, aperta, garbata… ben poco dissacrante secondo i canoni contemporanei. Con alcune eccezioni, prima tra le quali la figura della donna. In Flatlandia, il genere femminile è costituito da linee, esseri senza cervello, aggressivi, pericolosi e preda delle emozioni del momento. Aspetti che sono valsi, tanto per cambiare, la critica di misoginia al reverendo.

Il Nostro si è difeso in una prefazione pubblicata nella seconda edizione del romanzo (1884), in cui risponde anche alle altre questioni morali sollevate dal pubblico. Risposte non necessarie, poco interessanti e brevi rispetto a quelle che dedica alle obiezioni di natura matematica e fantascientifica, a riprova della subalternità della componente satirica. E conclude:

Quanto al resto, egli prega i suoi lettori di non credere che ogni minuto particolare della vita quotidiana della Flatlandia debba avere necessariamente un corrispondente analogo nella Spacelandia; e nonostante tutto si augura che, presa nel suo insieme, la sua fatica possa rivelarsi stimolante quanto divertente per quegli abitanti della Spacelandia di animo modesto e moderato che quando parlano di argomenti della più alta importanza, ma al disopra della comune esperienza, da un lato si rifiutano di dire: «Questo non può essere», e dall’altro: «Dev’essere precisamente così, e ormai di ciò sappiamo tutto».

Flatlandia si propone di essere un’opera divertente e stimolante, non un manifesto politico. Il fine di Abbott, nelle sue stesse parole, è «l’arricchimento dell’immaginazione» dei lettori. Null’altro. Per questo motivo nella recensione ci focalizzeremo sullo storytelling e sulla speculazione. Non senza difficoltà, badate: il romanzo rimane un ibrido tra saggistica e narrativa e, in quanto tale, non mi è stato facile giudicarlo. Del resto, nell’ottica di una storia, quella della spiegazione è la via più pigra, facile e asettica, per cui…

Varrà la pena di leggere Flatlandia? Scopriamolo.

Questo Mondo. Le Fondamenta di Flatlandia

Il Quadrato, voce narrante e protagonista di Flatlandia, ci prende per mano fin dalla prima pagina e ci accompagna in un viaggio culturale all’insegna della matematica. Dalle sue parole veniamo a sapere cosa sia, esattamente, il mondo piano di Flatlandia, quali siano i suoi abitanti, i costumi, le norme sociali, il sistema politico… finanche le sue fondamenta storiche. Conoscere Flatlandia , però, non equivale a scoprire un paese straniero, ma un universo vero e proprio.

Düzlemler Ülkesi, Edwin Abbott Abbott
Düzlemler Ülkesi, 2005, Türkiye İş Bankası Kültür Yayınları

Come detto, infatti, su Flatlandia ci sono soltanto due dimensioni. O meglio, la vita si svolge su due dimensioni, come se il cosmo flatlandiano fosse un semplice foglio di carta sul quale si agitano tante figure, ossia i flatlandesi. La premessa è semplice, facilmente individuabile ma assai complicata da sviluppare. Se noi creature tridimensionali vediamo a due dimensioni, i poveri poligoni non potranno che vedere a una sola dimensione, cioè punti e linee. Come potrebbe funzionare la vita intelligente in siffatte condizioni?

Abbott riesce nell’incredibile e costruisce una civiltà perfettamente logica e funzionante… a due dimensioni. Su Flatlandia non c’è profondità o altezza, ma ciò ha spinto l’evoluzione (culturale quanto biologica) a lidi inaspettati. Ed ecco che, per riconoscersi l’un l’altro, si eseguiranno diversi rituali a seconda dell’abilità e della classe sociale: l’uso della voce, il “tastarsi” e il riconoscimento a vista. Ed ecco che, per proteggersi dalla pioggia, i tetti delle abitazioni saranno costruiti a Nord e queste saranno rigorosamente pentagonali, così da evitare incidenti con angoli troppo appuntiti.

Si potrebbe parlare per ore del mondo fantastico costruito da Abbott, ma non avrebbe senso, poiché il libro si basa su questo e non farei altro che rovinare il gusto della scoperta a potenziali lettori. Il Quadrato ci fa da Cicerone nel suo mondo poiché lui solo, tra tutti i suoi concittadini, conosce la realtà delle tre dimensioni ed è capace di fare raffronti. Se così non fosse, parleremmo due lingue diverse… cosa che in effetti succede nella seconda parte del libro.

Flatland, Η Επιπεδοχώρα
Η Επιπεδοχώρα, 2008, ΑΙΩΡΑ

E devo ammettere che il Quadrato ci sa fare. Nonostante la complessità scientifica del mondo a cui appartiene, egli riesce a spiegarci tutto in modo semplice, chiaro e trasparente. Non solo, ma non si risparmia di arguzie, riflessioni, aneddoti personali e una garbata ironia. Nonostante l’impostazione saggistica, insomma, il radicamento del punto di vista è evidente: il narratore non è l’autore, ma il Quadrato, e non ci sono sbavature in tal senso. Notevole per un libro apparentemente poco narrativo, nonché per l’epoca in cui è stato scritto.

La voce narrante rende le spiegazioni ben più piacevoli, curiose e frizzanti di qualsiasi libello divulgativo. Le conseguenze, però, sono più profonde di quanto si potrebbe pensare. Essendo un vero cittadino di Flatlandia a presentarci il suo mondo e le sue regole, il libro inizia un processo di immedesimazione e simulazione mentale che, in caso contrario, mancherebbe. E poi, non potremmo mai dubitare delle parole di un autoctono!

Le spiegazioni sono coadiuvate, in vari momenti, da alcune illustrazioni disegnate dal reverendo stesso. Si tratta di disegni geometrici stilizzati ed esplicativi, che svolgono perfettamente il proprio ruolo e aiutano l’esposizione. Alcuni di essi presentano anche qualche dettaglio simpatico e non necessario, il che contribuisce alla freschezza e al tono del testo. Come se l’autore stesse dicendo: divertitevi, è un viaggio, non un noioso manuale sulle possibilità della matematica.

Se questa prima parte riesce, dunque, a risultare scorrevole e incredibilmente stuzzicante a livello intellettivo, essa non può certo emozionare. Come anticipato, non è una narrazione vera e propria, e questo non potrà che pesare su chi cerca una storia a cui appassionarsi. Fortunatamente, però, il libro è complessivamente molto breve e la prima parte si conclude in una sessantina di paginette. Come dicono gli inglesi, it doesn’t overstay its welcome. Ed è a quel punto che Questo Mondo lascia spazio ad Altri Mondi.

Altri Mondi. Pointlandia, Linealandia, Spacelandia e… Thoughtlandia?

La seconda parte del libro, anch’essa lunga una sessantina di paginette, narra delle vicende personali del Quadrato ed espande le implicazioni del world-building alle sue estreme conseguenze. È, in altri termini, il motivo stesso della creazione di Flatlandia, il completamento del what-if che soggiace l’opera, il coronamento dell’elemento speculativo e il vero obiettivo dell’impianto tematico orchestrato da Abbott.

Ma andiamo per gradi. Per prima cosa il Quadrato sogna di viaggiare a Linealandia, un reame a una singola dimensione dove gli abitanti non sono altro che segmenti in una spazio lineare. Il Quadrato parla al Re di Linealandia, che gli spiega il funzionamento di quel mondo e dei suoi modesti cittadini.

平面國, Edwin Abbott
平面國, 2019, 木馬文化

Il meccanismo è simile a quello che abbiamo già visto nella prima parte del libro e Abbott dimostra come sia possibile replicare il ragionamento per la creazione di realtà altre, più esotiche e improbabili di quanto possiamo immaginare. Stavolta, però, c’è una fondamentale differenza: il Quadrato, essere di un altro mondo, si trova lì… e prova a illuminare il Re.

Potete immaginare i risultati. Il Re non vede il Quadrato, poiché questi si trova a Nord del Re, il quale percepisce solo il fronte e il retro. È possibile vedere il Quadrato soltanto quando questi s’interseca con la linea di Linealandia, apparendo come un semplice punto che, però, può manifestarsi e svanire a piacimento. Le spiegazioni del Quadrato non riescono a raggiungere la comprensione del Re che, spaventato dalla prosopopea del visitatore e dalle sue arti “arcane”, lo attacca in preda all’ira.

L’impostazione diaristica non cambia, ma la modalità del racconto sì: quello del Quadrato in Linealandia si configura come un vero e proprio aneddoto, una storiella vivace e ricca di implicazioni. È facile notare come l’autore stia man mano alzando l’asticella, spingendo la speculazione ai confini a cui mirava: se esiste una realtà a due dimensioni ignara della terza, ne esiste una monodimensionale ignara della seconda. Eppure, per il Re e il suo popolo lo spazio è una linea e non potrebbe essere altrimenti, proprio come per i flatlandesi e il piano.

Dopo questa premessa, Abbott arriva al dunque: e se, come il Quadrato in Linealandia, giungesse una Sfera a Flatlandia? La vicenda è la medesima di quella precedente, ma con un ennesimo capovolgimento: è il Quadrato a non vedere e accettare la verità, nonostante la padronanza della matematica e delle scienze di cui si fregia. Anzi, il nostro eroe attacca la Sfera, non diversamente dal Re di Linealandia prima di lui. Tuttavia, questo non è un sogno, e la Sfera porta il Quadrato nel suo mondo.

Nel nostro mondo. Spacelandia.

Флатландия, Edwin A. Abbott
Флатландия, 2016, Изток-Запад

È a quel punto e solo a quel punto che il Quadrato può percepire e riesce a capire, come se la Verità si fosse rivelata a lui attraverso un’illuminazione, un’estasi mistica. Il Nostro si promette di evangelizzare i flatlandesi al verbo della terza dimensione, ma non prima di aver spinto la speculazione oltre i limiti della premessa, dove il Tema posto da Abbott diventa manifesto e universale e colpisce come una palla di cannone.

È il “sistema magico” di un buon romanzo di narrativa speculativa che, come dovrebbe, cresce e si trasforma fino al climax, portando il lettore a interpretare il mondo fantastico di volta in volta con nuovi occhi, finché la speculazione non esonda e contamina la realtà che conosciamo. Finché le domande non diventano impellenti nella mente del lettore, e terribilmente concrete.

Ebbene, ora che il Quadrato vede, non può che chiedere alla Sfera di portarlo alla quarta, alla quinta, alla ennesima dimensione, appropriandosi degli stessi sillogismi utilizzati dalla Sfera prima di lui. Esiste Pointlandia, mondo senza dimensioni dove la Sfera conduce il Quadrato; Linealandia, Flatlandia, Spacelandia. Qual è il prossimo regno? Qual è la prossima realtà? Il Nord per la seconda dimensione, l’Altezza per la terza… e qual è la chiave per la Quarta? Deve essere qui, alla nostra portata, eppure al di fuori dalla nostra umanità.

Ma la Sfera non è stata illuminata e reagisce più o meno come il Quadrato prima che entrasse a Spacelandia. Ciò che succede dopo è di una logica inattaccabile: il Quadrato torna a Flatlandia e, prima che se ne accorga, non riesce più a vedere, percepire e individuare quella terza dimensione. I tentativi di evangelizzazione falliscono, il Quadrato viene incarcerato e la “tentata rivoluzione”… sedata. Tuttavia, ci rimane il diario che il Quadrato ha scritto per i posteri: nient’altro che il libro di cui sto parlando.

Era l’ultimo giorno del millenovecentonovantanovesimo anno della nostra èra. Il ticchettio della pioggia aveva annunciato da tempo il tramonto; e io sedevo in compagnia di mia moglie, riflettendo sugli avvenimenti del passato e sulle prospettive dell’anno nuovo, del secolo nuovo, del nuovo Millennio.
I miei quattro figli e i due nipoti orfani si erano ritirati nelle loro varie stanze; e soltanto mia moglie restava con me ad assistere alla fine del vecchio Millennio e all’inizio di quello nuovo.
Ero assorto nei miei pensieri. Rimuginavo fra me e me alcune parole che erano uscite per caso dalla bocca del mio nipotino più piccolo, un promettentissimo Esagono di lucentezza inconsueta e di perfetta angolarità. I suoi zii e io gli avevamo fatto la solita lezione pratica di Riconoscimento a Vista, ruotando sul nostro centro, ora rapidamente, ora più piano, e interrogandolo sulle nostre posizioni; e le sue risposte erano state così soddisfacenti che mi avevano indotto a ricompensarlo impartendogli qualche elemento di Aritmetica applicata alla Geometria.
Avevo preso nove Quadrati, ciascuno di un centimetro di lato, e li avevo composti in modo da formare un Quadrato grande, con il lato di tre centimetri, e così avevo dimostrato al mio nipotino che, sebbene fosse per noi impossibile vedere l’interno del Quadrato, pure potevamo accertare il numero dei centimetri quadrati di un Quadrato semplicemente elevando al quadrato il numero di centimetri del lato: «e così,» avevo detto «sappiamo che 32, o 9, rappresenta il numero dei centimetri quadrati di un Quadrato che abbia il lato di 3 centimetri di lunghezza».
Il piccolo Esagono meditò un poco su questa affermazione e poi mi disse: «Ma tu mi hai insegnato a innalzare i numeri alla terza potenza: anche 33 avrà dunque un significato in Geometria; qual è questo significato?». «Nessun significato,» risposi io «almeno, non in Geometria; perché la Geometria non ha che Due Dimensioni». E quindi mi misi a mostrare al fanciullo come un Punto, spostandosi lungo un percorso di tre centimetri, formi una Linea di tre centimetri, che si può rappresentare con 3; e come una Linea di tre centimetri, spostandosi parallelamente a se stessa lungo un percorso di tre centimetri, formi un Quadrato di tre centimetri per ogni lato, che si può rappresentare con 32.
A questo il mio nipotino, tornando alla sua ipotesi di prima, e prendendomi alquanto di sorpresa, esclamò: «Bene, allora, se un Punto, spostandosi di tre centimetri, forma una Linea di tre centimetri rappresentata da 3, e se una Linea Retta di tre centimetri, spostandosi parallelamente a se stessa, forma un Quadrato di tre centimetri per lato, rappresentato da 32, deve seguirne che un Quadrato di tre centimetri per lato, spostandosi in qualche modo parallelamente a se stesso (ma non vedo come) debba formare un Qualcos’altro (ma non vedo cosa) di tre centimetri per ogni senso – e questo sarà rappresentato da 33».
«Vai a letto» dissi io, un po’ seccato da questa interruzione. «Se tu dicessi cose meno insensate, ricorderesti di più quelle che hanno un senso».
Così il mio nipotino era scomparso, mogio mogio; e io me ne stavo a sedere accanto a mia moglie, sforzandomi di formulare un’immagine retrospettiva dell’anno 1999 e di anticipare le possibilità dell’anno 2000, ma non riuscivo ancora del tutto a liberarmi dai pensieri suscitati dalle chiacchiere del mio brillante piccolo Esagono.

Flatlandia, pag. 106-108

Nuove Prospettive

La narrazione assume, nelle fasi finali, le tinte della tragedia e diventa squisitamente letteraria. Sembrerà strano ma, oltre ad avere la testa in fermento, ho provato delle emozioni nel leggere l’epilogo. Il Quadrato non è il semplice narratore di una trasmissione scientifica: egli è umano, troppo umano, e splendidamente caratterizzato. Egli s’innalza e precipita, gioisce e si strugge, come un protagonista di un certo livello.

Ma la cosa più importante non è questa. Flatlandia mi ha colpito a un livello più profondo, cosa possibile non con la banale emozione o il semplice ragionamento, ma solo grazie al suo impianto tematico. Abbott è riuscito a cambiare il mio punto di vista sulle cose, a rivoluzionare la realtà e il modo in cui la percepisco. Flatlandia ha un senso, un significato preciso e del tutto nuovo quasi centocinquant’anni dopo, capace di arricchire le persone.

Flatlandia, Edwin A. Abbott, Adelphi
Flatlandia, Adelphi, ventesima edizione (2012)

Non lasciatevi impressionare dal numero. Per Flatlandia, cento o duecento anni non contano niente. La Sfera si manifesta ai poligoni di Flatlandia ogni mille anni, eppure la loro mente e la loro anima è ancora sigillata alla verità della terza dimensione. Ebbene, non arriverà mai il momento in cui Flatlandia diventerà scontato, a differenza di molti altri romanzi di fantascienza. E se arriverà, perché entreremo in contatto con quella dimensione che ci è preclusa, due sono le cose: o non saremo più umani, o ci preoccuperemo della quinta, della sesta dimensione.

E Flatlandia sarà attuale anche allora. È questa la magia di un libricino così taciuto, così sottovalutato, ma che viene ristampato in tutti i paesi del mondo e non accenna a sparire. Si dice che i grandi romanzi rimangano attuali perché hanno a che fare con le vicende umane piuttosto che col contesto; ebbene, è questo il caso di Flatlandia. Suonerò blasfemo, ma potrei tranquillamente accostarlo a quelle opere che hanno fatto la storia della letteratura.

La verità è che, al di là di tutto, l’autore aveva qualcosa di grande valore da trasmettere. Ci è riuscito grazie alla sapienza e padronanza della materia, alla chiarezza dell’esposizione, al potere della sua fervida immaginazione, allo squisito personaggio in cui si è trapiantato per portarci a vedere nel modo più convincente possibile. È la retorica nella narrativa di cui abbiamo parlato e straparlato, applicata così bene da Abbott.

Qualcosa di valore, di sempre attuale, che sia trasmesso nel modo più convincente, efficiente e chiaro possibile. Questa è la mia definizione di capolavoro. Certo, non sarà l’esposizione più coinvolgente, lo ammetto, ma il valore di cui parliamo ripaga quell’unica lacuna, a mio avviso. Non varrà per tutti, badate, ma basta per il sottoscritto. E se mi conoscete, saprete che ho poca pazienza con le storie.

Eppure…

Conclusione: capolavoro!

Contro:

  • La prima parte somiglia di più a un saggio divulgativo che a un romanzo.
  • Coinvolgimento emotivo complessivamente limitato.

Pro:

  • Concept e world-building straordinari.
  • Speculazione giostrata alla perfezione, come nei migliori romanzi di fantascienza.
  • Esposizione chiarissima, nonostante la difficoltà della materia. Ottime proprietà di linguaggio.
  • Narrazione arguta, ironica e frizzante, che rende scorrevole e piacevole la lettura.
  • Punto di vista radicato nel personaggio, che si dimostra coerente, meritevole d’empatia, profondamente umano.
  • Satira sociale e politica stimolante e ben architettata, ma non è necessario soffermarsi su di essa per il godimento dell’opera.
  • Impianto tematico straordinario e sempre attuale, in grado di arricchire chiunque.
  • Molto breve.
  • Illustrazioni simpatiche, semplici, chiare e appropriate al tono.

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Sono Giuseppe, scrittore, blogger, insegnante di scrittura creativa e coach narrativo! Sono alla costante ricerca di nuovi metodi per raccontare storie. Immersivita.it è il mio tentativo di condividere ciò che ho scoperto: benvenuti, e che il naufragar vi sia dolce in questo mare…

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