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Gli Effetti della Lettura sul Cervello

Il cervello simula ciò che leggiamo. Scopriamo insieme gli effetti della lettura sul cervello... secondo le neuroscienze.
Gli effetti della lettura sul cervello

Indice

Leggere è un Atto di Pura Immersione

Leggere non è come guardare la televisione. La rapida sequenza di immagini, la luminosità dello schermo e i suoni bombastici sono studiati per catturare l’attenzione. Sappiamo tutti quanto siano coinvolgenti certe serie tv, tanto da alienarci completamente e costringerci a divorare un episodio dopo l’altro. Diamine, con alcuni show si può fare la fine dei ratti che prendono il viagra (spoiler: si masturbano fino a morire di fame), a causa del rush di endorfine. È una brutta immagine ma rende l’idea.

Credo di poter tranquillamente affermare che in media sia più difficile staccare gli occhi da uno schermo che mettere giù un libro. Inoltre, la visione di una bella serie tv si può arricchire con un dolby sorround e un maxi-schermo. Come potrebbe mai competere, in termini di “assorbimento”, qualche pagina di carta velina? Beh, vediamo.

Portereste il portatile in spiaggia, per godervi le ultime puntate della vostra serie preferita, o un libro? È una domanda interessante: dipende dalla serie e dal libro in questione, nonché dal modo in cui vi godete il mare. Se vi piace nuotare o giocare sulla spiaggia, vorrete un prodotto da consumare distrattamente (magari qualche puntata di Seinfeld o un saggio poco impegnativo).

Se, al contrario, amate rilassarvi sul lettino per ore, una serie in cui immergervi fino al collo come Better Call Saul funziona ancora meglio. O un bel page-turner di genere, perché no. Un thriller al cardiopalma, un fantasy avventuroso, un rosa in grado di farvi sognare… letture di questo tipo, come la serie di cui sopra, non amano le distrazioni. Strano, vero?

Immersività, assorbimento e lettura sulla spiaggia (beach reading)

Quando le condizioni sono ottimali, leggere sulla spiaggia è, in effetti, particolarmente piacevole. Abbiamo tutti dei cari ricordi, immagini di letture rilassanti sotto il sole, distesi su un prato e accarezzati dal vento. Io ne ho qualcuno, e il fatto che rimangano impressi è motivo di riflessione. Altrettanto peculiare è il fatto che ricordi momenti del tutto simili… ma in cui giocavo a Pokémon sul mio Game Boy Color (che la sabbia spedì all’obitorio…)

A tal proposito Proust scriveva, in Del piacere di leggere:

Forse non ci sono giorni della nostra adolescenza vissuti con altrettanta pienezza di quelli che abbiamo creduto di trascorrere senza averli vissuti, quelli passati in compagnia del libro prediletto. Tutto ciò che li riempiva agli occhi degli altri e che noi evitavamo come un ostacolo volgare a un piacere divino: il gioco che un amico veniva a proporci proprio nel punto più interessante, l’ape fastidiosa o il raggio di sole che ci costringevano ad alzare gli occhi dalla pagina o a cambiare posto, la merenda che ci avevano fatto portar dietro e che lasciavamo sul banco lì accanto senza toccarla, mentre il sole sopra di noi diminuiva di intensità nel cielo blu, la cena per la quale si era dovuti rientrare e durante la quale non abbiamo pensato ad altro che a quando saremmo tornati di sopra a finire il capitolo interrotto…

Proust parla di un fenomeno che ogni lettore conosce bene. Eppure, ho provato le stesse identiche sensazioni nelle mie partite a Pokémon: l’immersione nel mondo di gioco, che rimpiazza quello circostante. Pare, in effetti, che l’esperienza a cui si riferisce Proust sia proprio questa: l’immersione nel libro prediletto. E tuttavia, nel mio caso, ciò non accadeva con qualunque libro, né con qualunque videogioco (e ne avevo parecchi per Game Boy!).

La stessa cosa succedeva in albergo, sempre in estate. Quand’ero ragazzino e i miei mi portavano in vacanza, ricordo che il pomeriggio ero costretto a riposare in stanza con loro, poiché loro riposavano sempre dopo pranzo. Nella noia, non potevo che rigirarmi nel letto e fare una cosa: leggere, giocare o ascoltare la musica. Con certi libri, il primo pomeriggio passava in un lampo.

Così con certi videogiochi e perfino con certe canzoni. Mi stendevo, supino, e alcune compilation che avevo creato mi catapultavano in un altro mondo fatto di immagini e fantasticherie a occhi aperti. Come spesso accade, ho qualche ricordo preciso del letto, di ciò che immaginavo e di alcuni pezzi, come Absolute Space dei Koop remixata dai Jazzanova (sì, ho sempre ascoltato musica strana).

Sembra che i libri, o meglio, determinati libri, lancino un incantesimo su chi legge, proprio come alcune serie TV, film o videogiochi. Il merito, ovviamente, non è della carta, la cui grammatura si assottiglia sempre di più ed è ormai trasparente in certe edizioni, né degli schermi di cui parlavamo, LCD o IPS che siano, ma di ciò che si cela dietro il medium. Il contenuto, nonché il linguaggio (filmico, stilistico, videoludico…) con cui viene trasmesso.

Chiunque abbia mai letto sa che ci sono libri in cui ci si perde e libri che si leggono a singhiozzi. Chiunque abbia mai letto sa che ci sono autori in grado di emozionare e altri che fanno appena sorridere. Chiunque abbia mai letto sa che ci sono passaggi capaci di intirizzire la pelle e passaggi che elemosinano complimenti.

Libri in cui, parafrasando Jack London, l’autore è presente e non si vede, creando l’atmosfera, e libri in cui l’autore si manifesta al lettore, distruggendo ogni atmosfera. Da una parte abbiamo la narrativa immersiva e dall’altra “letteratura di spicco” (alla Baricco, per intenderci).

Perché tali differenze, dunque? Quali sono gli effetti della lettura sul cervello e sul cuore?

Il Cervello Simula ciò che Leggiamo

Il punto è questo: leggere non è un atto passivo. Immaginiamo continuamente ciò che leggiamo. Le scene prendono forma nella nostra mente e ci arrovelliamo con i protagonisti. Questo è un grosso vantaggio della narrativa rispetto agli altri media: non guardiamo da fuori, ma da dentro. Un romanzo che ti fa pensare ad altro è un romanzo scritto male, poiché cessa di stimolare, anche solo per un momento, il cervello del lettore.

Chi è abituato a saltare interi paragrafi storcerà il naso. Non è colpa vostra, ma di ciò che leggete. La differenza la fa l’impostazione, e per ciò rimando ai miei articoli sulla narrativa moderna e contemporanea e sullo Show don’t Tell. Sì, certi romanzi che leggete non sono interessati a rappresentare la realtà, o la rappresentano solo a tratti (ecco perché il “singhiozzo” del lettore). I romanzi che, invece, imitano la realtà dall’inizio alla fine si leggono tutti d’un fiato.

Scendendo nel pratico, una grossa differenza salta all’occhio tra una prosa “raccontata” e una “mostrata”. Ne abbiamo discusso a lungo nell’articolo dedicato, ma qui voglio fornire le prove di quanto affermato. Basterebbe la logica ma, per chi non è abituato a esercitarla, seguiranno i sermoni della scienza.

Se v’interessa l’argomento, fate un salto sulla rubrica Tecniche Narrative!

Dunque, la mia tesi è che una prosa mostrata produca uno stimolo di gran lunga maggiore nel cervello del lettore, rispetto a una prosa raccontata. Del resto, il mostrato s’incarica di ricreare immagini nella mente del lettore attraverso delle esperienze sensoriali, cioè degli stimoli. Ammettendo, dunque, che l’immaginazione e i sensi siano collegati, non si potrà che concludere quanto detto: che gli stimoli sensoriali della prosa mostrata attivino l’immaginazione del lettore.

Per sensi, ovviamente, mi riferisco a tutti e cinque, vista compresa. Descrivere una cosa, una persona o un luogo per ciò che è visivamente ci consente di immaginarla. E ciò a conferma del supposto collegamento tra sensi e immaginazione. Del resto, immaginazione deriva da immagine e le cose le “vediamo” con gli occhi della mente. Non è un tentativo di essere poetici: immaginiamo col senso della vista. Visualizziamo, letteralmente.

La sola fonte del genio è l'immaginazione. Eugene Delacroix
«La sola fonte del genio è l’immaginazione, la raffinatezza dei sensi che vede ciò che gli altri non vedono, o vede in modo diverso». Eugene Delacroix

Come detto, l’atto di immaginare in modo prolungato non è per nulla semplice o passivo. Anzi, è estenuante. Ecco perché divorare un libro che ci coinvolge ci stanca il cervello, oltre che gli occhi. È come se, immaginando tutto ciò che è accaduto, lo avessimo vissuto in prima persona. Non è un mistero che il cervello simuli ciò che vediamo, o non proveremmo empatia e non esisterebbero i porno. Ebbene, il cervello simula anche ciò che leggiamo.

Volete un’ulteriore prova? La pornografia non esiste soltanto in forma video. Ci sono le riviste, certo, ma perfino i romanzi pornografici. Il buon Silverberg ne scrisse circa centocinquanta in cinque anni per mantenersi economicamente. Che scopi possono mai avere dei romanzi del genere? Stimolare, forse, fantasie e sensazioni nel lettore? Del resto, la letteratura erotica esiste praticamente da sempre.

In romanzi del genere troverete scene grafiche e graphic, in inglese, significa “esplicito“. Provate, dunque, a leggere una scena di sesso scritta in tal modo, magari in uno di quel libri; suscita, in voi, qualche reazione? Paragonatela ora alla seguente frase: “fecero sesso“. Non ci vuole un genio per capire la differenza. È una lotta tra realtà e riassunto, tra sensi e astrazioni.

Gli Effetti della Lettura sul Cervello… secondo le Neuroscienze

Alcuni studi nel campo delle neuroscienze mostrano gli effetti della lettura sul cervello. Ci sono aree del cervello che si ignorava fossero coinvolte nel processo di lettura. A seconda di cosa si legge, l’attività di alcune regioni cerebrali s’incrementa. Parole come “lavanda”, “sapone” e “cannella”, per esempio, suscitano una reazione non solo delle aree di elaborazione del linguaggio, ma anche di quelle dedicate agli odori.

In uno studio pubblicato nel 2006, i ricercatori fanno leggere ai partecipanti sia parole associate a odori che parole neutre, mentre essi vengono scansionati da un macchinario per la risonanza magnetica (fMRI). Il risultato? Quando i soggetti leggono le parole “profumo” e “caffè”, la loro corteccia olfattiva primaria si accende; quando leggono parole come “sedia” o “chiave”, quella regione resta sopita.

Uno degli studi più completi e interessanti sugli effetti della lettura sul cervello, condotto da Nicole Speer nel 2009, è «Leggere Storie Attiva Rappresentazioni Neurali di Esperienze Visuali e Motorie» (Reading Stories Activates Neural Representations of Visual and Motor Experiences). Dall’abstract:

(…) diverse regioni del cervello tracciano altrettanti aspetti di una storia, come la collocazione spaziale del personaggio o gli attuali obiettivi del medesimo. Alcune di queste regioni rispecchiano quelle coinvolte quando le persone svolgono, immaginano od osservano attività reali. Tali risultati suffragano la teoria che i lettori comprendano una storia simulando gli eventi che la costituiscono, e che aggiornino la simulazione quando le caratteristiche di quel mondo sono soggette a cambiamento.

Sembra che leggere induca inconsciamente a simulare l’azione. Per esempio, leggere verbi come “correre” o “calciare” attiva regioni del cervello che si attivano selettivamente quando muoviamo i piedi. Inoltre, i mutamenti di determinate situazioni innescano l’attività di diverse cortecce cerebrali. Nello studio si analizzano i mutamenti di Causa (Cause), Personaggio (Character), Scopo (Goal), Oggetto (Object), Spazio (Space) e Tempo (Time).

Show don't tell e gli effetti della lettura sul cervello
«Le regioni coinvolte nei cambiamenti situazionali. Il pannello A mostra un estratto e il sistema di codifica della storia “Waking Up”. Le regioni del cervello la cui attività aumenta in risposta ai cambiamenti durante la lettura sono mostrati nel pannello B. L’immagine superiore fornisce la vista laterale sinistra e destra della corteccia, e l’immagine inferiore fornisce la corrispondente visione mediale». Cliccate per ingrandire l’immagine

Un elemento stuzzicante è, a mio avviso, Cause, ovvero l’innesco di una nuova sequenza di eventi non descritta precedentemente. Esso non viene rappresentato singolarmente ma rientra nell’area delineata come Multiple, di colore rosa. Ciò è dovuto al fatto che tutte le regioni stimolate dai mutamenti causali reagiscono anche ad altri mutamenti situazionali.

  • «Mrs. Birch varcò la porta d’ingresso ed entrò in cucina». Il personaggio intraprende una nuova azione, e il cervello focalizza immediatamente le nostre attenzioni su di essa. È, per l’appunto, una situazione inedita, che necessita di codifica e simulazione.
  • «Mrs. Birch doveva svegliare Raymond». È una semplice affermazione. Non costruisce nulla, non costituisce nessuna sequenza, azione o scena. Pertanto, non innesca alcuna reazione del Cause. Per di più questa frase anticipa il seguito.
  • «Mrs. Birch entrò nella camera da letto di Raymond». Si tratta di una nuova azione, certo, ma causata dalla frase precedente, perciò non costituisce un innesco. Al contrario, se il narratore non avesse spezzato la “magia” col periodo incriminato, la regione del Cause si sarebbe sicuramente attivata. Vi ricorda qualcosa?

Ebbene sì, la frase «Mrs. Birch doveva svegliare Raymond» è un esempio di raccontato. Per attivare il Cause serve una prosa mostrata che non spoileri o anticipi nulla.

Ai cambi di Character e Goal vi è un conseguente incremento di attività del lobo temporale bilaterale posteriore superiore, che si accende quando osserviamo azioni intenzionali e finalizzate, a differenza di quelle prive di scopo o volontà. Il mutamento degli obiettivi nei personaggi è stato anche associato all’ulteriore attivazione della corteccia prefrontale che, se danneggiata, inibisce la percezione delle nostre stesse azioni.

Regioni interessate dalle interazioni tra Character e Object includono alcune del circuito prensile umano. Una di queste corrisponde all’area premotoria della mano; un’altra alla rappresentazione somatosensoriale della mano.
Due regioni bilaterali frontali superiori hanno risposto ai cambiamenti di luogo dei personaggi, e sono collegate al movimento degli occhi e al campo visivo. Regioni nella parte destra e sinistra della corteccia paraippocampale, che si attivano durante l’elaborazione del collocamento spaziale, rispondono ai cambi di luogo (Space) dei personaggi.

Questi risultati indicano che i lettori attivano dinamicamente specifici inneschi motori, visuali e concettuali in base agli analoghi mutamenti nel contesto narrativo. Regioni coinvolte nell’elaborazione di attività umane finalizzate, nella navigazione dello spazio ambientale e nella manipolazione manuale degli oggetti si attivano maggiormente nei relativi punti della narrazione.

Ciò si sposa perfettamente con la teoria che vede gli uomini come entità capaci di empatia, le cui menti sincronizzano il tipo di attività cerebrale anche con un solo sguardo per predisporsi al meglio alla comunicazione, alla comprensione e alla convivenza. E pare che il cervello non faccia particolari distinzioni tra le esperienze lette e incontrate nella vita reale, se non per l’entità della reazione; in ogni caso, la stimolazione avviene per le stesse regioni neurologiche.

Keith Oatley, scrittrice di romanzi e professoressa di psicologia cognitiva all’università di Toronto, afferma che leggere produce una vivida simulazione della realtà, la quale «opera nelle menti dei lettori proprio come le simulazioni dei computer operano sui computer». Perché dunque non approfittare di questa prerogativa?

Show don't Tell e neuroscienze. Come il cervello simula ciò che leggiamo
«Codifica di un semplice passaggio dalla storia “Waking Up” (a) e mappe del cervello che illustrano la posizione delle regioni coinvolte nei cambiamenti situazionali (b). A ogni proposizione è associata la presenza o assenza di cambiamenti causali, di personaggio, obiettivo, oggetto, spaziali e temporali. I colori in (b) indicano quali regioni del cervello hanno aumentato l’attività in risposta ai cambiamenti situazionali. L’immagine superiore fornisce la vista laterale destra e sinistra della corteccia, e quella inferiore dà la corrispondente visione mediale». Cliccate per ingrandire l’immagine
  • «Non appena Mrs. Logan segnò la spunta su foglio, Raymond si precipitò al suo banco». Character, Goal e Space, per ovvi motivi.
  • «Nell’avvicinarsi», nessuna reazione, perché inutile e implicito nel periodo precedente, «Accartocciò il foglio, apparentemente senza disappunto o ansia». Qui si attiva il Cause, poiché si tratta di un’azione nuova senza una causa precedente.
  • «Aveva un’espressione come per dire “Beh, quel che è fatto è fatto”». Nessuna reazione perché implicito nella frase precedente. Non aggiunge nulla alla scena e il concetto è vago, non sensoriale.

Oppure:

  • «Mrs. Birch disse con gradevole noncuranza», che significa gradevole noncuranza? Cosa dovrei visualizzare?
  • «”Raymond, svegliati”. Con un po’ di insistenza nel tono parlò ancora: “Figlio, vai a scuola oggi?”». Dialogo privo di conflitto, particolari inutili e raccontati che non trasmettono sensazioni concrete, perciò non c’è risposta. Pensate se fosse stato:
  • «Mrs. Birch scrollò il letto (Object, Cause), “Raymond, muovi il culo! Sei in ritardo di 5 minuti per l’interrogazione!” (Time). Ringhiò a denti stretti, uscì dalla stanza sbattendo la porta e corse in cucina (Cause, Object, Space). Afferrò la mannaia (Object, Goal)».

In un altro studio del 2012, ricercatori della Emory University riportano che, alla lettura di metafore riguardanti consistenza e ruvidità (più in generale texture), la corteccia sensoriale responsabile del tatto di questi elementi si attiva. Metafore come “il cantante aveva una voce vellutata” e “aveva mani incartapecoriteeccitano la corteccia sensoriale, mentre frasi come “il cantante aveva una voce piacevole” o “aveva forti mani” non producono lo stesso effetto.

Ancora: nel 2010, ricercatori francesi hanno scoperto che alla lettura di frasi come “John afferrò l’oggetto” e “Pablo calciò la palla” le aree del cervello collegate ai movimenti del corpo si attivano. E potrei andare avanti: sono tanti gli studi che dimostrano come le cortecce visiva e motoria si attivino alla lettura di azioni e ambientazioni. Mi riferisco, per esempio, a questo studio del 2014 o a questa interessante ricerca (2009) su mancini e destrorsi. Dall’abstract:

Secondo la filosofia del corpo, la comprensione di un verbo come lanciare comporta una simulazione inconscia del lancio da parte delle aree del cervello che supportano la pianificazione motoria. Se la comprensione di azioni ne comporta la simulazione, allora la rappresentazione neuro-cognitiva dovrebbe differire in base al corpo delle persone. Per testare l’ipotesi della specificità del corpo abbiamo usato la risonanza magnetica funzionale, così da valutare l’attività premotoria correlata alla comprensione dei verbi d’azione nei mancini e nei destrorsi. I destrorsi tendevano ad attivare la corteccia premotoria sinistra nelle decisioni lessicali sui verbi di azioni manuali (diversamente da quelli di azioni non manuali), mentre i mancini tendevano ad attivare le aree premotorie destre. Questa scoperta ci aiuta a perfezionare le teorie relative all’embodied semantics, suggerendo che la simulazione mentale implicita durante la comprensione del linguaggio sia specifica al corpo: mancini e destrorsi, che eseguono le azioni in modo differente, usano corrispettivamente diverse aree del cervello per rappresentare i significati dei verbi d’azione.

Proprio così: siccome il cervello simula ciò che leggiamo, la simulazione differisce in base alle nostre caratteristiche fisiche. Entità e intensità della simulazione differiscono allo stesso modo, in base alle attitudini della persona. Lo dimostra, tra i tanti, questo studio del 2010, secondo cui «gli individui si distinguono nella capacità di reclutamento dei meccanismi visivi al servizio della comprensione linguistica» in «strong imagers» e «weak imagers».

In tale direzione va uno studio del 2015 intitolato «Simulare la Narrativa: Differenze Individuali nella Comprensione della Letteratura Rivelate con la fMRI» (Simulating Fiction: Individual Differences in Literature Comprehension Revealed with fMRI). Gli autori della ricerca fanno distinzione tra simulazione sensori-motoria e mentalizzazione. Il risultato degli esperimenti mostra che «C’è una variazione nel modo in cui le persone approcciano le storie. Alcune tendono alla mentalizzazione, altre alla simulazione sensori-motoria e altre ancora a entrambe le cose».

mentalizzazione e simulazione sensori-motoria del cervello durante la lettura
«Risultati dell’analisi del cervello per la scansione del motor localizer in giallo, e per il mentalizing localizer in blu. Il motor localizer ha attivato il sistema motorio corticale, e il mentalizing localizer ha portato ad attivazioni nel precitato network della mentalizzazione (o Teoria della Mente)». Cliccate per ingrandire l’immagine

La simulazione risultante dalla lettura sarebbe non solo percettiva e motoria, ma finanche introspettiva. Totale, insomma, come se il lettore stesse vivendo un’altra vita. Secondo questa interpretazione, ciascun passaggio dovrebbe evocare determinate sensazioni e provocare determinate reazioni nel fruitore, proprio come se si trovasse nel bel mezzo del racconto in quel preciso istante. Gli effetti della lettura sul cervello non cessano di stupire.

Uno studio del 2018, «La simulazione mentale durante la lettura: differenze individuali rilevate col monitoraggio oculare» (Mental simulation during literary reading: Individual differences revealed with eye-tracking) getta ulteriore luce su questo incredibile aspetto della narrativa.

Dall’introduzione:

Quando le persone leggono storie, a volte immaginano vividamente gli eventi che vi accadono. Tale processo è stato chiamato simulazione mentale. Un risultato della simulazione mentale è che i lettori hanno la sensazione di prendere parte alla storia che stanno leggendo. Di conseguenza, la narrativa può risultare avvincente, sebbene tale coinvolgimento vari molto da una storia all’altra e da un lettore all’altro. Questo coinvolgimento è stato descritto dagli studi come “assorbimento”. Nella ricerca ci focalizzeremo sulla simulazione mentale come importante fattore di assorbimento. Faremo distinzione tra tre tipi di simulazione mentale e ci concentreremo sull’identificazione delle differenze individuali.

La simulazione mentale è stata definita come “… la rievocazione di stati percettivi, motori e introspettivi acquisita durante l’esperienza col mondo, il corpo e la mente“. La definizione di Barsalou suggerisce che la simulazione mentale non sia di un solo tipo. In effetti, ricerche teoretiche ed empiriche hanno svelato come la simulazione mentale si debba suddividere in diverse tipologie. Chi comprende il linguaggio può simulare eventi motori e percettivi da un lato, e processi mentali altrui dall’altro (anche chiamata mentalizzazione). Gli effetti di questi tre tipi di simulazione sono stati studiati finora per lo più separatamente. In questo studio, li analizziamo tutti in un singolo esperimento. Ciò ci permette di distinguere gli effetti sulla lettura dei diversi tipi di simulazione. Un ulteriore vantaggio di questo studio è che usiamo dei racconti come stimoli. Abbiamo fatto tale scelta perché i racconti permettono ai lettori di costruire un mondo mentale molto più ricco rispetto alle singole frasi o paragrafi usati solitamente nelle ricerche.

Le tre succitate tipologie di simulazione sono state estensivamente studiate in diverse sotto-discipline delle scienze cognitive. La simulazione percettiva e motoria (a volte chiamata “simulazione sensori-motoria”) è stata studiata nella tradizione della filosofia del corpo. Secondo Zwaan, c’è un importante collegamento tra i modelli situazionali, la simulazione e il basarsi sulla percezione e l’azione. Quando le persone formano modelli situazionali (per esempio quando incontrano delle storie), gli eventi e le svolte all’interno di questi modelli situazionali si fondano sulla percezione e l’azione attraverso la simulazione (sensori-motoria).

(…)

È stato scoperto che la simulazione motoria gioca un ruolo nella comprensione del linguaggio. I movimenti e le azioni implicati nelle frasi preparano a svolgere azioni collegate quando queste devono essere eseguite dopo aver letto tali frasi. Ciò accade in via diretta attraverso i verbi, ma anche indirettamente attraverso il contesto presentato nelle frasi. Inoltre, in diversi studi di neuroimaging è emerso che i verbi d’azione, le frasi e perfino interi passaggi che descrivono azioni stimolano l’attivazione di aree della corteccia premotoria. Un’associazione è stata scoperta tra la lettura di descrizioni vivide di azioni e la connettività tra diverse aree della corteccia motoria. Tuttavia, la comprensione motoria del linguaggio non porta sempre all’attivazione delle stesse aree e allo stesso modo.

In definitiva, le prove suggeriscono che la simulazione percettiva e motoria avvenga durante la comprensione del linguaggio. I partecipanti mostrano indici comportamentali o neurali del coinvolgimento delle aree del cervello connesse alla percezione e all’azione quando comprendono il linguaggio percettivo-motorio. Allo stesso tempo, sembra che tali attivazioni non occorrano invariabilmente quando i lettori incontrano tale linguaggio.

E ancora:

Un altro tipo di simulazione qui analizzata è quella degli stati introspettivi, a volte chiamata “mentalizzazione” (anche collegata alla filosofia della mente). Quando le persone mentalizzano, attribuiscono stati mentali (pensieri, emozioni, intenzioni) ad altre persone. (…) La ricerca ha dimostrato che le persone mentalizzano sia consciamente che inconsciamente (mentalizzazione esplicita e implicita), e che entrambi i processi (almeno in parte) fanno uso delle stesse aree del cervello, e sono analogamente riflessi nei dati comportamentali, sebbene il grado di sovrapposizione neurale e concettuale sia oggetto di dibattito. Comprendere le credenze, intenzioni e pensieri di personaggi fittizi è vitale per l’esperienza di un mondo fittizio, e non c’è dubbio che la mentalizzazione sia un aspetto importante della lettura.

Il coinvolgimento della mentalizzazione nella lettura implica che i lettori attribuiscano stati mentali ai personaggi e colleghino le loro azioni alla conoscenza che hanno ottenuto di essi nel corso della storia. (…) In aggiunta, leggere contenuti che stimolano la mentalizzazione in un racconto comporta l’attivazione di aree del cervello coinvolte nella cognizione sociale e nella mentalizzazione.

Interessante, vero? Come da titolo, la ricerca si focalizza sullo “sguardo” dei partecipanti, dal quale risulta che «la simulazione motoria riduce la durata dello sguardo (lettura più veloce), mentre la simulazione percettiva e la mentalizzazione aumentano la durata dello sguardo (lettura più lenta)».

Coefficienti per le descrizioni sensoriali e la durata del contatto visivo
«A. Nel primo step dell’analisi, i punteggi dal pre-test per le descrizioni motorie, percettive e mentali per parola (con le parole rosse che hanno un punteggio più alto nel pre-test, cioè che rendono meglio su quel tipo di descrizione) sono state collegate ai punteggi della durata dello sguardo (o ai punteggi che indicano se ci sia stata una regressione fino a una parola). B. Nel secondo step dell’analisi, i coefficienti per le relazioni tra descrizioni motorie, percettive e mentali e la durata dello sguardo/probabilità di regressione (per partecipante e per storia) sono stati collegati alle risposte ai questionari (per partecipante e per storia). Lo scopo di questa seconda analisi consiste nel verificare se le differenze individuali (come scoperte nei questionari) siano collegate ai diversi tipi di simulazione, come stabilito nello step 1 dell’analisi». Cliccate per ingrandire l’immagine

Come nella realtà, l’azione implica velocità (e aumenta il ritmo di lettura) mentre le descrizioni sensoriali e la mentalizzazione lo fanno rallentare. Parliamo dei dettagli e dei momenti introspettivi. Non è un mistero, infatti, che per spezzare il ritmo sincopato e rocambolesco dell’azione sia importante far riflettere i personaggi… e così facendo, come già si supponeva, il lettore stesso si fermerà a riflettere con loro.

È curioso notare come le descrizioni sensoriali rallentino la lettura più di ogni altro aspetto. I ricercatori collegano tale “lentezza” a una maggiore attività simulatoria; in altri termini, minore è la velocità di lettura, maggiore è la ricostruzione mentale del mondo narrativo. Non è un caso, giacché sta alle descrizioni dipingere l’intero scenario, personaggi compresi. E sono loro a impostare l’atmosfera.

Un consiglio che si è soliti dare agli autori, per rendere il testo più scorrevole, è di usare più verbi dinamici nelle descrizioni al posto di quelli statici. Ancora, lo studio si trova perfettamente in linea con questa indicazione. «(…) le persone leggono i passaggi ricchi d’azione più in fretta. Ciò è compatibile con le ricerche di Marino, Borghi, Buccino e Riggio, che hanno scoperto come le persone reagiscano alle frasi contenenti due verbi d’azione (per esempio “afferrare e usare”) più in fretta rispetto alle frasi che contengono due verbi d’osservazione (“guardare e fissare”). Questa scoperta suggerisce che la comprensione sia più rapida per le frasi cariche di azione, il che sposa le nostre ricerche sulla durata minore dello sguardo come funzione del grado secondo cui le parole siano considerate d’azione (e conseguentemente il grado in cui possano stimolare la simulazione motoria)».

Altro elemento d’interesse riguarda le risposte date dai partecipanti in relazione all’Attenzione e al Coinvolgimento Emotivo. Pare che un alto livello di attenzione nei confronti della storia implichi una scarsa correlazione tra la simulazione sensori-motoria, la mentalizzazione e il movimento degli occhi. Al contrario, un alto coinvolgimento emotivo coincide con una solida corrispondenza tra simulazione e ritmo di lettura. I ricercatori danno la seguente spiegazione al fenomeno:

Curiosamente, la relazione negativa tra la simulazione e l’attenzione ricorda l’attenuazione dell’effetto delle variabili lessicali e linguistiche durante la mindless reading. Sembra che le esperienze delle persone influenzino gli effetti di un certo numero di variabili durante la lettura. Tuttavia, l’attenzione e la mindless reading sembrano essere opposte l’una all’altra: è probabile che i partecipanti della mindless reading riscontrino una bassa attenzione per le storie che leggono. Come conseguenza, tali partecipanti potrebbero essere predisposti a simulare gli eventi delle storie che leggono, forse per uno stile di lettura più associativo. Ciò spiegherebbe perché abbiamo trovato una bassa attenzione associata a una maggiore simulazione.

La risposta emotiva evocata dalle storie, di contro, è positivamente collegata alla relazione tra tutti i tipi di simulazione e la durata dello sguardo. I partecipanti che hanno trovato le storie più tristi, tragiche, sinistre, commoventi e ricche di suspense hanno mostrato associazioni relativamente forti tra la simulazione e la durata dello sguardo. Questa può essere interpretata come prova che i partecipanti colpiti dalle storie che hanno letto siano inclini a simularne gli eventi (o il contrario: i partecipanti che sono inclini a simulare gli eventi di una storia sono emozionati maggiormente da essa).

indicatori degli effetti della lettura sul cervello
«Diagrammi per gli indicatori della durata dello sguardo nell’area di spillover. Tutti gli indicatori sono centrati e scalati. La durata dello sguardo è misurata in millisecondi, le aree grigie indicano il 95% di intervalli di confidenza». Cliccate per ingrandire l’immagine

Ha senso: per prestare particolare attenzione al contenuto di una storia bisogna rimanere vigili, coscienti… distaccati, in un certo senso. È il modo in cui legge un editor, che cerca di non farsi trascinare per non perdere eventuali errori o falle da correggere. Al contrario, maggiore è l’emozione, minore è l’attenzione. Un libro che ti trasporta ti fa perdere perfino la cognizione del tempo e dopo, a lettura finita, i contorni di quell’esperienza si fanno nebulosi.

E infatti «Le risposte al questionario sul Trasporto sono positivamente collegate alla relazione tra simulazione percettiva e durata dello sguardo. I partecipanti che hanno provato livelli maggiori di trasporto nel mondo della storia hanno mostrato anche un’associazione più forte tra la simulazione percettiva e la durata dello sguardo. Ciò indica un ruolo per la simulazione nel trasporto, il che supporta le diverse teorie riguardanti il trasporto e l’assorbimento descritte nell’introduzione, secondo le quali la simulazione sia una parte importante del trasporto/assorbimento».

Show don’t Tell e Neuroscienze

Chiunque conosca la regoletta dello Show don’t Tell (Mostra, non raccontare) avrà ravvisato delle importanti assonanze con gli effetti della lettura sul cervello. Ne abbiamo già discusso nel relativo articolo, ma giova ricordare come lo Show don’t Tell stesso si basi sulla simulazione della realtà. Astrazioni, etichette e tutto ciò che viene raccontato a posteriori non attengono alla realtà e, pertanto, non rientrano in tale tecnica.

Ma è dimostrato che la comprensione del linguaggio comporta una simulazione da parte del cervello umano. Dagli studi che ho riportato possiamo presumere che tutti noi ricostruiamo una serie di elementi durante la lettura, e che tale ricostruzione sia virtuale e vera al tempo stesso. Virtuale perché immaginaria, vera perché analoga all’originale. L’eroe afferra e le nostre mani, inconsciamente, afferrano; l’eroe osserva e i nostri occhi, inconsciamente, osservano.

Ciò significa, in parole povere, che un testo narrativo diventa realtà. Maggiore è l’attività simulatoria, maggiore (e maggiormente diversificato) è lo stimolo che solletica il cervello. Certo, in caso contrario il cervello si affatica meno, ma ciò significa che sente meno, come fosse atrofizzato. A conferma di ciò l’attività simulatoria comporta un impatto emotivo e un trasporto maggiori, come se non stessimo semplicemente osservando ma vivendo.

Un testo scritto con lo Show don’t Tell assorbe il lettore, che non può rimanere critico e indifferente ma deve lasciarsi travolgere. Ciò non è sempre vero, badate: come confermano le ricerche, le persone leggono in modi diversi. C’è chi, per esperienze o attitudini personali, si trova a simulare con maggior chiarezza determinati aspetti percettivi piuttosto che altri e chi, al contrario, predilige gli stimoli motori (magari uno sportivo). E c’è chi favorisce la mentalizzazione, sebbene non al livello delle percezioni stando al monitoraggio oculare.

Non che sia strano. Personalmente, ho un debole per le introspezioni e mi trovo completamente rapito dai monologhi interiori, dalle riflessioni o i conflitti emotivi e psicologici. In quei casi i pensieri dei personaggi diventano i miei, mi ritrovo al centro dei drammi, sento sulla mia pelle quelle sensazioni e mi chiedo, insieme all’eroe, quali decisioni prendere per non farmi sopraffare dalle emozioni altrui. In breve, simulo.

Ciò non toglie che le persone simulino con intensità diverse. Anzi, c’è perfino chi si rifiuta di leggere in questo modo. Mi riferisco a coloro che tengono alta l’attenzione, come chi legge per lavoro, ma non solo. Alcune persone sono abituate a leggere narrativa come se leggessero un saggio, forse per attitudine o per scarsa esperienza. Quei lettori analizzano il testo frase per frase con una vena critica e non cercano emozioni. Non sono realmente interessati alla storia, ma al contorno.

È il caso di alcuni appassionati di fantascienza, che si curano esclusivamente del concept. E infatti, puntualmente, la fantascienza è scritta di merda. O di alcuni appassionati dei romanzi storici, a cui importa solo del contesto e delle informazioni che possono carpire. O di certi intellettualoidi che disprezzano la narrativa di genere e cercano solo l’alta letteratura, cioè spunte da inserire nelle caselle della vanità e citazioni per i social media. O è il caso di chi legge spinto da motivazioni politiche, sociali e così via.

C’è chi accetta solo stimoli puramente intellettuali. Chi soffre di afantasia. Chi rifugge determinate emozioni e legge con la guardia alta. Chi legge a debita distanza a causa di una serie di fisime, ossessioni, blocchi interiori. Chi ha il terrore della realtà e della vita, per cui… perché dovrebbe volerla ritrovare in un testo? Chi parte con buone intenzioni ma viene respinto dal testo per motivi personali o, effettivamente, qualitativi. Chi non ha alcuna esperienza della vita e non può che consumare un libro come un bimbo con le fiabe.

l'umanità non può reggere troppa realtà. Ts Eliot
«L’umanità non può reggere troppa realtà». T. S. Eliot, dal poemetto Burnt Norton, primo dei Quattro Quartetti

Nei suddetti casi e in tanti altri la simulazione è compromessa ed è probabile che il fruitore non entri mai nel mondo narrativo, non senta ciò che deve sentire e provi, a libro chiuso, un leggero disappunto o una scialba indifferenza. Ha senso usare lo Show don’t Tell se esistono persone del genere? Ha senso simulare la realtà se chi ci legge è più colpito da un aforisma da bacio perugina piuttosto che da una coltellata che fa torcere le budella attorno alla lama?

. Per quanto le persone siano limitate (o meglio, limitino sé stesse) la biologia non cessa di esistere. Chiunque legga, anche il più idiosincratico dei letterati, finisce per cedere almeno a qualche piccola, breve simulazione. Non otterremo mai i risultati sperati con queste persone, ma possiamo fare in modo di sorprenderle in positivo. Certo, gli aforismi rimangono il modo più efficiente per avere successo, ma tanto vale dedicarsi alla vendita al dettaglio a quel punto, no? È più remunerativo e artisticamente appagante.

Extra: Gli Effetti delle Storie Vere sul Cervello

Vi è mai capitato di guardare un film, leggere un libro o giocare a un videogioco presentato come “tratto da una storia vera“? È un modo di pubblicizzare le storie assai diffuso e, come tale, non privo di efficacia. Ho constatato più volte come alcuni prodotti fossero accolti con maggiore entusiasmo grazie a tale etichettatura. «Lo sai che è tratto da una storia vera?», «è anche una storia vera!» e così via.

Ciò vale altresì per le biografie e autobiografie, sempreverdi della narrativa che si spacciano per saggistica. Trattasi di prodotti in grado di attrarre pubblico al di fuori della propria nicchia; gente che legge poco o niente quando si parla di romanzi ma che, alla parola magica di “racconto biografico“, si scopre vorace di storie. Ho sentito alcuni affermare, testuali parole, che non amano leggere le “storie inventate” ma solo quelle vere.

Un terza tattica ascrivibile al detto meccanismo è quella di sottotitolare un libro La Vera Storia di Pinco Pallino. Sembrerebbe una banalità, ma quel “la vera storia” di una “vera persona” è in grado di trasformare un avventore normalmente disinteressato in un potenziale cliente. Quali sono, dunque, egli effetti sul cervello di una tale strategia? Perché funziona (e funziona, altrimenti nessuno la impiegherebbe)?

Uno studio del 2012, «Realtà vs finzione – come le informazioni paratestuali influenzano il processo di lettura» (Fact vs fiction—how paratextual information shapes our reading processes), si focalizza proprio su questo aspetto e si propone di scoprire l’impatto della succitata etichettatura sulla mente del pubblico. L’idea è semplice: a 24 partecipanti sono sottoposte 80 micro-storie, metà delle quali pescate dal popolare gioco black stories e metà create ad hoc. Ciascuna storia è etichettata come “reale” o “inventata” in modo casuale. L’attività cerebrale dei partecipanti è scansionata da un macchinario per la risonanza magnetica.

Dall’attivazione di diverse regioni del cervello sembra che «Mentre i lettori si aspettano intrattenimento dalle storie fittizie, essi raccolgono informazioni quando leggono storie vere per aggiornare la propria conoscenza del mondo». Una conferma di quanto detto prima: le “storie vere” sono considerate un ibrido tra narrativa e saggistica. Come tali, vengono approcciate da una fetta più ampia di pubblico, lette con occhi diversi e dietro la spinta di altre motivazioni.

effetti della lettura di storie vere sul cervello
«Aree del cervello attivate nella comparazione tra la lettura di storie vere e la lettura di storie inventate. I colori caldi contrassegnano le aree dell’attivazione selettiva per il contrasto (A) reale vs inventato; quelli freddi indicano le aree per il contrasto (B) inventato vs reale».

(…) sapere che il testo riporta fatti reali sembra guidare le strategie di comprensione dei lettori verso ciò che è accaduto nella storia. L’immaginazione del lettore potrebbe essere innescata dalle azioni e i loro esiti, poiché le storie vere sembrano descrivere eventi passati e immutabili, diversamente dalla considerazione ipotetica degli eventi provocata dalla lettura dei testi fittizi.

Chi legge storie vere è particolarmente interessato ai fatti, com’è ovvio, che analizza con particolare attenzione. Le differenze, rispetto a chi consuma narrativa, sono notevoli. Infatti, «Leggere testi inventati sembra eccedere la semplice raccolta di informazioni. I nostri risultati suggeriscono che i lettori percepiscono gli accadimenti di una storia fittizia come possibilità, il che porta a un’attiva simulazione degli eventi – simile alla simulazione di un possibile passato o un possibile futuro».

Una delle regioni del cervello attivate dalla lettura di narrativa è il solco intraparietale destro (right IPL) che, insieme alla corteccia cingolata posteriore dorsale (dPCC), è collegata al default mode network. In particolare, «Il solco intraparietale destro è particolarmente reattivo durante l’osservazione e l’imitazione delle azioni altrui, il perspective taking, la costruzione della scena e la rappresentazione di obiettivi complessi».

«Presi insieme, questi risultati sono in accordo con l’ipotesi simulativa, che suggerisce una simulazione costruttiva di ciò che potrebbe essere accaduto quando gli eventi descritti in un testo sono ritenuti fittizi». In conclusione, «entrambi i contesti, quello fattuale e quello fittizio, attivano processi di immaginazione ma entrambi riflettono diversi livelli di simulazione».

Lo studio è particolarmente interessante perché dimostra come, indipendentemente dal contenuto, una semplice etichetta possa cambiare l’approccio alle storie e, di conseguenza, l’esperienza di lettura. Chi legge una “storia vera” si cura inconsciamente delle informazioni a dispetto di tutto il resto, e costruisce una simulazione meno completa del mondo narrativo. Ciò significa che l’impatto emotivo stesso va a diminuire, poiché le sensazioni sono meno chiare e, pertanto, meno intense; il trasporto va a diminuire, poiché il lettore si lascia trascinare meno per imparare di più e così via.

Sì, avete capito bene: specificare che si parla di una storia vera danneggia la storia stessa. O meglio, l’esperienza che ne faranno i lettori. Due parole possono fare la differenza, e ciò a conferma di quanto detto prima sulle differenze tra lettori. Le persone leggono in modo diverso e, in varie circostanze, qualcosa le limiterà nell’abbraccio del vostro mondo narrativo. A maggior ragione, le persone sono volubili: quelle due parole possono spingerle a leggere in un determinato modo piuttosto che in un altro.

Tutto ciò potrebbe suonare strano, ma ha perfettamente senso. Pensateci: quando leggete un’autobiografia e superate un passaggio particolarmente potente ed emozionante, cosa accade? Per quanto mi riguarda, reagisco pensando con stupore che quanto accaduto sia vero; che quella persona abbia davvero attraversato una simile esperienza. «Pazzesco», mi dico… invece di vivere l’esperienza sulla mia pelle e basta. Del resto, quell’evento è già accaduto ed è accaduto a qualcun altro. Questo sì che fa la differenza.

Ma se così fosse, perché le campagne marketing premono tanto sulle “storie vere”? Perché alle persone interessano. Vanno pazze per le storie vere sebbene ciò, a livello inconscio, vada a sabotare il piacere che ne trarranno. Strano, vero? Neanche tanto, perché a editori e compagnia interessa solo incassare di più. Inoltre, danno alla gente ciò che desidera; non gliene si può fare una colpa. Del resto, parliamo di un settore conosciuto per la sua poca lungimiranza, almeno in Italia.

Il problema, semmai, è il disdegno per le “storie inventate”, che deriva da una serie di motivi, primo tra i quali il livello medio delle pubblicazioni. Quando un libro cessa di essere benzina per la vanità, perché l’autore è un nessuno, per esempio, non coinvolge emotivamente, non ci trasporta in un altro mondo e non ha nulla da insegnarci, cosa resta? È il caso della stragrande maggioranza di romanzi scritti da autori italiani.

Molte persone, uomini soprattutto, leggono per accrescere le proprie conoscenze. Consumare un libro senza uno scopo preciso è qualcosa che li turba, da cui la preferenza per i saggi. Ciò che ignorano, però, è che la narrativa ha tanto da insegnare sotto forma di nozioni e, soprattutto, esperienze… cosa che un saggio non è capace di fare. Credo, anzi, che la vera conoscenza, intesa come potere, riguardi le persone, piuttosto che le informazioni. Certo, si potrebbe parlare per ore dell’argomento, ma non è compito di questo articolo.

In conclusione, voi che ne pensate? Quali effetti ha la lettura sul vostro cervello? Commentate!

Se avete apprezzato l’articolo, non dimenticate di leggere gli altri della rubrica Tecniche Narrative!

6 risposte

  1. Leggere è davvero un’esperienza immersiva. Devo dire con rammarico che oggi, a 55 anni, sono anch’io, da giovane divoratrice di libri che ero, inquinata, spinta e deformata dalla cultura dell’immagine. Dopo cinque righe mi distraggo, perché non ho l’immagine (in movimento) davanti. Ma naturalmente so bene che la vera letteratura, cioè la buona letteratura, genera tutt’altro effetto. Ricordo “Ragione e sentimento” letto in un unico giorno dalla sveglia alla buonanotte. Ricordo l’amica che ha letto “Il prigioniero di Azkaban” dalla sera alla mattina, senza riuscire a interrompere per mettersi a dormire. Ricordo i libri ricominciati daccapo appena terminati, tra cui “Le Tigri di Mompracem”. Ho buone speranze di ritrovare il gusto per la letteratura facendo un piano di letture di romanzi russi e francesi dell’Ottocento.

    1. Antonella, l’articolo dimostra proprio come quello che tu inputi alla “cultura dell’immagine” sia biologico e innato. Anch’io lessi, da ragazzo, Il Codice da Vinci tutto d’un fiato, ma ciò non significa che fosse un capolavoro… come di certo non è Il prigioniero di Azkaban. Le tue sono considerazioni del tutto soggettive. L’unica certezza è questa: il fatto che dopo 5 minuti ti distrai, non è colpa tua né della società, ma del libro che stavi leggendo…

  2. Interessante!
    È vero anche che non solo leggere un libro può farci provare emozioni che con un altro libro non proviamo, ma capita che un libro che tizio troverà coinvolgente, non lo troverà altrettanto coinvolgente caio.

  3. Io leggo poco ma con “I giorni dell’ addio” di Noeal Barber mi sono immerso alla grande! Ed è così ogni volta che lo rileggo a distanza di anni. Credo di non avere fiuto per scegliere i libri perchè altri mi hanno davvero annoiato e ho fatto fatica a finirli.

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Sono Giuseppe, scrittore, blogger, insegnante di scrittura creativa e coach narrativo! Sono alla costante ricerca di nuovi metodi per raccontare storie. Immersivita.it è il mio tentativo di condividere ciò che ho scoperto: benvenuti, e che il naufragar vi sia dolce in questo mare…

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