Cosa sono gli Archetipi?
Abbiamo già parlato nello scorso articolo del Monomito, o Viaggio dell’eroe, ovvero del sogno collettivo che scaturisce dall’inconscio dei popoli e produce le immagini fondamentali della mitologia, dei riti… delle storie che raccontiamo ancora oggi.
Abbiamo altresì analizzato la struttura di queste storie, i meccanismi esterni e interiori, comparandola all’Arco di trasformazione del personaggio e alle moderne tecniche di costruzione delle storie. In altre parole, abbiamo trasformato il Monomito in uno strumento utile a ogni scrittore che voglia scrivere romanzi immortali, capaci di avvincere e segnare i lettori.

Ma, come detto, il mito è lo specchio del sogno ed entrambi pescano da quelle che Carl Jung chiama «le immagini archetipe», gli antichi modelli di relazione e personalità che costituiscono l’eredità condivisa del genere umano.
Entrando nel mondo delle fiabe e delle leggende, si potrà notare che alcune tipologie di comportamenti e personaggi ricorrono con grande frequenza. Questi schemi assolvono determinati ruoli nella narrazione personale e collettiva, ovvero in ciò che concerne il plot e il subplot di una storia. Si tratta, infatti, delle sfaccettature psicologiche primordiali dell’uomo, nonché dei “tipi d’uomo” che incontriamo ogni giorno nelle nostre interazioni sociali.
Per Jung, l’inconscio collettivo è costituito da archetipi, che egli considera «strutture di rappresentazione» a priori, o «forme istintive di rappresentazione mentale». Si tratta di processi psichici innati e legati alla biologia umana, che si stratificano con la crescita dell’individuo e si manifestano sotto forma di simboli emotivamente carichi; simboli che ritroviamo nei miti, nelle religioni e nei sogni.
Gli archetipi in sé sono impossibili da rappresentare. Ciò che noi riscontriamo (e ciò di cui parleremo) sono le manifestazioni che essi producono nella coscienza, cioè tecnicamente i “modelli archetipici”. Esistono gli archetipi propri, che rimangono inconsci e ineffabili, e le immagini archetipiche che ne conseguono. I ruoli e i personaggi qui elencati, infatti, non sono che l’espressione e la categorizzazione di tale concetto secondo gli studi della psicologia analitica. L’archetipo, del resto, «risiede nella tendenza».
In altri termini, figure archetipiche come l’Eroe, la Dea, il Vecchio Saggio ecc. non sono archetipi, ma rappresentazioni coscienti di questi ultimi. Gli archetipi sarebbero, al contrario, le predisposizioni innate che hanno condotto alla formazione delle suddette immagini. Tuttavia, per comodità, queste ultime hanno finito per essere definite, semplicemente, archetipi.
Proprio per questo motivo, Jung non stila alcun elenco di possibili archetipi e si rifiuta di personificarli. Tuttavia, egli menziona alcune figure che variano in base a culture, motivi ed epoche. Jung associa a tali figure un caleidoscopio di immagini archetipiche e le approfondisce in vari livelli di rappresentazioni. Se non sono archetipi propri, insomma, sono le manifestazioni che, per l’autore, più si avvicinano a tali tendenze. Le principali sono:
- Il «Sé», l’archetipo della totalità, dell’individuazione e della psiche nel suo insieme. Si può raffigurare come un cerchio, un quadrato o un mandala il cui centro rappresenta l’Ego, contenuto dal tutto. Include la coscienza e l’incoscienza.
- L’«Anima», cioè la raffigurazione primordiale del femminino presente nell’uomo, e l’«Animus», cioè la controparte maschile nell’inconscio della donna.
- L’«Ombra», ovvero la somma delle pulsioni segrete e dei sentimenti repressi nell’inconscio.
- La «Persona», l’immagine pubblica che si ha di sé, o la maschera che l’individuo è costretto a indossare per sopravvivere nella società e per nascondere la sua vera natura.
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Gli Archetipi Junghiani secondo Carol Pearson
L’analista e psicologa Carol S. Pearson approfondisce gli studi di Carl Jung e James Hillman e introduce ben 12 archetipi, divisi in 3 set da 4.
- l’Innocente, l’Orfano/l’Uomo comune, l’Eroe/il Guerriero e l’Angelo Custode sono mossi dall’Io.
- L’Esploratore, Il Ribelle/il Distruttore, l’Amante e il Creatore sono mossi dall’Anima/Animus.
- Il Folle/Giullare, il Saggio, il Mago e il Sovrano sono mossi dal Sé.
Ognuno di essi esprime un aspetto psicologico preciso. Si badi che tanti archetipi concorrono a formare la nostra personalità, ma uno soltanto tende a dominare sugli altri, secondo la Pearson.
Gli Archetipi dell’Io
Il motto dell’Innocente è «libero di essere te e me stesso». È la parte romantica della nostra personalità, quella che ama sognare e sperare. L’Innocente è un ottimista con un’incrollabile fiducia nel mondo; è il fanciullino che alberga nel nostro cuore e che desidera il gioco, la felicità e la protezione. Di contro, egli incarna l’auto-illusione, l’ingenuità e la fuga della realtà. È una forza profondamente egocentrica e dipendente dagli altri.
Il motto dell’Orfano è «tutti gli uomini sono stati creati uguali». È la parte pragmatica della nostra personalità, quella che ama appartenere a un sentire comune. L’Orfano è colui che, in seguito a un tradimento o un abbandono, ha imparato a essere autonomo e ad abbracciare la sua natura mortale e precaria. Come tale, egli trova consolazione nella condivisione della sofferenza e delle rinunce. L’Orfano, per realizzarsi nel suo ideale di vita concreta e partecipata, ha bisogno di collaborare e connettersi agli altri. Di contro, egli incarna il fatalismo, il conformismo, la superficialità e tutti i difetti propri dell’uomo comune, come l’avarizia e l’invidia.
Il motto dell’Eroe è «dove c’è la volontà, c’è una via». È la parte coraggiosa della nostra personalità, quella che ama dimostrare il suo valore e combattere per difendere ciò che le è caro. L’Eroe è il guardiano dell’integrità morale, l’aspetto che sa dire “no” e che sa mettere paletti, prendere decisioni, grazie all’esercizio della forza di volontà. Attraverso l’abnegazione e lo spirito di sacrificio, l’Eroe cambia il mondo. Di contro, egli incarna il potere amorale e devastante della violenza.
Il motto dell’Angelo custode è «ama il prossimo tuo come te stesso». È la parte altruista della nostra personalità, quella che ama dare affetto e protezione agli altri. L’Angelo custode è la madre col bambino, piena di tenerezza, generosità e compassione verso l’oggetto del suo slancio. Di contro, incarna il sentimento di inadeguatezza e impotenza, la manipolazione emotiva, l’instillazione del senso di colpa, la castrazione e il soffocamento. Nei casi estremi, l’altruismo dell’Angelo custode può portare al martirio.
Gli Archetipi dell’Anima/Animus
Il motto dell’Esploratore è «non recintarmi». È la parte pionieristica della nostra personalità, quella che ama la libertà e la conoscenza. L’Esploratore è il viaggiatore dentro di noi, il nemico delle costrizioni e dell’abitudine. Egli è mosso dalla curiosità ed è costantemente rivolto verso l’alto, verso la verità, l’idealismo, i misteri e l’assoluto, in quanto cercatore interiore. Di contro, l’Esploratore incarna l’insoddisfazione, il cinismo e il criticismo di chi non è mai pago, nonché la superbia e la fuga dalla crudezza della materia.
Il motto del Ribelle è «le regole sono fatte per essere infrante». È la parte distruttiva della nostra personalità, quella che ama sconvolgere, ribaltare, trasformare lo status quo, verso il quale nutre un profondo rancore. Il Ribelle è il selvaggio dentro di noi, l’iconoclasta che ha rotto con la vita e la guarda con rinnovato distacco. Di contro, egli incarna la pulsione criminale, nichilista, nonché l’odio e la vendetta. È l’eterno incompreso.
Il motto dell’Amante è «tu sei l’unico e solo». È la parte passionale della nostra personalità, quella che ama l’amore, che ama piacere e compiacere gli altri. L’Amante s’identifica con ciò che lo attrae e la sua felicità si realizza nell’intimità e nelle relazioni con le persone, il lavoro e gli ambienti che ama. È il sentimento di estasi, di abbandono, il matrimonio sacro dell’Incontro con la Dea: la riconciliazione tra l’ignoto dell’Io e la realtà. Di contro, incarna la perdita d’identità (per la formazione di una nuova), la dipendenza dagli altri e dalle proprie emozioni. La conseguente gelosia, la possessività nei confronti dell’amato, o la lussuria sfrenata per una fugace sensazione di esistenza.
Il motto del Creatore è «se puoi immaginarlo, è fattibile». È la parte creativa della nostra personalità, quella che ama esprimersi e dare forma al proprio spirito. Il Creatore intende impattare la realtà oltre la sua stessa esistenza, poiché concepisce il suo operato come qualcosa che superi la materia, e tende a identificare sé stesso con la sua visione o con l’espressione di quest’ultima. Di contro, egli incarna l’ossessività, la mania del lavoro, il feticismo culturale o scientifico e, in certi casi, la totale irresponsabilità, giacché il mondo del Creatore si ferma alla sua creazione.
Gli Archetipi del Sé
Il motto del Giullare è «si vive una volta sola». È la parte vitale e giocosa della nostra personalità, quella che ama vivere nel presente, divertirsi e godere delle gioie della vita. Il Giullare non prende nulla sul serio e, per questo, è fluido, mai rigido, foriero di cambiamenti e nuove percezioni. Egli s’identifica nell’azione, nel momento, nell’esperienza vissuta qui e ora, fino in fondo. Di contro, il Giullare incarna la pazzia, la sfrenatezza dei sensi, il caos, l’anarchia, l’intero spettro dei vizi, fino alla perdita totale della ragione.
Il motto del Saggio è «la verità ti libererà». È la parte meditativa della nostra personalità, quella che ama capire e conoscere i meccanismi profondi della realtà. Il Saggio è alla costante ricerca della verità oltre ogni illusione e mistificazione ed è, pertanto, indifferente a ciò che lui reputa inessenziale. La verità, il sapere e lo strumento attraverso cui raggiungerlo, cioè l’intelligenza, sono ciò in cui s’identifica il Saggio, che non teme neanche più la morte. Di contro, egli incarna il fanatismo, il dogmatismo di chi crede in una singola via e il conseguente atteggiamento rigido del razionalista. Ma il Saggio è anche affetto dalla paralisi dello studioso, che scambia la realtà per ciò che egli vi ricerca e finisce per estraniarsi, impotente e inutile.
Il motto del Mago è «io faccio sì che le cose accadano». È la parte religiosa e visionaria della nostra personalità, quella che ama dare un senso al mondo e vivere secondo le regole che ha abbracciato. Il Mago ha un’incrollabile fede in un reame invisibile, onnipotente, attraverso il quale discerne le leggi del mondo e trae potere per plasmare la realtà. Egli vive il sogno e lo realizza, per sé e per gli altri. Di contro, il Mago Nero incarna le suggestioni malevole, in grado di corrompere le persone e di manipolarle a suo piacimento. Il Mago, inoltre, perisce insieme al suo credo: se questo viene meno, il cuore s’infrange in mille pezzi.
Il motto del Sovrano è «il potere non è tutto, è l’unica cosa». È la parte controllante della nostra personalità, quella che ama esercitare il suo potere sulla realtà e realizzare, grazie alla sua egida, il successo del mondo. Il Sovrano sente una grande responsabilità e antepone l’autorità a ogni altra cosa: è suo dovere, sua vocazione razionalizzare il dominio secondo i suoi schemi. Di contro, egli incarna la tirannia, l’incapacità a delegare, il razionalismo ossessivo che mal si adatta alla realtà sfuggente, ingiusta e profondamente irrazionale. Il Sovrano non può sopportare di perdere il controllo, nel quale s’identifica.
Qui trovate un simpatico Test degli Archetipi, il quale «ha lo scopo di fornire un quadro del livello di attivazione di ciascun archetipo».
Gli Archetipi di Vogler
Christopher Vogler ha elaborato, ne Il Viaggio dell’eroe, degli archetipi narrativi nella cornice del Monomito di Joseph Campbell.

L’utilità dell’archetipo dipende da quest’ultimo, in quanto ognuno serve uno scopo preciso nell’avventura, ma tutti condividono la compenetrazione universale del fruitore nell’immagine archetipa. Lo scrittore potrà far uso di queste figure primève «per creare esperienze drammaturgiche riconoscibili da tutti», come asserisce l’autore.

L’archetipo principale è senza dubbio l’Eroe, una figura ancestrale alla quale siamo abituati e che ho trattato estensivamente nello scorso articolo. Ma ci sono tanti altri personaggi ricorrenti: il Mentore (Vecchio Saggio), l’Alleato, il Guardiano della soglia, il Messaggero, lo Shapeshifter, l’Ombra e il Trickster, per non parlare dei molteplici intrecci che si possono comporre con queste figure.
È importante ricordare che gli archetipi non sono ruoli fissi, ma funzioni svolte dai personaggi a seconda del contesto e dello scopo narrativo. Per esempio, un personaggio potrà fare da Mentore in alcune scene e da Messaggero in altre, o da Guardiano della soglia per un lungo periodo e da Ombra in un paio di pagine.
Pensate agli archetipi come a delle maschere indossate dai personaggi. A ciascuna maschera corrisponde un’identità differente.
Detto questo, analizziamo uno per uno ciascun archetipo e vediamo, insieme, quali sono i loro impieghi e le loro caratteristiche.
Il Mentore (o Vecchio Saggio)

Il ruolo del Mentore è uno dei più comuni ed è stato interpretato ininterrottamente da personaggi dei miti, dei film e dei romanzi. Si tratta di una figura perno della narrazione che riscuote un grande successo col pubblico: ricordiamo tutti Gandalf ne Il Signor degli Anelli e in Lo Hobbit, così come Albus Silente in Harry Potter, Obi-wan in Guerre Stellari, Virgilio nella Divina Commedia, Vandham in Xenoblade Chronicles 2 ecc.
Il Mentore, nella sua tradizionale veste di Vecchio Saggio, offre aiuto materiale e spirituale all’eroe. Egli funge da guida, insegnante, donatore, inventore, coscienza superiore. Da “padre surrogato” e, come tale, sospinge il cuore dell’eroe oltre l’ostacolo. Non a caso, spesso il Mentore prepara l’eroe al cosiddetto Varco della soglia dell’avventura, cioè al passaggio dal Mondo ordinario a quello straordinario, dall’abitudine all’ignoto.
Di riflesso, l’iniziazione spirituale a cui il Mentore sottopone il protagonista funge da sprone al cambiamento. La preparazione al Varco della soglia è anche una preparazione al viaggio interiore dell’eroe, allo sradicamento dei suoi demoni infantili. Dunque il Mentore è una figura funzionale allo step dell’Aiuto soprannaturale, ribattezzato da Vogler Incontro col Mentore, del Monomito.
Ma non è soltanto questo. Come avrete notato dagli esempi precedenti, capita che il Mentore assuma dei ruoli addizionali o che riveli una faccia del tutto opposta della sua personalità. La figura del Mentore, infatti, è estremamente versatile e Vogler individua delle ulteriori, ricorrenti sfumature di tale funzione: Mentori negativi, Mentori caduti, Mentori comici e Mentori interiori (o Super-io). Per non parlare dei Mentori molteplici, cioè una pluralità di Mentori al servizio di un singolo eroe; in quel caso, ognuno esprime un lato preciso dell’archetipo.
Un Mentore negativo può essere un Antimentore che, similmente all’Antieroe, rovescia i valori che guiderebbero il protagonista all’agognata rinascita e trasformazione. L’Antimentore è il “cattivo maestro”, colui che esercita un’influenza nefasta sull’eroe e cerca di instradarlo su un’Arco di trasformazione errato. Il Viaggio dell’eroe a cui anela l’Antimentore è l’Antiviaggio, ovvero una corsia superveloce per l’autodistruzione o per l’incarognimento.
È questo il caso di John Keating (Robin Williams) in L’Attimo Fuggente: l’insegnante, applicando un metodo didattico a dir poco distruttivo, incoraggia gli alunni a seguire i loro istinti e desideri personali, a realizzarli senza curarsi della società. Li spinge a identificarsi, insomma, nelle loro aspirazioni. Il risultato è che Neil, la cui passione di attore viene castrata dal padre, si suicida.
In alternativa, un Mentore negativo può cercare di frenare l’eroe per impedirgli di varcare la soglia del Mondo ordinario. In tal caso il Mentore rivela tutta la sua inadeguatezza e si trasforma in un’Ombra nei confronti delle aspirazioni dell’eroe. Un ostacolo, un antagonista la cui patetica condizione potrebbe paradossalmente respingere l’eroe al punto di spronarlo al Varco della soglia.
Il Mentore caduto è un Mentore che non ce l’ha fatta. O meglio, che non riesce ad assumere pienamente la sua funzione nella narrazione. Si tratta di un uomo a metà, proprio come l’eroe, ed è anch’egli capace di percorrere il suo intimo sentiero per la redenzione. Il Mentore caduto può partecipare al Viaggio dell’eroe parallelamente a quest’ultimo e instaurare una relazione di mutuo aiuto, un do ut des col protagonista.
È questo il caso di Jimmy Malone (Sean Connery) ne Gli Intoccabili: il vecchio poliziotto ridà un senso alla sua vita grazie al protagonista Eliot Ness (Kevin Costner), a cui fa da Mentore, fino all’eroica morte alla quale sarebbe dovuto andare incontro molto tempo prima, se non si fosse arreso, e nella quale sprona ulteriormente Ness come un vero eroe & Mentore completo. «E adesso che cosa sei disposto a fare?».
Infine c’è il Mentore interiore, o il Sé superiore. Di norma si tratta della coscienza dell’eroe o di una sua trasfigurazione, come il Grillo parlante di Pinocchio. In tal caso, però, si tratterebbe di un Super-io particolarmente invadente e avulso dalla personalità dell’eroe. Alternativamente, il Mentore interiore può essere un codice o una norma comportamentale interiorizzata dal personaggio, come il bushido per i samurai o il codice dei recuperatori per Rex in Xenoblade Chronicles 2.
Il Guardiano della Soglia

Come nel caso del Mentore, il Guardiano della soglia è un archetipo estremamente importante e comune nelle storie di tutti i tempi. La sua funzione è quella di ostacolare l’accesso al Mondo straordinario da parte dell’eroe, cioè di metterne alla prova lo spirito. Il Guardiano della soglia assume le sembianze della volpe, che tiene alla larga gli altri animali dalla tana dell’orso (il quale le ha permesso di rifugiarvisi); di Cerbero, che sorveglia l’ingresso degli Inferi; delle nostre nevrosi, i demoni che ostacolano la maturità interiore.
Il Guardiano della soglia è un ostacolo, sì, ma non necessariamente un nemico. I vizi e le dipendenze che frenano il nostro sviluppo sono aspetti che dobbiamo imparare a gestire. Allo stesso modo, le persone che ci vogliono bene (come i parenti stretti, per esempio) ci metteranno sempre i bastoni tra le ruote nel nostro processo di trasformazione; ciò non vuol dire che dobbiamo sterminarle.
Tutto ciò che siamo e che ci è accanto si nutre di noi; vive di noi, delle nostre abitudini, dei nostri difetti congeniti, delle storture dei nostri pensieri. Trasformazione significa morte e rinascita, perciò chiunque ami l’eroe o condivida qualcosa con lui si sentirà minacciato dalla sua volontà di andare oltre. Da scrittori, dunque, è importante capire che quelle persone agiscono semplicemente come Guardiani della soglia.
Il Guardiano della soglia verifica la determinazione al cambiamento dell’eroe. Nel momento in cui tale spinta supera la resistenza del Guardiano (magari anche con l’aiuto di un Mentore), la prova è automaticamente superata. I parenti dovranno abituarsi all’idea e farsene una ragione; i vizi e le dipendenze torneranno a metterci alla prova, certo, ma inutilmente se la determinazione non scema. La volpe che digrignava i denti scapperà impaurita a un nostro passo. E se Cerbero attaccherà, troveremo il modo di affrontarlo. Una focaccia di miele intrisa di erbe soporifere, per esempio, come nell’Eneide.
Ricordate il motto dell’eroe? Se c’è la volontà, c’è una via.
Ecco perché, classicamente, il Guardiano della soglia si batte con l’astuzia o si arrende da solo. O addirittura si tramuta in un prezioso Alleato per l’eroe, o ancora quest’ultimo ne assorbe i poteri. In ogni caso, il Guardiano stesso si tramuta in sprone ulteriore per il Varco della soglia, e funge da assaggio del regno dell’ignoto (e dell’Io) che attende il protagonista.
Un buon modo per affrontare il Guardiano della soglia è quello di mettersi nei suoi panni. Ciò significa mutare percezione e fare già il primo passo nel Mondo straordinario. L’eroe impara così a riconoscere i Guardiani come opportunità e a trarre beneficio dalla resistenza al cambiamento che essi generano. Ci sono, infatti, infiniti Guardiani sulla soglia di ciascuna conquista, esteriore quanto interiore, sebbene nessuno ci colga impreparati quanto il primo.
E il ritorno dal Mondo straordinario a quello ordinario? Non c’è un Guardiano della soglia anche lì?
La risposta è no. Come detto nel precedente articolo, il Ritorno sancisce la resurrezione dell’eroe e la benedizione del mondo. Per questo, il secondo Varco della soglia implica la morte (in senso lato o meno) del protagonista. Non serve determinazione a passare, poiché l’eroe ha già interiorizzato la volontà al cambiamento attraverso l’Incontro con la Dea, la Riconciliazione col padre e/o l’Apoteosi.
La determinazione serve subito dopo il passaggio, ovvero nell’urto col mondo che dilania l’eroe. È lì che avviene la Discesa del Terzo Atto nell’Arco di trasformazione e la conseguente fase del Signore dei due Mondi del Monomito. In altre parole, l’eroe deve avere la forza di rialzarsi e di mettere in pratica ciò che aveva interiorizzato nel Mondo straordinario, per sublimare la sua trasformazione.
Il Messaggero

Herald, l’Araldo, è colui che annuncia un cambiamento. Che sia una sfida, una tempesta in arrivo o altro, l’Araldo consegna un messaggio contemporaneamente all’eroe e al lettore. E quando il Messaggero entra nella storia, entrambi intuiscono (consciamente o inconsciamente) che nulla sarà come prima.
Il Messaggero è l’archetipo dello sconvolgimento interiore ed esteriore, dello step della Chiamata all’avventura: al suo passaggio, l’eroe non potrà che imbarcarsi nel viaggio e intraprendere il suo Arco di trasformazione. Ecco perché il suo ruolo può essere interpretato tanto da un personaggio (come avviene classicamente) quanto da un avvenimento, un oggetto o una semplice frase.
L’Araldo è l’innesco ed è foriero di cambiamento. In quanto tale, egli proviene dal Mondo straordinario e reca con sé un frammento dell’ignoto. Spesso il Messaggero è un Dio (Hermes) o l’emissario di un Dio; è il cattivo o un suo sottoposto; è una creatura fatata fuggita dal suo mondo magico. Altrettanto spesso, altri archetipi indossano le vesti del Messaggero per poi metterle da parte: un Mentore può agire da Messaggero e porre una sfida all’eroe; la comparsa di quello che sarà un Alleato (Dobby in Harry Potter e la camera dei segreti) può fungere da Chiamata all’avventura; un Trickster, un Guardiano della soglia… chiunque può portare, anche senza volerlo, il messaggio.
Ciò che conta è che il personaggio o l’evento, per essere realmente foriero di avventura, abbia in esso i connotati del Mondo straordinario. Sarà l’eco di quel mondo ad attirare l’eroe, che lui lo voglia o no, con la forza o meno, di necessità o virtù. Del resto, il protagonista ha bisogno del suo Viaggio dell’eroe nella stessa misura in cui noi abbiamo fame di storie. E l’unica storia che valga la pena raccontare è quella in cui l’eroe, alla fine, è partito con Gandalf e non è rimasto alla Contea.
Capita che l’intervento del Messaggero risolva anche la fase dell’Aiuto soprannaturale. L’Araldo stesso può fornire la motivazione o la spinta affinché l’eroe affronti il viaggio. In altri casi, il Messaggero si limita a porre l’Appello all’avventura e il protagonista dovrà trovare altrove (magari in un Mentore, in un ricordo o nelle parole di un amico) la spinta per il Varco della soglia.
L’archetipo del Messaggero può presentarsi in qualsiasi momento della narrazione, oltre che nei suddetti. In tali evenienze, egli si limita all’annuncio di un ulteriore sconvolgimento all’interno del Mondo sconosciuto, cui l’eroe, stavolta, sarà maggiormente preparato. Lo sconvolgimento dovrà provenire dai recessi dell’Io, come nel caso della Prova centrale e, di riflesso, dalle zone ancora più ombrose e terribili del regno ignoto.
Chiaro che, come per il Mentore e l’eroe, il Messaggero può svolgere un ruolo negativo e porre all’eroe un Appello all’avventura sbagliata, ovvero a un percorso che non gli sia di alcun aiuto. L’Antiaraldo o Antimessaggero esercita comunque la sua funzione poiché, nel tentativo (riuscito o meno) di innescare un cambiamento negativo nell’eroe, egli risveglia (in seguito a una catena di eventi e di passaggi di un Arco di trasformazione sballato) la necessità del reale Viaggio dell’eroe. Il problema è il tempismo e quanto a fondo il protagonista segue la strada errata: nel caso delle tragedie, sarà ormai troppo tardi per raddrizzare la rotta.
Lo Shapeshifter

Lo Shapeshifter, o mutaforma, è l’archetipo del personaggio proteiforme, mutevole, non necessariamente negativo ma senz’altro inaffidabile. Il ruolo dello Shapeshifter può essere positivo e fungere da Alleato, oppure negativo e fungere da Ombra, cioè da antagonista. Ma può anche risultare neutrale e servire altri scopi, dal richiamo del Messaggero alla prova del Guardiano della soglia.
Ciononostante, lo Shapeshifter ha una sua identità. Come nel caso delle persone particolarmente volubili, lunatiche o addirittura schizofreniche, lo Shapeshifter non è mai facile da gestire e finisce per confondere l’eroe. Ciò rende l’avventura più movimentata e serve a rafforzare la determinazione dell’eroe. Egli riesce a sbarazzarsi dello Shapeshifter o a trarne giovamento attraverso la pazienza e la forza d’animo.
Ciò che conta è che i sentimenti dello Shapeshifter siano reali e che le sue azioni siano, nel momento in cui sono effettuate, veritiere. Se così non fosse si tratterebbe non di un personaggio realmente mutevole, ma di un bugiardo. E in quel caso ci troveremmo di fronte a un semplice antagonista o Alleato, magari un po’ incostante. O un vero e proprio Trickster.
La differenza è sostanziale, perché i suddetti archetipi sono prevedili e risolvibili in certi modi. Lo Shapeshifter, invece, si basa proprio sull’imprevedibilità e l’aspetto psicologico che rappresenta è il disequilibrio. Per comprenderlo, l’eroe deve coltivare il suo equilibrio interiore; per affrontarlo, egli deve opporre tale equilibrio al disordine spirituale dello Shapeshifter.
Nell’Arco di trasformazione, cioè nel viaggio interiore dell’eroe, lo Shapeshifter potrebbe essere incarnato dagli scompensi dell’Io. Essi fungerebbero da ostacoli per il raggiungimento della consapevolezza e lo sradicamento dei demoni infantili. Il riallineamento di quei dissesti, però, potrebbe aiutare l’eroe con la risoluzione del problema principale, cioè l’abbandono del Fatal flaw e la rinascita sotto nuova forma (eccetto nel caso in cui lo shapeshifting sia precisamente il difetto fatale dell’eroe).
Si tratta, invero, di un’evenienza comune, poiché tutti abbiamo degli scompensi e questi ci mettono sempre i bastoni tra le ruote. Lo step del Monomito e dell’Arco in cui lo Shapeshifter, come personaggio, consequenzialità di eventi o condizione psicologica, potrebbe intervenire maggiormente è senz’altro quello della Strada delle Prove, ovvero la Spinta verso il punto di rottura. È il momento in cui facciamo i conti con le insidie della nostra personalità (le prove del Mondo sconosciuto), prima di arrivare al cuore del problema nella Prova centrale.
L’Ombra

L’Ombra è il lato oscuro della personalità. Gli aspetti repressi, irrealizzati, respinti che covano nelle profondità dell’Io e capaci, se lasciati sotto il tappeto, di distruggere una persona dall’interno.
L’Ombra cela le voglie animalesche, le manie di conquista e distruzione, il sadismo e il masochismo che alberga nei cuori. Ma anche il bisogno di libertà assoluta, gli amori sopiti, un senso di colpa da espiare o un senso di rivalsa da riconquistare, o anche una fede da ricostruire. In altre parole, l’Ombra non è né negativa né positiva di per sé; dipende dalla qualità di ciò che è sommerso.
In ogni caso, ciò che è imbrigliato (buono o cattivo che sia) deve essere sciolto, e ciò che è stato seppellito deve tornare alla luce. Ecco perché l’Ombra, come aspetto psicologico, si risolve con un unico meccanismo: l’illuminazione, la comprensione che ci permette di accettare i lati oscuri e quelli meno scuri, in un’ottica di serenità interiore.
L’archetipo dell’Ombra viene interpretato dall’antagonista dell’eroe, che funge da contraltare a quest’ultimo. L’antagonista non deve per forza essere “cattivo“, si badi; è sufficiente che abbia interessi contrastanti rispetto a quelli del protagonista e che ostacoli pertanto il suo Viaggio dell’eroe (e il suo Arco di trasformazione). L’antagonista esprime ciò che l’eroe tenta di combattere nella sua lotta interiore: il Fatal flaw, il peccato originale che l’eroe deve estirpare per curare la sua anima.
Tuttavia, perché l’antagonista dovrebbe essere un’Ombra? Non è sufficiente che affronti l’eroe? Per esempio, entrambi potrebbero dover rinvenire una medicina magica per curare i malati dei loro rispettivi villaggi. L’uno è l’antagonista dell’altro e non c’è nessuna Ombra, in quanto le avventure e i personaggi sono identici.
Qui, però, sorge un problema. Una storia che segue la struttura del Monomito o dell’Arco necessita di una spinta interiore che interessi l’eroe sulla base di un’inadeguatezza, un’incompletezza della personalità. Tale spinta porterà l’eroe ad affrontare quella mancanza e a rinascere come una persona nuova, più completa.
Tornando al nostro esempio, la ricerca della medicina deve rappresentare un’occasione, per l’eroe, di cambiamento. Se l’antagonista è il suo specchio, questi deve necessariamente essere limitato come lui e affetto dalla medesima inadeguatezza. Avete capito bene: l’eroe, all’inizio della sua avventura, è l’Ombra stessa (poiché, in realtà, è contro sé stesso che deve lottare per estirpare i suoi demoni infantili).
Ciò significa che l’antagonista, nel caso di specie, rappresenta esattamente il difetto che si oppone al cambiamento dell’eroe, come l’eroe lo rappresenta per l’antagonista. La conseguenza è che in questa storia, a un certo punto, i due si ritroveranno Alleati), e il ruolo dell’antagonista verrà interpretato da qualcun altro.
In effetti, chiunque può assumere il ruolo di Ombra e di antagonista, nella storia, per poi lasciarlo.
Eroe | Antagonista |
Fatal flaw (si oppone al cambiamento come un antagonista). | Si oppone all’eroe (come il suo stesso Fatal flaw). |
Incarna l’Ombra di sé stesso finché non estirpa il Fatal flaw. | Incarna il Fatal flaw dell’eroe, finché l’eroe non lo sconfigge e libera il mondo dai demoni. |
Nel Viaggio dell’eroe, l’Ombra agisce durante l’intero percorso. Lo step in cui l’Ombra viene sconfitta è quello che implica la morte e la successiva rinascita dell’eroe, ovvero la Prova centrale (nelle sue tante sfumature) e il Signore dei due mondi (o Resurrezione). Nell’Arco di trasformazione, l’Ombra viene debellata, insieme all’Io, nell’Esperienza di morte. Ma la reale guarigione avviene col Momento di trasformazione, prima del climax.
Non è errato pensare che lo scopo del Viaggio dell’eroe sia, alla fine della fiera, il dissolvimento dell’Ombra e l’applicazione di tale trasformazione nel contesto, secondo il punto di vista tematico.
Il Trickster

Il Trickster è l’archetipo del «buffone», il «pazzo» che ridimensiona l’Io e ride in faccia alla morte. L’eroe completo è irriverente, goliardico, guascone, e non a caso gli eroi Trickster abbondano nella mitologia.
L’aspetto psicologico del Trickster è il superamento della coscienza. Ciò si traduce nell’ironia, la comicità, la battuta pronta e, di conseguenza, lo spirito pronto a reagire e a rialzarsi. È un attributo dell’eroe nella misura in cui la duttilità è un attributo dell’energia creatrice della vita. Ove non vi è coscienza vi è istinto, primordialità, azione. Se l’eroe rinato è azione incarnata, dunque, il Trickster è una delle condizioni perché ciò avvenga.
Quando non è l’eroe Trickster, l’archetipo del buffone può legarsi a tanti altri ruoli: è frequente l’Alleato giullare, che funge da intermezzo comico e alleggerisce la carica drammatica della storia; così l’antagonista Trickster, che a volte non è una vera e propria Ombra (non è affetto da tanta serietà) ma uno scagnozzo al soldo del cattivo, o un nemico minore deviato sulla “cattiva strada” dalla sua amoralità.
Il Trickster, nelle sue personificazioni negative, è un truffatore, un imbroglione incallito e senza alcuna regola (o remora) morale o comportamentale. Nelle sue apparizioni peggiori, invece, è un vero e proprio folle. Si tratta di un personaggio ambiguo, astuto, ma non lunatico come lo Shapeshifter e raramente la sua attitudine porta a vere e proprie catastrofi.
Ciononostante, il Trickster è capace di mettere in moto cambiamenti imprevedibili nelle storie ed è il nemico naturale dello status quo. Per tali motivi, sebbene il Trickster possa intervenire in qualsiasi momento della storia, il suo aspetto psicologico ha maggiori effetti nei seguenti step dell’Arco e del Viaggio dell’eroe:
- Nella Chiamata all’avventura, per il sopracitato sovvertimento dello status quo.
- Nel Momento di illuminazione, poiché ogni realizzazione che porti alla rinascita prevede una sfida alla morte e l’accettazione della profonda, crudele follia del mondo.
- Nella fase del Signore dei due mondi, cioè nella trasformazione dell’eroe nel flusso flessibile, incosciente, divampante dell’energia vitale.
Trickster conosciuti sono Bugs Bunny, Luffy di One Piece, Ulisse dell’Odissea, il dio norreno Loki, la dea sumera Inanna, il dio greco Dioniso eccetera eccetera.
E voi che pensate degli archetipi di Vogler? Preferite i classici archetipi junghiani o li trovate complessivamente utili?
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16 risposte
Molto interessante questo articolo. Io tendo ad assorbire qualunque studio fatto da esperti che mi possa essere utile per scrivere ciò che scrivo, per cui credo che ogni forma di pensiero non solo sia valida, ma abbia un’utilità che si allaccia alle sue simili. Di recente sono entrata in contatto con un altro metodo di costruzione di personaggio, l’Ennegramma, basato su studi psicologici e ripreso da alcuni sceneggiatori, che non parla di archetipi ma si allaccia bene a questo discorso. Ritrovo in ogni metodologia qualcosa di simile. Credo che il difficile sia destreggiarsi in tutto questo e trovare un proprio modo di rielaborare le strutture narrative che esistono fin dalla notte dei tempi in un modo originale (senza provare a evitarle che tanto non funziona 😀 )
Ciao Sabrina! Ti ringrazio e sono d’accordo con te, ammesso che l’utilità degli studi presi in esame sia comprovata dalla pratica. E ammetto di non conoscere l’Enneagramma, ma credo proprio che approfondirò la questione!
È verissimo che ci siano similitudini tra le varie metodologie. Invece, non credo che si debba trovare un modo di rielaborare le strutture narrative. Sarebbe sufficiente applicarle, cioè strutturare come si deve la propria storia, per veicolarla con maggiore efficacia. Poi, è naturale che le strutture si alterino e pieghino per conformarsi all’autore e alle sue produzioni. L’originalità, secondo me, sta nel contenuto della struttura, e non nella struttura stessa, che serve solo a razionalizzare il contenuto e a renderlo “a misura d’uomo”.
Grazie dello spunto e del commento!
Ciao Sabrina. Non conosco l’Ennegramma. Mi puoi segnalare un testo di riferimento? Sono interessato a capire questa nuova tecnica. Grazie mille
Io trovo che entrambe le concettualizzazioni siano utili, perché quella junghiana è più relativa alla personalità dei personaggi, mentre quella di vogler è piu utile per definire le funzioni narrative di questi ultimi. Inoltre, soppesando uno per uno i vari archetipi che fanno parte del carattere del personaggio credo si possa raggiungere una comprensione “a tutto tondo” del suo modo di essere, oltre che attingere materiale per un fatal flaw coerente. Ho fatto il test e ho ottenuto i punteggi massimi nel saggio e nel folle XD. Essendo archetipi frutto dell’esperienza maturata attraverso tutto il lungo “viaggio” della vita ed essendo in qualche modo connessi alla “vecchiaia”, forse data la mia età dovrei preoccuparmi XD.
Ciao Matt e benvenuto! Sono pienamente d’accordo con le tue valutazioni. Nel test io ho ottenuto punteggi abbastanza equilibrati, con in testa il guerriero, il folle e altri che adesso non ricordo (forse l’amante o l’innocente… boh). Da quel che mi risulta ottenere il folle è piuttosto comune; mi preoccuperei di più per il saggio :P. Scherzi a parte, mi sembra un quadro positivo, per quel che può valere un test su Internet…
Prima di tutto complimenti per l’articolo: mi è sembrato di ritornare all’università e con questo non intendo certo dire di essermi annoiata, ma di aver potuto approfondire un argomento che mi interessa molto. Hai saputo presentare tutti gli archetipi in modo preciso e scorrevole. Come Sabrina penso che siano figure a cui non si può sfuggire se si vuole raccontare una storia: gli autori più bravi sono quelli capaci di rielaborarle e di rimescolare le carte per dare vita a qualcosa di nuovo. P.S. Se penso a Joker/Trickster in versione buona non può che venirmi in mente quel capolavoro cervellotico di Arkham Asylum ricco di archetipi e suggestioni. Grazie ancora per l’approfondimento: alla prossima.
Ciao Benny, grazie mille per i complimenti! Anche secondo me la bravura sta nelle sfumature e nelle ricombinazioni audaci. Tuttavia, è anche vero che figure estremamente potenti dal punto di vista psicologico possano fondarsi su schemi semplici e lineari. Tutto sta nel modo in cui vengono dipinte, a mio avviso.
Ammetto la mia ignoranza in fatto di Batman: non ho mai letto Arkham Asylum, se ti riferisci alla graphic novel. Dici che dovrei?
Grazie a te e alla prossima 🙂
Se ti interessano gli archetipi potrebbe essere un modo interessante per avvicinarsi al mondo di Batman. Tanto per citarne alcuni, si parla della triade femminile e del viaggio di iniziazione dell’eroe, collegandolo a figure dei tarocchi. Magari dai prima un’occhiata sul web, così per valutare se può rientrare nei tuoi interessi 😉
Grazie del consiglio! Credo proprio che me lo procurerò 😉
Molto bella come analisi! Quando scrivo non sto troppo a ragionare su cosa ci vuole o cosa no… Semmai mi torna molto più comodo riponderare il concetto a stesura finita, per cercare di potenziare eventuali lacune.
Dopotutto i ruoli, in sé per sé, sono naturali e vengono fuori anche senza ricercarli. Quando ho a che fare con qualche bozza non mia, invece, l’utilità di questi concetti è molto più lampante in quanto sono esterno alla vicenda.
Ciao haiku, benvenuto nel blog!
Sono in parte d’accordo, ma ci sono lacune che sono difficili da correggere a stesura finita. Conviene, piuttosto, scrivere con criterio, per non dover aggiustare tutto alla fine. Modificare il ruolo di un personaggio, per esempio, significa riscrivere praticamente ogni scena in cui appare…
Per questa ragione il mio primo libro l’ho scritto 3 volte (o erano 4?)! Il problema era la mancanza di metodica, e averla sin dagli inizi è dura a prescindere da qualunque sistema si adotti.
A sistema acquisito però le cose vengono fuori spontaneamente (si, revisioni e editing ci saranno comunque) ma niente di drastico. Poi questa applicazione degli archetipi alla scrittura non l’avevo mai immaginata, e mi fa piacere ritrovarla nei miei personaggi che si girano i ruoli XD
Anch’io ho dovuto penare sul mio primo romanzo, e sul secondo. Sono d’accordo con te: è difficile che s’impieghi un metodo alle prime esperienze, ma lo sforzo ripaga in seguito. Sia in termini di tempo che di qualità, almeno nel mio caso.
Anche io ci ho guadagnato un sacco in sanità mentale :3
Ciao, ho una domanda un po’ particolare: si può usare un feto come mentore?
Di primo acchito direi che è perfetto. I personaggi diventano adulti dopo questa gravidanza inaspettata, poi il bambino muore durante il parto, dopo un primo momento disperazione i protagonisti potranno riprendere con le loro nuove vite da persone mature.
Mi sembra ci sia però un non so che di psicotico nel messaggio, come se morto il primo figlio, amen, l’importante è altro… al limite si può tentare con il secondo.
Poi penso a Titanic e mi chiedo, che differenza c’è con il far morire un personaggio come di Caprio? Anche la sua vita è più importante della libertà di una giovane viziata, ma li non percepisco lo stesso cinismo.
Cosa ne pensi?
Scusa se insisto, ma ho delle perplessità che proprio non riesco a dissipare. Vorrei riproporre la domanda che ho già fatto, ma rielaborata.
Premesso che la funzione del mentore è quella di insegnare al protagonista a camminare sulle proprie gambe. Se la premessa è che la paternità fornisce uno scopo per crescere e diventare adulti, ha un senso che il bambino muoia durante il parto?
Nella realtà i bambini non hanno certo lo scopo di insegnarci a farcela da soli e non è nemmeno questo che vorrei dire io, ma forse è il mio approccio ad essere del tutto sbagliato e moralistico.