In questo articolo analizzo la struttura narrativa di un film a scopo di esempio. Per comprendere appieno quanto segue, consiglio caldamente la lettura completa della rubrica Scrivere una Storia!
Il Plot di Schegge di Paura
Schegge di Paura è un film molto interessante ed efficace dal punto di vista strutturale. Attenzione: abbiamo a che fare con un Arco di trasformazione e con un’architettura apparentemente inusuali. Ma andiamo con ordine.
Schegge di Paura è un thriller del 1996 diretto da Gregory Hoblit (regista di ottimi film come Il caso Thomas Crawford o Frequency – il futuro è in ascolto) e basato su Primal Fear, romanzo giallo di William Diehl. Tra gli interpreti ci sono Richard Gere, Laura Linney ed Edward Norton, che fu candidato agli Oscar del ’97 e che vinse un Golden Globe nello stesso anno come miglior attore non protagonista.
Qui la trama (con spoiler) secondo Wikipedia:
Il brillante avvocato penalista Martin Vail decide di difendere il diciannovenne chierichetto balbuziente Aaron Stampler, sul quale pende la tremenda accusa di avere ucciso con settantotto coltellate l’arcivescovo di Chicago Richard Rushman.
Martin è l’unica persona a credere nell’innocenza del ragazzo, nonostante nella scena del crimine ogni prova raccolta mostri Aaron come unico indiziato e partecipe al delitto. Aaron soffre di brevi perdite di memoria dall’età di dodici anni e quindi non riesce a fornire al suo avvocato un riepilogo dell’accaduto, ma racconta solo di aver visto una “terza persona” prima dell’omicidio.Comincia il processo più atteso del momento e l’accusa di Aaron è capitanata da uno stretto amico dell’arcivescovo Rushman, il procuratore distrettuale John Shaughnessy; il pubblico ministero affidato al caso è una vecchia fiamma di Martin, Janet Venable. Durante il corso delle indagini emergono nuove sconcertanti prove che possono fornire il movente dell’omicidio: l’arcivescovo Rushman costringeva infatti Aaron a copulare con la sua ragazza, Linda Forbes, in compagnia di Alex, un loro amico.
Durante un secondo interrogatorio, Aaron confessa che Rushman li obbligava a fare sesso con la scusa che ciò avrebbe purgato le loro anime. Se loro si rifiutavano, l’arcivescovo minacciava di mandarli a chiedere l’elemosina per strada.
Martin sottopone Aaron ad alcune sedute di analisi psichiatrica sotto la direzione della dottoressa Molly Arrington e dalle sedute si scopre che il ragazzo soffre di disfunzione di personalità multipla e che durante i momenti di amnesia si svela una identità aggressiva che si fa chiamare Roy.
La dottoressa interroga il ragazzo durante uno dei momenti di vuoto e qui salta fuori la confessione dell’omicidio. Il movente sta nel fatto che la doppia personalità di Aaron non sopportava le “porcate” ordinate dall’arcivescovo.
Arriva il giorno del processo decisivo. Martin cerca di salvare Aaron dalla pena capitale mostrando al giudice gli appunti delle registrazioni delle sedute e invocando quindi l’infermità mentale. Aaron, sommerso di domande dalla pubblica accusa, svela la sua doppia personalità prendendo per il collo il pubblico ministero Janet. La giuria, esterrefatta dall’accaduto, concede a Martin un patteggiamento a patto che Aaron venga rinchiuso per il lasso di tempo pari ad un mese in un ospedale psichiatrico.
Alla fine, durante un colloquio con Martin avvenuto nella cella dov’é carcerato, Aaron tradisce la sua copertura e viene smascherato: si scopre infatti che allo scopo di ottenere l’infermità mentale e quindi evitare il processo a suo carico, il ragazzo ha inventato e sfruttato la personalità del ragazzo balbuziente ed impacciato per nascondere la sua “vera natura”, rappresentata da Roy; dopodiché Martin, sconsolato e afflitto, si allontana dal Tribunale.
Martin Vail, l’Antieroe tragico
L’avvocato Martin Vail è il protagonista di Schegge di Paura ed è interpretato da Richard Gere. È un uomo abituato a vincere, anche con metodi poco ortodossi. Il dialogo in apertura è emblematico della sua personalità cinica, ambiziosa e narcisistica.
Martin Vail: Il primo giorno alla facoltà di legge il professore disse due cose. Uno: d’ora in poi, quando vostra madre vi dice di amarvi, fatevelo mettere per iscritto.
Jack: E due?
Martin Vail: Due: se volete giustizia andate in un bordello, se volete farvi fottere andate in tribunale. Naomi!
Jack: Be’, diciamo però che lei è sicuro che il suo cliente sia colpevole…
Martin Vail: No, non iniziare nemmeno, guarda. Al nostro sistema giudiziario non gliene frega niente, figurati a me. Ogni imputato, a prescindere da chi è e da cosa ha fatto, ha diritto alla miglior difesa che il suo avvocato possa fornirgli. Punto.
Jack: Allora, come si mette con la verità?
Martin Vail: Verità? In che senso? Naomi!
Naomi: Arrivo!
Jack: Non so quanti modi ci siano per descriverla.
Martin Vail: Secondo te ce n’è uno solo? Aiutami.
Naomi: Sei in ritardo.
Martin Vail: Sisisi.
Naomi: Ecco qua.
Martin Vail: E qual è quello giusto? Ce n’è soltanto uno giusto.
Naomi: Dai Martin, stai fermo.
Martin Vail: La mia versione della verità, quella che io creo nella mente delle dodici persone che formano la giuria. E se tu vuoi darle un altro nome, e cioè l’illusione della verità, be’, sono affari tuoi.
Come Martin stesso ammette all’inizio del film, a lui non interessa che Aaron (Edward Norton, ovviamente) abbia ucciso o meno l’Arcivescovo Rushmore; cercherà comunque di difenderlo e di avere la meglio, perché “questo è il suo lavoro”.
Aaron: N-non sono stato io, lei deve credermi…
Martin Vail: No, io non devo crederti, non mi interessa. Io sono il tuo avvocato; vale a dire che sono tua madre, tuo padre, il tuo migliore amico, il tuo confessore. Insomma, non devi parlare con nessuno tranne me d’ora in poi. Né con la polizia, né con la stampa, né con gli altri detenuti… con nessuno, senza il mio permesso.
Martin Vail è una primadonna, come viene ribadito da altri personaggi. Ama le luci della ribalta ed è drogato di successo. È per questo motivo che decide di assistere Aaron pro bono: per lui si tratta di un semplice palcoscenico. Non si rende conto di star giocando con la vita delle persone.
Ma il nostro penalista è abituato ad assistere personaggi ambigui o poco raccomandabili: lo troviamo, nelle prime sequenze di Schegge di Paura, a difendere un mafioso sudamericano, con cui fa comunella. A tal proposito, la sua visione viene esplicitata nel seguente dialogo.
Io ho fede nel concetto che una persona è innocente se non si prova il contrario. Credo in questo concetto perché ho scelto di credere alla bontà innata dell’uomo. Ho scelto di credere che non tutti i crimini sono commessi da persone cattive. E cerco di capire perché a volte ottime persone fanno delle azioni orribili. Sai, quando lavoravo per Shaughnessy ho fatto una cosa molto brutta, forse anche illegale. Facevo il procuratore allora e la cosa che ho fatto ha sconvolto tutte le mie convinzioni, e allora mi sono messo a fare l’avvocato difensore. E visto che sono tutti convinti che siamo comunque dei bugiardi, ho fatto a me stesso un piccolo giuramento, che… che non avrei mai usato la menzogna per la mia vita pubblica. Tu prova a scriverlo e ti rovino sul serio…
(Martin Vail)
Precisiamo che il buon Vail è ubriaco mentre recita queste battute. Se in vino veritas, dobbiamo suppore che non stia mentendo. Dunque, Martin lotta per ciò in cui crede (l’innocenza innata della gente) o si prende carico di certi casi per fama e ambizione?
Direi entrambi. Torneremo più tardi su questo punto.

Martin è un egotista e ciò è ben evidenziato dai suoi comportamenti relazionali. Tratta i suoi dipendenti come semplici strumenti, nonostante gli siano fedeli da anni; non considera minimamente i loro sentimenti e la loro incolumità. Ma Martin è abituato a gingillarsi con le persone: la sua vecchia fiamma, Janet Venable (Laura Linney), è vittima di una sudditanza psicologica nei suoi confronti.
Come pubblico ministero affidato al caso, Janet viene circuita ripetutamente da Vail, che non si fa scrupoli a manipolare le sue emozioni alla bisogna. Tale amoralità, però, è assolutamente trasversale negli atteggiamenti del protagonista. Egli ha commesso, in passato, cose spregevoli; cose di cui si vergogna.
Perché giocare alla roulette quando puoi giocare con la vita della gente?
(Martin Vail)
«Vergogna?», direte voi. «Può uno squalo privo di inibizioni provare vergogna?». Si tratta, invero, di un tratto significativo della sua persona. Il protagonista di Schegge di Paura può, dopotutto, provare rimorso e perfino compassione. Vedremo tra poco in che senso.
Richard Gere interpreta il ruolo alla perfezione (forse inconsciamente). Oltre ad avere il phisique du role, la sua mimica si avvicina a quella dell’eroe delle commedie romantiche: pose da fico, occhiolini, sorrisi… tutti catturati da primi piani degni di una soap. Le inquadrature immortalano in modo egregio il carattere del personaggio e di ciò va fatto merito alla regia.
Quello che manca, forse, è un pizzico di cattiveria in più da parte di Gere nelle sequenze in cui fa emergere la doppiezza che lo contraddistingue. Perché di questo si tratta, di un uomo a due facce: una pubblica, linda, e l’altra nascosta, sprezzante, sporca di sangue, priva di remore.
La Premessa di Schegge di Paura
Abbiamo tutto quello che ci serve. Un protagonista con un fatal flaw (difetto fatale) ben definito, uno status quo in cui sguazza e dal quale elevarlo (i casi che è abituato a vincere) e un elemento di dubbio o rottura interiore (il processo ad Aaron). Infatti, Aaron riesce a convincere Vail della sua innocenza e l’avvocato sarà l’unico a credergli e a difenderlo.

Cosa vogliamo che succeda a Martin Vail? In che modo vogliamo che si evolva? Da questa decisione dipende la direzione che prenderà Schegge di Paura, nonché la Premessa (o Premise) della storia stessa. In aggiunta, perché la trasformazione s’inneschi, dobbiamo far sì che il sistema di sopravvivenza di Martin diventi inefficace, altrimenti non ci sarebbe ragione per cambiare.
Dunque Vail non potrà affrontare il caso di Aaron coi soliti metodi. Per cavarsela, stavolta, dovrà cambiare. Inoltre, necessitiamo di una Posta in gioco per rafforzare la necessità di trasformazione e per tenere il pubblico sulle spine: il fallimento del suddetto obiettivo deve avere delle ripercussioni progressivamente più gravi sul protagonista. Una batosta alla carriera, per cominciare; una crepa nella ragione assoluta dell’infallibile penalista; fino alla condanna a morte di un ragazzo innocente e a cui Vail stesso si è affezionato.
Non abbiamo ancora deciso, però, quale senso imprimere alla vicenda. Deve trattarsi di un messaggio in cui crediamo fermamente e che ci preme dimostrare al pubblico. La tagline del film è chiara in proposito: «Presto o tardi un uomo che indossa due facce dimentica qual è quella vera».
Ciò si riflette in una moltitudine di personaggi: nel procuratore Shaughnessy, il burattinaio che, per “mantenere la pace” nella città, ordisce macchinazioni e commissiona assassinii; nell’Arcivescovo Rushmore, l’uomo di Chiesa che elargisce donazioni e, in privato, raccoglie ragazzini disperati dalla strada per poi giocare coi loro corpi; in Aaron Stampler, che mostra una faccia d’angelo quando è, in realtà, uno spietato assassino.
Nessuno può, per un lungo periodo di tempo, avere una faccia per sé stesso e un’altra per le moltitudini, senza alla fine confondersi su quale possa essere la verità.
(Bud Yancy)
È proprio la doppiezza morale, quindi, il soggetto di Schegge di Paura. Doppiezza che condurrà il protagonista non alla morte fisica, ma a quella dell’anima. La coscienza sporca crea vuoti e solitudine nel cuore dell’uomo. Così Martin finirà per commettere delle terribili ingiustizie e per danneggiare ulteriormente quelli che lo circondano.
C’è un elemento del Nostro, infatti, che ho volutamente omesso in precedenza. Dietro il penalista di successo di Schegge di Paura c’è un uomo profondamente solo, come ben sottolineano le sue sbornie e i continui tentativi di approcciare Janet Venable.
Come mai il tuo stile è così perfetto in aula e così pidocchioso nella vita?
(Janet Venable)

Ed ecco che abbiamo una Premessa, per giunta negativa. Il nostro Arco di trasformazione non deve arrivare a compimento ed è necessario che il protagonista fallisca perché il senso sia affermato con pienezza. «La doppiezza morale conduce alla morte interiore».
Di seguito la scheda dell’Arco di Schegge di Paura.
Soggetto: la doppiezza morale | Premessa/Punto di vista tematico: la doppiezza morale conduce alla morte interiore |
Plot (obiettivo esterno del tema): convalidare la propria esistenza facendo del bene | Subplot (obiettivo interiore del tema): riconciliare le due facce e diventare integro |
Ostacolo: l’Ego | Fatal Flaw: la doppiezza morale |
Contesto: competitivo spietato materialistico solitario ambiguo ingiusto | Tratti del Personaggio: ipocrita primadonna cinico idealista narcisista manipolatore ambizioso brillante |
La spiegazione, in soldoni, è la seguente: il protagonista di Schegge di Paura ha sviluppato, col contributo del contesto in cui opera o “vive”, un Ego smisurato, il quale ha operato una scissione profonda della sua persona. Tutto ciò che fa, infatti, è per il suo tornaconto, poiché tutto torna a quell’Ego che lo domina e isola.
Poiché Martin tiene solo a sé, egli è narcisista e primadonna. Poiché non riesce a considerare gli altri e a “collegarsi” a loro, egli è manipolatore, cinico e ipocrita. Il suo obiettivo interiore (per operare un cambiamento) è, dunque, una riconciliazione delle due facce: quella angelicata e quella diabolica, il “me” e il “sé”.
Solo in questo modo Martin potrà sentirsi sullo stesso piano degli altri, alla pari degli altri, collegato agli altri e non più isolato in un mondo in cui egli è un Dio circondato da strumenti e pupazzi al suo servizio. Realizzata tale riconciliazione, infine, Martin potrà convalidare la sua tormentata esistenza compiendo ciò in cui afferma di credere: facendo del bene. Salvando vite innocenti.
Ma il nostro eroe è un antieroe e la nostra storia è una tragedia. Vediamo in che modo, dunque, Martin Vail intraprenderà la sua trasformazione per poi deviare sulla cattiva strada, come dettato dal punto di vista tematico.
Schegge di Paura – Atto Primo
Inizialmente Martin Vail nutre molti dubbi su Aaron. Del resto, a causa del suo carattere e del modo in cui affronta il suo lavoro, il nostro penalista è abituato a considerare poco le persone. Inoltre, come tutti, egli riflette sé stesso negli altri: crede che siano anch’essi ipocriti, bugiardi, cinici e consapevoli di essere sfruttati da chi è più furbo di loro. È lo status quo di cui parlavamo poc’anzi.
Tuttavia, alcuni elementi concorrono a cambiare la situazione. Primo, Aaron si dimostra inusualmente genuino e l’innocentismo di Martin coglie la palla al balzo. Secondo, il caso si dimostra estremamente difficile da risolvere e il grande penalista non può permettersi un fallimento.
Cosa fare? Se Aaron fosse colpevole, la “bontà innata degli uomini” subirebbe un duro colpo e ciò non è ammissibile per Martin. Significherebbe avere torto. E un grande, nonché umano penalista non può avere torto.
Se Aaron fosse colpevole, non ci sarebbero speranze per vincere il processo. Se Aaron fosse colpevole, andrebbe sulla sedia elettrica. Se Aaron fosse colpevole, Shaughnessy trionferebbe e le schifezze dell’Arcivescovo Rushmore non salirebbero a galla.
Il nostro dilemma è tratto. Aaron è il mezzo attraverso cui Martin può riscattarsi e ridiventare un uomo integro, giusto, “buono”. Il tormentato Martin vuole credere ad Aaron perché una parte di lui cerca quella spontaneità, quella purezza che lui non possiede e intende affidarvisi per ritrovarla.

L’incidente scatenante, ovvero ciò che innesca l’Arco di trasformazione, è il momento in cui Martin realizza che sì, Aaron potrebbe essere innocente e che merita la sua reale considerazione. Il richiamo all’azione, invece, consiste nel momento in cui Martin inizia fermamente a credere all’innocenza di Aaron e si adopera per provarla.
Ciò è più facile a dirsi che a farsi, poiché Aaron è in realtà colpevole. Se quello di Martin Vail fosse un Arco positivo, egli dovrebbe arrendersi di fronte all’evidenza invece di forzare le cose. Dovrebbe ammettere di essersi sbagliato e di non poter vincere.
Quel semplice passo indietro implicherebbe una trasformazione nel protagonista. Una riconciliazione della sfera pubblica e di quella privata, ovvero dell’uomo che cerca giustizia e dello squalo. Una conclusione ai doppi fini e all’Ego smisurato.
Ma ciò, come vedremo, non avverrà.
Tornando alla timeline di Schegge di Paura, il Nostro lotta per provare l’improvabile e inizia a ricorrere ai metodi poco ortodossi che lo contraddistinguono. Ancora, il difetto fatale di Martin si riflette nelle sue azioni. Nonostante egli combatta per ciò che considera il “bene”, cioè l’innocenza di Aaron, il penalista non si fa scrupoli a commettere il “male”.
In ogni caso, le cose non vanno come dovrebbero andare. Durante il processo Martin viene a sapere, dall’accusa, di un libro sottolineato con tutta probabilità dall’assassino dell’Arcivescovo. È la prima prova tangibile che viene presentata, il primo step verso la risoluzione del caso e, soprattutto, il primo elemento sfuggito all’attenzione della difesa.
Il primo crack nella fiducia (o nell’autoconvincimento) di Vail nei confronti di Aaron.
È qui che avviene la prima svolta dell’Arco: il Risveglio, o primo turning point, che traghetta il film al secondo atto e il protagonista dal Mondo ordinario al Mondo straordinario. Subito dopo l’udienza, infatti, Martin è soggetto a un’esplosione di rabbia e inveisce contro i suoi impiegati, colpevoli a suo avviso di non aver svolto a dovere le indagini.
Il protagonista è vittima, in questa sequenza, del classico rigetto dell’eroe dovuto al fatal flaw: egli si rifiuta di ammettere il possibile sbaglio, sia per quanto riguarda il modus operandi che per ciò che concerne l’innocenza di Aaron.
Martin Vail non può perdere. Martin Vail non può avere torto. Martin Vail è un Santo e deve salvare la vita di un povero ragazzo innocente.
Il Nostro si ritrova quindi in un territorio a lui sconosciuto: un processo che non sa come vincere, un caso dal terreno cedevole e dagli attori a dir poco ambigui, la consapevolezza di non avere più certezze. È il Mondo straordinario di cui parlavamo poc’anzi.
Di momenti determinanti, in Schegge di Paura, ce ne sono parecchi. Uno particolarmente significativo consiste nella battuta che il giudice rivolge a Martin a udienza interrotta.
Le suggerisco di continuare a difendere il suo cliente, invece di continuare a difendere sé stesso.
(Giudice Miriam Shoat)
Ma passiamo al secondo atto.

Schegge di Paura, Atto Secondo
Come sappiamo, si inizia con la Spinta verso il punto di rottura: il Nostro si getta all’inseguimento di un potenziale testimone o, addirittura, di un possibile capro espiatorio. Facendosi aiutare dal suo scagnozzo armato di pistola, Martin si comporta come un vero e proprio mafioso e, senza alcun titolo, mette all’angolo il ragazzo minacciandolo con la violenza.
Il gesto di cui sopra puzza di disperazione. Il penalista è disposto ad appigliarsi a qualsiasi cosa, nonché a ricorrere a qualsiasi mezzo per dimostrare l’innocenza del suo protetto. La “corda interiore” si tende, si tende, si tende…
Il ragazzo vuota il sacco e Martin viene a sapere del movente di Aaron: i giochi erotici che l’Arcivescovo Rushmore ordiva per i suoi chierichetti. Quindi, contravvenendo ancora alla legge, il penalista ruba la videocassetta contenente i suddetti filmati dalla scena del crimine. Si appropria dell’unica prova realmente incriminante.
Il Nostro visiona la videocassetta e cadono gli altarini. A questo punto, è chiaro che Aaron gli abbia mentito. È chiaro che, in fin dei conti, potrebbe essere colpevole. La corda, finalmente, si spezza e Martin, col cuore in subbuglio, fronteggia Aaron.
In una sequenza particolarmente concitata ed emozionante avviene l’impensabile: interviene Roy, la personalità violenta e omicida che il ragazzo coverebbe al suo interno. Il reale colpevole dell’omicidio dell’Arcivescovo Rushmore.
Se il filmato ha portato all’apice il processo di resistenza interiore di Martin Vail fino a spezzarlo, l’incontro con Roy ha messo definitivamente fine al conflitto. In altri termini, il dubbio esistenziale del protagonista è esploso per poi risolversi: è il midpoint, che divide in due la storia e che sposta l’Arco alla fase di risoluzione.
L’incontro con Roy funge, dunque, da momento di illuminazione per il Nostro. Egli dovrebbe realizzare il suo fatal flaw, cessare di ingannare sé stesso e adoperarsi per realizzare nei fatti il cambiamento che gli occorre. Ma è già troppo tardi, poiché si tratta di una falsa illuminazione.
Aaron, infatti, ha colto la debolezza di Martin e l’ha sfruttata per circuirlo. Quando il penalista si è presentato per avere delucidazioni in merito alla videocassetta, Aaron sapeva che gli avrebbe creduto. Che non si era rassegnato, che cercava ancora un pretesto, un barlume… qualcosa a cui aggrapparsi.
È stato questo l’errore di Martin. Incaponirsi anche di fronte all’evidenza, rifiutarsi di fare quel fondamentale passo indietro perfino sul ciglio del baratro. Aaron Stampler ne ha approfittato e ha finto di trasformarsi in Roy, dando a Martin ciò che cercava. Riattizzando il suo difetto fatale, il suo peccato originale e congenito. Ciò che lo porterà alla rovina.
L’illuminazione che riscuote Martin Vail è, pertanto, una menzogna, come la stessa esistenza di Roy. Il protagonista non si è mai messo in discussione, non ha mai tentato una riconciliazione tra la faccia angelica e quella diabolica e questo è il risultato.
Ora più che mai egli crede di avere per le mani una vittima, un ragazzo malato e incosciente del male che ha fatto, qualcuno da curare oltre che proteggere. Per Martin, Aaron è colpevole e innocente allo stesso tempo.
Ho fatto uno sbaglio, ma non avevo torto.
(Martin Vail)

Il Monomito di Campbell e Vogler ci viene in aiuto per cristallizare ulteriormente le sequenze descritte poc’anzi, che risultano fondamentali per l’intera struttura narrativa di Schegge di Paura.
Potremmo assimilare la visione della videocassetta al figurativo Ventre della balena di Campbell, che inghiotte definitivamente il protagonista e lo fa sprofondare nel regno delle ombre. L’incontro con Roy, invece, costituirebbe la caverna più profonda della Prova centrale, dopo la quale vi è di nuovo la luce: il protagonista sventra la bestia e torna in superficie.
A mani vuote, però. Martin non ha incontrato la Dea, non si è riconciliato col Padre, non si è svuotato con l’Apoteosi e non ha ottenuto l’Ultimo dono. In altre parole, il suo viaggio… non è servito a nulla. Del resto, il penalista non ha cambiato percezione di sé e degli altri; non ha vissuto epifanie, non ha sradicato i suoi demoni infantili.
Come dimostrano le sue azioni successive, il Nostro continua a voler «difendere sé stesso» giocando sporco (con un trucco fa avere la videocassetta alla Venable), manipolando gli altri (la Venable stessa, che raggira), lottando per una sua narcisistica e autoreferenziale idea di giustizia (quando prova a smascherare e incriminare il capo procuratore Shaughnessy durante il processo, per altro invano).
Non c’è stata alcuna riconciliazione tra Mondo ordinario e Mondo straordinario, tra eroe e ignoto, tra il protagonista e il suo Io.
In ogni caso, dopo l’illuminazione e il conseguente rilassamento interiore, le cose si complicano invece di semplificarsi. Non potrebbe essere altrimenti, del resto, poiché Aaron (o meglio, Roy) ha ucciso l’Arcivescovo.
È impossibile introdurre l’infermità mentale a metà processo e la posizione di entrambi, imputato e avvocato difensore, viene ripetutamente compromessa. Come se non bastasse, il mafioso sudamericano che Martin assisteva viene rinvenuto, morto, in un fiume.
È la caduta, e Martin Vail continua a precipitare in un abisso di ostacoli fino al secondo turning point, o l’Esperienza di morte. È il momento in cui il protagonista si trova faccia a faccia con le sue paure più profonde; il momento in cui egli muore per poi rinascere nel terzo atto.
Martin Vail, con un ultimo colpo di coda, provoca Aaron proprio nel bel mezzo del processo per far emegere Roy. Il suo piano consiste nel far esplodere la personalità violenta del ragazzo durante il duro interrogatorio della Venable; il penalista, infatti, sa che la donna ci andrà pesante ed è pronto a sfruttare l’occasione.
E così accade. Roy interviene e prende la Venable come ostaggio, minacciando di romperle il collo. A questo punto, gli agenti riescono a immobilizzarlo e il processo viene annullato, poiché la posizione dell’accusa è ora compromessa. Ne verrà aperto un altro per infermità mentale, in cui si prospetta un breve periodo di cure e poi il rilascio per Aaron.
La causa è vinta. Ma a quale prezzo?
Quello di Martin è stato un tentativo disperato: o la va o la spacca. Inoltre, egli ha messo a rischio le uniche persone importanti per lui, cioè il ragazzo stesso e la donna per cui prova ancora sentimenti forti. La sequenza è concitata, d’impatto, e Martin viene colto effettivamente da un moto di paura per ciò che potrebbe succedere. Ma che, per fortuna, non succede.

Schegge di Paura, Atto Terzo
Passata l’Esperienza di morte, normalmente dovrebbe seguire la Discesa, cioè il black moment della storia. In un Arco completo, infatti, il trauma appena passato trascina giù il protagonista ed è proprio grazie alla consapevolezza raggiunta nel secondo atto che il personaggio, nel momento di trasformazione, mette in pratica quel cambiamento. Il protagonista brandisce, insomma, il suo nuovo sé per rinascere.
Eppure, sembra che tutto vada per il meglio in Schegge di Paura, giacché il caso è risolto. Sembra, badate. In reatà, la Discesa di Martin Vail è la più nera e profonda. Ma soprattutto, il Nostro non avrà i mezzi per tornare in vita.
Guardiamo ai fatti: Janet Venable è una donna distrutta. Ha perso il lavoro, ha perso la casa… e la vediamo tremare come una foglia a causa del trauma. Inoltre, ella torna a essere succube di Martin, che la riprende, gioioso, sotto la sua ala. Tutto è come prima; anzi, peggio di prima. Con le sue azioni, Martin ha annientato la donna che ama e può tornare a giocarci come fosse un pupazzo.
Aaron Stampler, un ragazzo innocente e malato, ha finalmente ottenuto giustizia. Nella scena più potente di Schegge di Paura, tanto da fungere da climax del film, Martin si reca dal suo protetto, che si profonde in ringraziamenti. Sono entrambi felici e si vogliono bene, tanto che il penalista promette di venire a trovarlo appena potrà e di chiamarlo se avesse problemi.
Martin, tra l’altro, ritorna esattamente com’era all’inizio del film: è tutto sorrisi sornioni e occhiolini, ancora immortalati in vari primi piani. Per lui è andata come doveva andare: una vita salvata, un’altra causa vinta, il suo dominio affermato e non c’è un’oncia di pentimento o ripensamento in lui. Finché…
Esatto. Ed ecco che la Discesa, il black moment, assume il suo pieno significato. Martin non è cambiato, si è rifiutato di cambiare, ed è stato punito per questo. Non a caso avevamo posto all’inizio che, per affrontare il processo Stampler, il Nostro dovesse intraprendere una trasformazione. Il sistema di sopravvivenza di Martin era ormai vetusto per la vicenda in esame, eppure lui ha perserverato. Il suo fatal flaw ha prevalso.
Gli ultimi secondi di Schegge di Paura sono da manuale. Vediamo Martin camminare, solo, per le aule vuote di tribunale, una smorfia interdetta stampata sul volto. Folle in protesta bloccano l’entrata, perciò il penalista è obbligato a prendere l’uscita posteriore. Proprio come un ladro, un infame che fugge di soppiatto e a testa bassa dopo un crimine.
Ancora, Martin esce, marcia come un corpo privo di cuore e si ferma, in un’inquadratura statica degna dei film di Takeshi Kitano, sul ciglio della strada. Lo sguardo perso nel vuoto, come a indicare una morte dell’anima. Dentro di sé, è un uomo finito.
Con questa sequenza gli autori sono riusciti a inserire perfino la Risoluzione del film, ovvero la “prospettiva” di ciò che succederà a storia terminata. Il riflesso dell’Arco di Martin sulla vita di tutti i giorni, il Ritorno con l’elisir o il Liberi di vivere del Monomito. E capiamo cosa sarà di Martin Vail.
Il nulla assoluto.
Conclusione: un Arco mancato
La storia termina qui, apparentemente all’inizio del terzo atto, nonostante all’interno della Discesa appaiano dei surrogati del climax e della Risoluzione. Non è inconsueto: se ben ricordate, nell’articolo sulla struttura delle storie ho indicato come le tragedie e gli antieroi contengano, spesso, i cosiddetti “Archi mancati”.
Ed è un Arco mancato quello che abbiamo sviscerato oggi poiché, per l’appunto, non giunge a completezza. Non potrebbe mai, del resto, dal momento che il protagonista rifiuta la trasformazione.
Qui la scheda completa dell’Arco di trasformazione di Martin Vail:
Atto I (Inconsapevolezza) | Atto II (Esaurimento e falsa consapevolezza) | Atto III (Rinnovamento mancato) |
Incidente scatenante: il dubbio instillato da Aaron | Spinta verso il punto di rottura: l’inseguimento dell’altro chierichetto | Discesa: il post-processo fino alla Risoluzione |
Richiamo all’azione: la convinzione e la lotta per l’innocenza di Aaron | Momento di illuminazione: l’incontro con Roy | Momento di trasformazione: non est |
Momento determinante: svariati, tra cui la partaccia del giudice | Grazia: la fine del tormento – ora Vail sa cosa fare, sebbene non sia cosa facile | Climax: la scoperta della verità – Roy (o meglio, Aaron) non è mai esistito |
Risveglio (primo turning point): la scoperta del libro sottolineato – primo crack e rigetto di Vail | Caduta: le difficoltà del processo e la morte di Pinerolo, il mafioso che Vail assisteva | Risoluzione: la passeggiata finale di Martin |
Esperienza di morte (secondo turning point): la trasformazione pubblica di Aaron in Roy e l’aggressione alla Venable |
Per quanto riguarda Schegge di Paura, ne consiglio la visione nonostante gli spoiler. È un bel film sotto ogni punto di vista e sapere come va a finire non ne pregiudica la godibilità; anzi, permette di cogliere elementi ulteriori. Certo, non si tratta di una storia perfetta: la sottotrama degli investimenti sui terreni della Chiesa è a dir poco inutile e ha allungato ulteriormente il già lungo brodo.
E voi cosa ne pensate? Avete visto o vedrete Schegge di Paura? Alla prossima con un altro case study, stavolta di un “Arco completo” e molto conosciuto…
Se avete apprezzato l’articolo, non dimenticate di leggere le altre Analisi dei Film!
4 risposte
Il film non l’ho mai visto e non lo conoscevo ma se riesco a recuperarlo lo vedrò. Interessante questa analisi approfondita, molto utile per chi ama scrivere storie. Purtroppo quando si scrive non è sempre facile applicare la giusta tecnica pur conoscendola. Me ne accorgo con le mie storie, che non sempre escono come dovrebbero ^_^
Eh me ne rendo conto, soprattutto quando si parla di storie brevi. Un romanzo è già più facile da strutturare. Comunque, l’importante è che la storia abbia un senso, una direzione… se c’è una premessa o un’intenzione precisa, il resto (almeno in parte) vien da sé!
Interessante analisi! Eh no, mai visto il film.
Grazie, Maria! Te lo consiglio 😉