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L’Ambientazione. E perché Italiana è Meglio

Dove ambientare un romanzo? All'estero o in Italia? E come si costruisce un'ambientazione efficace, accurata... viva? Vediamolo insieme!

Indice

Dove Ambientare un Romanzo?

L’ambientazione è fondamentale in una storia. Tuttavia, è anche un elemento sottovalutato e frainteso. Non basta scegliere il posto che si preferisce perché esso funzioni con la storia che intendiamo narrare; non basta utilizzare ciò che conosciamo o il luogo in cui viviamo per liquidare la questione.

Stilare una lista della città che amiamo non aiuterà. Avete soggiornato a Londra e vi siete innamorati? Mi fa piacere, ma non è un motivo sufficiente per ambientarci un romanzo (o un racconto, se è per questo). Lo scrittore o pseudo-tale che scrive in viaggio è scontato come la morte e le tasse; del resto, un ambiente nuovo, esotico e bellissimo non può che stimolare la creatività.

Non c’è nulla di male in tutto ciò, intendiamoci. Spesso si parte proprio da un’ambientazione nel processo di sviluppo di una storia. In tal caso, è più che giusto sfruttare il luogo che ci ispira di più, purché la trama possa prendere vita in quel posto e in quello soltanto.

Ecco il punto. Che la scelta dell’ambientazione sia stata effettuata a priori o che sia in fieri è ininfluente. Ciò che importa è che sia appropriata alla trama, o che la trama sia appropriata all’ambientazione. In altri termini, l’ambientazione deve essere quella corretta e tale deve essere l’unico parametro di valutazione della stessa.

Se leggete il blog già saprete che una storia, per funzionare a dovere, abbisogna di una struttura solida. Non si dovrebbe improvvisare, né prendere sottogamba la razionalizzazione del processo creativo. Un romanzo è, in fin dei conti, un prodotto e come tale andrà consumato da persone estranee alla nostra interiorità.

Pertanto, ciascun elemento di una storia dovrà rispondere a logiche universali, intellegibili e concatenate. È il caso della trama e, se vi siete cimentati nella scrittura narrativa, saprete quanto sia difficile realizzarne una decente. La trama è regina; l’ambientazione, i personaggi, le azioni, i dialoghi e perfino le descrizioni devono servire ai suoi scopi.

L’ambientazione corretta, dunque, esiste in funzione della trama e viceversa. Mettiamola così: la data storia deve potersi svolgere soltanto nel dato luogo e da nessun’altra parte. Riuscite a immaginare l’Odissea in Cina? 1984 nella Terra di Mezzo? Harry Potter nei quartieri spagnoli di Napoli? Il Trono di Spade in Congo? L’Amica geniale nella Carnia friulana? I Malavoglia a Tokyo?

«Ma non vale», direte voi. «Le vicende di alcuni di questi romanzi si svolgono in posti inventati per l’occorrenza; altre sono un tutt’uno con l’ambientazione, o l’ambientazione è parte della storia stessa».

Esatto. Che l’ambientazione sia inventata di sana pianta, che sia storica o attuale, che sia essa stessa il What-if o l’High-concept, parte delle Premessa, di quello che volete… non ha importanza. L’importante è che sia totalmente integrata nel plot. Vi dirò di più: una trama che non fa uso della sua ambientazione è una trama che non regge.

Riuscite a immaginare God of War 4 in un posto che non sia Midgard? Sonatine di Kitano che non sia sull’isola? Il Mastino dei Baskerville che non sia nella brughiera? Titanic che non sia sul Titanic?

L’Accuratezza è Regina

Non basta individuare un’ambientazione per partire all’arrembaggio. Se iniziaste a scrivere immediatamente potreste incorrere in un errore gravissimo: l’ambientazione di cartapesta. Con tale termine ci si riferisce a quei contesti narrativi raffazonati, poco credibili e privi di dettagli.

Pensateci: volete ambientare il vostro romanzo a Napoli e vi buttate senza documentarvi. La storia si apre col protagonista che passeggia nel quartiere Vomero, da voi ribattezzato come “Centro”, sotto una tempesta di neve. Tra dialoghi in un napoletano posticcio (la grafia del dialetto segue delle regole precise) e percorsi senza nome (non conoscete le strade), il personaggio si ritrova, non si sa come, alla Stazione Centrale di Piazza Garibaldi.

Lì, il Nostro prende un taxi abusivo guidato da un tredicenne che prima ha corrotto un poliziotto (vi ricorda qualcosa?). Oppure, l’eroe cena in un ristorante e, al chiaro di luna, visita le bellezze del quartiere San Lorenzo.

Le Bizzare Avventure di Jojo - Vento aureo, ambientazione di Napoli
Napoli ne Le Bizzarre Avventure di JoJo – Vento Aureo. Un coacervo di luoghi comuni e, in certi casi, assurdità. Ma le immagini sono stupende!

Il risultato? Un disastro. A parte gli errori accennati tra parentesi, dovete sapere che: il Vomero non è il Centro; a Napoli nevica raramente e, quando accade, si tratta di nevicate per modo di dire; Piazza Garibaldi è molto distante dal Vomero e non c’è ragione di andarci a piedi; non esistono taxi abusivi guidati da tredicenni e i poliziotti, a Napoli, sono probabilmente più “cattivi” che nella maggior parte delle città italiane.

Ma soprattutto, la passeggiata notturna del protagonista avrebbe ben poco di romantico. Tra le prostitute che, di notte, danno fuoco ai cestini dell’immondizia per riscaldarsi e gli immigrati ubriachi/tossici che fanno gli spadaccini o rapinano gli sprovveduti, il Nostro rimedierebbe solo qualche coltellata. Ed è un peccato, perché San Lorenzo è davvero ricco di bellezze.

Morale: perderete qualunque credibilità di fronte al lettore informato. Ed è la cosa peggiore che possa capitarvi, perché a un tale danno non c’è rimedio. Il lettore non si fiderà più di voi e, con tutta probabilità, si rifiuterà di continuare a leggervi. O peggio, si accanirà su di voi per manifesta ignoranza.

Non finisce qui, purtroppo. Un’ambientazione improvvisata sortisce effetti deleteri su chiunque. Prendiamo un acquirente che di Napoli non sa proprio nulla: la mancanza di dettagli (dovuta alla vostra ignoranza) annullerà, di fatto, la specificità della vostra scelta, relegando l’ambientazione sullo sfondo. Essa non prenderà vita, non informerà il lettore, non gli permetterà di calarsi nel contesto.

L’avrete capito, a questo punto: l’accuratezza è regina quando si parla di ambientazione. Ciò si applica alle località reali quanto a quelle inventate. È importante che i vostri “mondi” siano studiati a puntino, prodighi di elementi, sensati e, sopra ogi cosa, verosimili. Cioè aderenti al vero della narrazione, come sottolineato da Wayne C. Booth in Retorica della Narrativa.

Parlo di coerenza interna, ovviamente, come di realismo negli aspetti che si rifanno alla realtà. In soldoni: se nel vostro mondo i maghi non debbono esercitare la magia di fronte ai babbani, non potete farli girovagare con scope e creature volanti in centro città come se niente fosse.

Quando si parla di universi speculativi si fa riferimento alla cosiddetta sospensione dell’incredulità, ovvero alla volontà del lettore di assecondare lo scrittore nelle sue speculazioni, per quanto strampalate.

Tale sospensione, però, viene a mancare se la speculazione infrange le sue stesse regole; se i calcoli matematici atti a postulare una qualche teoria si rivelano fallaci. Ed ecco che lo sguardo del lettore cambia: dal senso del meraviglioso si passa allo scetticismo, dalla curiosità al sospiro. La magia è irrimediabilmente scemata.

Dunque, come ottenere l’accuratezza necessaria e come implementarla nella storia? Semplice, bisogna studiare il contesto con impegno, a trecentosessanta gradi. Non c’è altro modo per essere accurati. Parlo di libri, documenti, giornali, ricerche sul web, video, interviste dal vivo, visite e così via. Più v’impadronite dell’ambientazione, meglio è.

Ambientazione Robert Louis Stevenson
«L’autore deve conoscere il suo territorio, reale o immaginario che sia, come le sue tasche». Robert Louis Stevenson

Per quanto riguarda la scrittura, vi rimando a un futuro articolo sulle descrizioni. Ciò che posso dirvi da un punto di vista strutturale è che l’ambientazione dovrebbe “costruirsi” nella mente del lettore poco alla volta, ma in modo netto ed evocativo. Il che significa poche immagini per scena, ma efficaci; descrizioni brevi e sparse nella narrazione, preferibilmente in movimento.

E qui si solleva una questione di particolare interesse. Se siamo ferrati e ci preme parlare del contesto, quante informazioni dovremmo far trasparire dalla narrazione? Su tale argomento mi trovo d’accordo con Jack Bickham quando esprime, nel suo Setting, la seguente opinione:

«I lettori, oggi, sono più informati di chiunque nel corso della storia. Ricevono più informazioni da un maggior numero di fonti rispetto ai lettori di dieci anni fa, e tendono a cercare ulteriori informazioni nei romanzi. Nell’attuale rivoluzione informatica, alcuni di essi sembrano provare rimorso nel leggere narrativa, a meno che non riescano a convincersi che stiano imparando qualcosa. Pertanto, avendo riscontrato questo trend tra i lettori, i romanzieri tendono a farcire le ambientazioni delle loro storie con molti più dati.
(…)
Ma ciò significa forse che non ci sia un limite pratico di dati da fornire? Assolutamente no. Dovete evitare di ammassare pagine e pagine di dettagli sulla vostra ambientazione».
Setting, "Ambientazione", di Jack Bickham
Setting, di Jack M. Bickham. Disponibile solo in lingua inglese. Potete acquistarlo a questo indirizzo

I dettagli sono di estrema importanza, oggi più che mai. Mi spingerei a dire che essi non siano un mero valore aggiunto, ma che costituiscano parte della ciccia e un pezzo d’anima della storia. I romanzi che riescono a coniugare generosità e profondità di dati con una struttura funzionante e una lettura piacevole sono tra quelli che ricordiamo con maggiore chiarezza.

Ma i romanzi non sono saggi. Pertanto, vi invito a sviscerare informazioni senza intaccare in alcun modo lo svolgimento della storia. Più che un invito è una sfida, poiché si tratta di un’operazione difficoltosa e che richiede assoluta maestria nella scrittura, oltre che una conoscenza perfetta del contesto.

… E se ve ne infischiaste?

I Pericoli di un’Ambientazione Generica

Avete sequenze, battute, personaggi non inerenti alla trama? State indebolendo il romanzo sotto molti punti di vista. Avete un’ambientazione imprecisa o poco attinente alla trama? Non avete un romanzo.

Un editor vi dirà (o intimerà) di tagliare le parti inutili. È inevitabile che un romanzo debba essere sfoltito o, in certi casi, squartato. Sapete che lo stile minimalista di Raymond Carver era dovuto, in gran parte, ai pesanti e numerosi interventi del suo editor? Per molti critici, il successo di Carver è proprio merito di Gordon Lish.

In narrativa si può tagliare il tagliabile e ottenere così una versione più elegante, concentrata e impattante del romanzo. Tuttavia, cosa accadrebbe se l’ambientazione stessa fosse superflua? Credete che l’editore accetterebbe il vostro manoscritto? Che l’editor accetterebbe di modificarlo?

No. Vi direbbero di scriverne un altro, o di riscriverlo daccapo.

Il rifiuto da parte di editori o agenti in base all’ambientazione è, invero, più frequente di quanto si pensi. Certo, esso può dipendere da fattori di gusto o mercato (di cui parleremo tra poco), ma non solo.

Gli autori alle prime armi spostano i personaggi a piacere, da un posto all’altro della loro vita reale o immaginaria; descrivono le ambientazioni con vaghezza o statico dettaglio; scrivono di fatti e personaggi che, per quanto brillanti, mancano di contesto. Cioè di sostanza.

Tra i difetti ricorrenti dei neofiti vi sono una scarsa conoscenza della materia trattata e, soprattutto, una pessima o non-esistente propensione alla ricerca. Unite ciò alla difficoltà di appropriarsi (e trasmettere) qualcosa di straniero, di lontano. Il risultato è sovente una schifezza.

Ciò ci porta al punto successivo…

Ambientazione Estera o Italiana?

Un gran numero di scrittori emergenti ambienta le proprie opere all’estero. Gli USA, ovviamente, restano il Santo Graal dello scrittore, ma l’Inghilterra, la Francia e la Germania sono ben quotate. Una menzione particolare va al Giappone, in netta salita rispetto al passato.

Perché questa tendenza? In primo luogo non c’è dubbio che, per alcuni, l’Italia risulti un po’ “stretta”. Parlo di quelle storie in cui le forze in campo sono soverchianti; degli intrighi internazionali, dell’Interpol e dell’FBI; dei romanzi ad ampissimo respiro geografico e/o storiografico; della literary fiction che si sposta da un salotto all’altro del mondo occidentale e così via.

Eppure, quando si parla di ambientazione italiana, c’è chi si sente limitato da tale scelta indipendentemente dalla trama che intende perseguire. Perché restringere deliberatamente le proprie opzioni? Il mondo è immenso e l’Italia è un chicco. Uno scrittore dovrebbe poter attingere dal serbatoio più grande per la sua creatività, invece di infiacchirla.

Tutto già visto, vero?

La considerazione di cui sopra non ha tutti i torti, ma pecca di ingenuità. È vero che il pianeta offre infinite possibilità, ma non è necessariamente un bene. Prima o poi una scelta bisognerà prenderla, scartando tutte le altre e restringendo il campo a una zona specifica. Allora sarà quel luogo a tiranneggiarci e a esigere la nostra anima.

Detto questo, la suddetta limitazione, nei fatti, non sussiste. Un miliardo di storie si possono scrivere su Napoli sola; un miliardo ne sono state scritte e un miliardo nessuno mai ne scriverà. Proprio l’Italia non può limitare la creatività, con la sua infinita ricchezza e varietà culturale. Ogni città ha una storia profonda e specifica, diversamente dalla maggior parte delle metropoli statunitensi.

Quanta esistenza ha interessato queste ultime, in media? Chicago, per fare un esempio, può contare su meno di due secoli di storia. Roma… tre millenni. Ma senza scomodare la Capitale, ci sono centinaia di paesini che risalgono all’Alto Medioevo o, addirittura, all’antichità. Potete immaginare, dunque, la desinenza culturale assunta da questi luoghi, ferma restando la radice comune o affine.

Altro motivo dell’infatuazione atlantica è, invece, il medesimo che condanna migliaia di neonati a una vita da Jessica, Christian, Thomas, Emily, Sharon, Daniel, Gabriel, Samantha eccetera. Si tratta, in altre parole, di pura e semplice esterofilia. Cristiano è meno fico di Christian; allo stesso modo, Roma è meno fica di New York.

Sarebbe interessante esplorare le ragioni del succitato sentimento, ma non è questo lo scopo dell’articolo. Sta di fatto che gli autori alle prime armi effettuano spessissimo tale scelta e gli editori ne sono coscienti. Leggere l’ennesima sinossi che parla di Londra accende alcuni campanelli d’allarme, tra cui quello che riguarda la fedeltà descrittiva.

L’America non è solo quella che vediamo in televisione o su Netflix; l’Inghilterra non è solo quella dell’Erasmus o della borsa di studio; il Giappone non è solo quello degli anime e dei manga. È presuntuoso pensare di poter trattare in modo dignitoso qualcosa che, in gran parte, rimarrà ineffabile fino alla fine delle nostre vite.

Ma soprattutto, è presuntuosa l’idea di poter primeggiare in qualcosa che non ci compete. A un italiano che parla d’America, il lettore e l’editore medio preferiranno un americano. A un terrone (come me) che parla della Scandinavia, si preferirà un autore del Nord europa. A una ragazzina che parla di samurai si preferirà un ex-kendoka giapponese.

Non c’è dubbio che l’italiano sia esterofilo. Lo è quello rozzo e lo è il radical chic. Tuttavia, è altrettanto vero che l’autore italiano viene visto con scetticismo quando si accosta a realtà estranee; ed è vero che un lettore virerà sull’autore straniero a parità di ambientazione e tematiche.

L’italiano è esterofilo, sì, ma apprezza le storie ambientate nel suo contesto. Nella sua città, nel suo paese, o in posti che visita spesso. Per non parlare di localismi estremi e campanilismi vari.

L’autore italiano non deve, a sua volta, scimmiottare quello estero. Perderebbe su tutta la linea. Se vogliamo che i lettori inizino a preferire gli Italiani, dobbiamo offrire qualità e unicità. Non c’è dubbio, poi, che in questo momento storico ci sia una particolare fame d’Italia nel nostro paese, da qualunque punto di vista la si guardi.

mappa cibi italiani
E voi avete già assaggiato tutto? (Cliccate per ingrandire)

I Pregi di un’Ambientazione Italiana

Ambientare le proprie storie in Italia, dunque, offre parecchi vantaggi. Uno di essi è, come detto, il sicuro interesse di coloro che si sentono “coinvolti” e la possibilità di espandere il mercato puntando su tale affinità. Basti pensare alla mole di libri che vengono sfornati quotidianamente su Napoli, sulla Sardegna eccetera.

Altro vantaggio è la non-competizione con gli appestanti autori statunitensi. Fortunatamente, quando sono gli anglofoni a scrivere dei contesti altrui la qualità è bassina. C’è da dire, poi, che il pubblico nordamericano ha una spiccata preferenza per il made in USA, perciò le produzioni esterofile (dal loro punto di vista) sono una minoranza.

Pensate anche a possibili presentazioni e incontri col pubblico. Un’ambientazione italiana ha alte probabilità di interessare librerie del posto e, soprattutto, associazioni culturali locali, nonché Pro loco e così via. Se avete scritto un fantasy ambientato a Palermo, per esempio, avrete almeno due nicchie da sfruttare: quella fantastica, per l’appunto, e quella palermitana.

Parlo, ovviamente, di un’ambientazione ben fatta, cioè di una vicenda speculativa che possa avverarsi a Palermo soltanto. Ci siamo capiti.

L’Italianità è spendibile e diversi editori se ne sono resi conto. Acheron Books, ad esempio, che fa del fantastico Made in Italy la sua bandiera. Ciò si può notare in titoli come Italian Way of Cooking di Marco Cardone; Eternal War – Gli Eserciti dei Santi di Livio Gambarini; Dark Italy, antologia di racconti del terrore ambientati nel nostro paese, e tanti altri.

Acheron Books

Per questo motivo Acheron accetta esclusivamente storie ambientate in Italia e, preferibilmente, legate al folklore, le leggende, l’arte o la storia del Bel Paese. Come NPS edizioni, che punta sull’ambientazione italiana in ottica culturale e folkloristica.

Come NeroPress, la cui redazione «leggerà con maggiore interesse le storie di ambientazione italiana (leggasi: non inviateci le solite “americanate” soprattutto se non avete mai vissuto negli Stati Uniti)». Come il progetto Italian Sword&Sorcery, le cui pubblicazioni puntano alla divulgazione del fantastico in ambientazione mediterranea.

Ma torniamo a noi. L’ambientazione italiana gode del beneficio della conoscenza diretta: potete scrivere del posto in cui vivete e che, pertanto, già vi appartiene in modo unico e intimo. Di un posto in cui vi recate spesso e che ha segnato ripetutamente la vostra vita. Di un posto in cui non siete mai stati, ma che conoscete attraverso amicizie, letture, studi…

La “breve” distanza, infatti, vi permetterà di fare un salto nel luogo scelto e di guardarlo coi vostri occhi. E poi, a dispetto di tutti i regionalismi di questo mondo, la forma mentis dell’italiano si somiglia da Trieste a Cagliari, con gli ovvi distinguo.

Certo, nulla di più facile per un napoletano d’immaginare un napoletano; per un romano di creare un romano e così via. Ma per un romano che abbia viaggiato almeno un minimo (o che abbia qualche amicizia), non dovrebbe essere difficile immaginare un milanese, un piemontese o un siciliano. Per non parlare dei territori limitrofi, che di norma si conoscono piuttosto bene.

Per di più, siamo in tantissimi ad avere consanguinei residenti od originari di altre regioni. O antenati, fidanzate, e così via.

Lo ripeterò fino allo sfinimento: il segreto di un’ambientazione efficace sono i particolari. Sono i particolari che permettono all’ambientazione di interagire con la trama e viceversa; sono i particolari che rendono i personaggi unici in virtù del setting in cui sono immaginati e posti. Noi umani siamo, non a caso, una combinazione di genetica e ambiente; come tali, i personaggi dovranno possedere un registro, una fisionomia e un modus pensandi coerenti all’ambientazione.

In narrativa, come nella vita, tutto è collegato e omogeneo. Ciò che scriviamo deve rispondere alle tante logiche della storia: alla Premessa, alla struttura che intendiamo adottare, alla trama, al ritmo narrativo, all’identità dei personaggi, al principio di verosimiglianza e così via.

Nulla deve essere lasciato al caso e, se non ci penserete voi, ci penserà il vostro inconscio a impartire un ordine a esso gradito. Lo stesso vale per l’ambientazione, nel romanzo e fuori dal romanzo. Il posto in cui vivete ha mai inciso sulla vostra vita per un ragione o per un’altra? Se foste nati altrove, sareste ciò che siete ora?

Perché, dunque, non dovrebbe accadere lo stesso in una storia?

Consigli Tecnici per un’Ambientazione Efficace

Un’ambientazione ragionata contribuisce all’atmosfera. Pensateci: passeggiare nel bosco di giorno o di notte provoca le stesse emozioni? Strisciare sul ciglio di un cratere in eruzione o sul materasso del proprio letto fa lo stesso effetto?

L’ambientazione giusta può aumentare la tensione o smorzarla; può generare disgusto, paura, ansia… o curiosità, fascino e via discorrendo. Diversi contesti imprimono diversi mood alla narrazione. Un dedalo di vicoli potrebbe instillare un senso di smarrimento; una vecchia casa, tristezza o nostalgia.

Ma un’ambientazione realistica non è solo una location. Bisogna considerare il periodo dell’anno, l’ora del giorno e il clima. Ognuno di questi elementi influisce sul luogo a tal punto da trasformarlo. John Truby riporta, su Anatomia di una storia, una breve lista per aiutare gli autori a scegliere il giusto clima per il giusto umore.

  • Fulmini e tuoni – Passione, terrore, morte.
  • Pioggia – Tristezza, solitudine, noia, intimità.
  • Vento – Distruzione, desolazione.
  • Nebbia – Offuscamento, mistero.
  • Sole – Allegria, divertimento, libertà, ma anche corruzione che si presenta sotto un piacevole aspetto.
  • Neve – Sonno, serenità, morte dolce e inesorabile.
Anatomia di una storia, John Truby
Anatomia di una storia, di John Truby. Ancora, Dino Audino editore. Potete acquistarlo a questo indirizzo

I punti di riferimento sono utili, per carità, ma tenete a mente che ciascuna ambientazione potrebbe produrre effetti differenti a seconda di come la descrivete, e di come la percepisce il personaggio punto di vista. Lo stesso vale per il clima.

Nella vostra storia, la neve potrebbe fungere da elemento “isolante” nei confronti dei personaggi, costringendoli a rifugiarsi in una baita. Oppure, potrebbe unirli in una battaglia di palle di neve, o nella costruzione di un pupazzo.

Se il protagonista soffre di vertigini, un bel panorama potrebbe assumere un’aura di brivido. Al contrario, non potrebbe che rappresentare un momento di tranquillità e soddisfazione. Gli effetti, come vedete, sono agli antipodi.

In ogni caso, è comune che il contesto risponda alle emozioni dei personaggi. È inevitabile, se state scrivendo con un punto di vista ben radicato in uno di essi. Se siete spensierati, passeggiare in un campo di rose vi renderà felici. Se siete depressi, la bellezza delle rose susciterà nostalgia, mancanza. E autocommiserazione.

Se non la scelta dei luoghi, la scelta dei dettagli mostrati in quei luoghi e la descrizione degli stessi saranno influenzate dello stato d’animo dei personaggi. Inoltre, così come questi ultimi, l’ambientazione deve evolversi durante la storia, così da rispecchiare i cambiamenti prodotti in seno ai nostri eroi.

L’ambientazione è portatrice di umori e sensazioni, ma non solo. Essa ha, di per sé stessa, un significato ed è pregna di simbolismo. Il bosco, l’isola, la montagna… ognuno di questi posti è una dimensione a sé, coi suoi miti e la sua collocazione nell’interiorità di tutti. È importante, quindi, che tale archetipo sia in accordo col messaggio veicolato dalla nostra storia.

Anche qui, Truby ci viene in aiuto con qualche parola. L’oceano può essere uno scenario onirico, utopico, tenebroso o potrebbe enfatizzare la competizione. Lo spazio interstellare porta con sé l’elemento di scoperta, di straordinario, esaltante o terrificante che sia. La foresta è contemplativa o, al contrario, crudele e letale. La giungla evoca il senso di soffocamento, di cambiamento, di animalità

Tra le altre cose, dunque, l’ambientazione è un mezzo attraverso il quale esternare cose non dette; rendere universale e intellegibile uno stato d’animo; tradurre in immagini e, pertanto, veicolare con efficacia messaggi importanti.

Vorrei citare, infine, un uso frequente che gli autori fanno dell’ambientazione, come rilevato da Jack Bickham. Parlo dell’aspetto unificante del contesto che, come una scenografia teatrale, funge da collante per la moltitudine di sviluppi, punti di vista e sottotrame che possono interessare una storia.

Ambientazioni improbabili

Grosso guaio a Chinatown, ma ambientato a Little Italy; Gomorra nella Londra vittoriana; American Pie a Tehran; Il Grande Gatsby sull’Isola d’Elba; I Croods nella Stazione Spaziale Internazionale; Bloodborne alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts; Dragon Ball in Transnistria; Il Nome della Rosa negli studi di Ciao Darwin; Viaggio a Tokyo a Pechino…

E voi che ne pensate? Quali sono le vostre ambientazioni improbabili?

Se avete apprezzato l’articolo, non dimenticate di leggere gli altri della rubrica Scrivere una Storia!

9 risposte

  1. Articolo davvero interessante ? . Devo ammetterlo, quante volte ho pensato a delle storie, e quante volte alcune le ho poi riportate scritte, ho sempre trascurato l’ambientazione… e invece qui scopro quanto sia in realtà essenziale.
    Non ricordo dove lessi un’altra cosa interessante, che mi hai fatto venire in mente quando hai parlato di stati d’animo e di dettagli: lessi un articolo in cui veniva posta l’attenzione su due modi diversi di narrare, per far entrare in empatia il lettore con il personaggio della storia. Nel primo caso, era descritto lo stato d’animo e il sentire del personaggio stesso; nel secondo, invece, il suo stato d’animo era descritto proprio attraverso la descrizione del paesaggio… ricordo quindi che la narrazione spingeva a sentire le stesse sensazioe del personaggio della storia, attraverso la descrizione della pioggia battente, il tempo buio, e, insomma, l’atmosfera in generale avrebbe “attivato” l’empatia nel lettore stesso.

    1. Grazie mille, Maria! Quello che riporti è proprio ciò che accade quando scrivi dal punto di vista del personaggio stesso: è lui a cogliere certi dettagli in accordo col suo stato d’animo, è lui a descriverli con un certo tono ecc. ed è inevitabile, quindi, che l’empatia emerga senza la forzata e inefficace necessità di spiattellare tutto (tipo “era triste”, “era felice” ecc.)

  2. Tutti belli colti esaustivi i tuoi articoli ( anche se scoprire che la scrittura di carven non era tutta farina del suo sacco è stato per me un colpo al cuore)
    Non dimentichiamoci comunque che Tolstoj ha scritto guerra e pace senza fare lezioni di scrittura creativa
    Comprero’ il tuo libro poi ne parliamo
    Ciao

    1. Ciao Paola, grazie mille dei complimenti! Posso dire di “razzolare” bene per quanto riguarda l’ambientazione, mentre per il resto… beh, ci provo! Fammi sapere se leggi qualcosa di mio!

  3. Ottimo articolo davvero. Mi rendo conto che spesso dedico poco spazio e pochi dettagli all’ambientazione, credendo che pensieri, parole e gesti del personaggio bastino a qualificarlo… ma in effetti non è affatto così, ci lavorerò!

    1. Ciao Elena, grazie mille e benvenuta! Pochi dettagli possono essere sufficienti a delineare l’ambientazione, purché siano davvero pregnanti e sensoriali. Cosa più importante, bisogna ricordarsi di dosarli nella narrazione, soprattutto quando si scrivono dei lunghi dialoghi. In quel caso è fondamentale spezzare le battute per riportare il lettore all’ambiente circostante (non vogliamo che si dimentichi del contesto in cui si trovano i personaggi, o che faccia fatica a orientarsi a dialogo finito)!

  4. Ho visto in un film, credo Angeli e demoni, tratto dall’omonimo romanzo di Dan Brown, la scena del ritrovamento di un cadavere a Roma. Arriva la polizia: sono le guardie svizzere, che chiamano ad esaminare la scena un cardinale. Ridevo da sola. Ho letto su Wikipedia che il romanzo è pieno di strafalcioni, e la prima edizione lo era ancora di più perché per le frasi in italiano era stato usato un traduttore. Mentre come ambientazione perfetta mi vengono in mente i libri di Salgari. E i grandi romanzi dell’Ottocento, è inutile dirlo. Credo che la civiltà dell’immagine ci abbia reso incapaci di trasmettere per iscritto una ambientazione; per superare questo impasse uno scrittore dovrebbe riuscire a disintossicarsi dalle immagini almeno per qualche giorno e, secondo me, stare un po’ in mezzo alla natura, che rallenta la mente (in senso buono).

    1. Ciao Antonella, sì, Dan Brown è diventato una meme per tutti gli strafalcioni con cui riempie i suoi libri! Gli Americani in generale, comunque, fanno solo disastri quando si tratta di ambientazione e lingua italiana… sarà che fanno riferimento agli italo-americani piuttosto che agli originali.

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Ciao,

Sono Giuseppe, scrittore, blogger, insegnante di scrittura creativa e coach narrativo! Sono alla costante ricerca di nuovi metodi per raccontare storie. Immersivita.it è il mio tentativo di condividere ciò che ho scoperto: benvenuti, e che il naufragar vi sia dolce in questo mare…

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