
Genere: science fantasy
Editore: Avon, Nord il 1 Gennaio 1969
Pagine: 266
Punteggio: 1.5/5
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Descrizione:
In una Terra del lontano futuro una spaventosa catastrofe ecologica ha provocato lo sprofondamento delle Americhe e la decadenza della potenza terrestre nello spazio. La società del Terzo Ciclo si è strutturata in corporazioni feudali ed attende l’arrivo degli invasori, gli alieni che hanno salvato l’umanità dall’estinzione e che verranno a reclamare il possesso del pianeta.
Ali della Notte, La Via per Perris & La Strada per Jorslem
Ali della Notte, o Nightwings, è un romanzo breve di Robert Silverberg, vincitore del Premio Hugo per il miglior romanzo breve del 1969, nominato al Premio Nebula del 1968 e vincitore del Premio Apollo del 1976. Si tratta del primo volume di una trilogia che comprende La Via per Perris e La Strada per Jorslem, riuniti in un unico romanzo intitolato, per l’appunto, Ali della Notte. Ed è di questo che andremo parlare; del Nightwings definitivo e non della prima, breve versione… che, per altro, ha riscosso i suddetti successi.

In realtà, i due romanzi brevi/racconti lunghi aggiuntivi erano stati concepiti come sequel naturali, perciò il lavoro svolto per adattarli a una narrazione unica è stato relativamente blando, a detta dell’autore. La suddivisione è tuttora visibile, giacché il romanzo è diviso nelle tre sezioni che hanno mantenuto il medesimo titolo. La tripartizione ricalca, in modo evidente, la struttura restaurativa in tre atti, con Ali della Notte che funge da introduzione o premessa, La Via per Perris che narra la maggior parte degli accadimenti e vicende interiori dell’eroe, e La Strada per Jorslem che chiude il tutto. Il protagonista stesso passa da uno stato di immaturità alla consapevolezza, dalla morte alla rinascita, nella solita successione di tesi, antitesi e sintesi. Ma ne parleremo meglio più avanti.
Quando si parla di Ali della Notte, è interessante notare come gli appassionati di fantascienza di vecchia data siano particolarmente affezionati al titolo, almeno nella mia esperienza; qualcuno arriva perfino a definirlo il capolavoro di Silverberg, la sua opera numero uno. No, non state avendo un déjà vu: ogni romanzo di Silverberg ha la sua schiera di fanatici che lo definiscono il capolavoro dell’autore. Ali della Notte gode del fascino della riprova sociale, a causa di tutti i premi vinti; non è neanche fantascienza tout court ma science fantasy, cioè un’opera che intreccia elementi fantastici alla Tolkien e basi scientifiche alquanto fantasiose.
La stessa genesi di Ali della Notte è piuttosto travagliata e difficilmente avrebbe portato a un capolavoro. Nel 1968 Silverberg era finito sulla strada a causa di un incendio che aveva distrutto la sua casa newyorchese. Gli servivano soldi per pagare le bollette e coprire i costi di riparazione. Ricordate, inoltre, che parliamo del ‘68, con tutti gli annessi e connessi. Ebbene, Silverberg riuscì a scrivere quell’anno Ali della Notte, romanzo breve da 12’000 parole che Frederik Pohl pagò ben 500 $, una cifra notevole per l’epoca. Fu allora che a Silverberg venne l’idea di scrivere due piccoli seguiti, da riunire successivamente in un romanzo.
Mi tocca ripeterlo per l’ennesima volta: si tratta di capolavoro, dunque? Scopriamolo insieme.
Sloppy Fantasy
Ali della Notte è un romanzo alquanto strano. Per cominciare, sembra un compendio di temi e idee che abbiamo visto in svariate opere dell’autore. La technobabble, di cui purtroppo il romanzo è farcito, ricorda Shadrach nella Fornace; la crescita spirituale del personaggio ricorda Il Libro dei Teschi; le esperienze extra-sensoriali della vigilanza e della comunione con la volontà si ritrovano nel suddetto Shadrach come ne Il Castello di Lord Valentine. La cornice science fantasy dell’opera condivide, con quest’ultimo, diversi aspetti: dalla catastrofe dell’umanità alla gestione delle razze aliene, fino ad alcuni particolari, come nel caso dei Sonnambuli e delle profezie dei sogni.
Silverberg non ha riciclato le idee de Il Castello di Lord Valentine, poiché questo è posteriore ad Ali della Notte. La comunanza di temi, soluzioni e linguaggio incomprensibile, però, fa pensare a una genesi comune. La differenza è che Il Castello di Lord Valentine è parte di una saga ben studiata in termini di world-building. Come già spiegato nella recensione, Silverberg si è speso particolarmente nella creazione di Majipoor, della sua storia e dei suoi abitanti. Di tutto ciò, però, non si scorge neanche l’ombra nel breve Ali della Notte. Colpa dei ristretti orizzonti dell’opera in embrione, ovvero del romanzo breve che compone la prima parte, ma non solo.

Silverberg mette un bel po’ di carne al fuoco, in apparenza. Una distopia futuristica con tanto di cronologia; un mucchio di razze aliene e geneticamente modificate; una società divisa in caste (i Mestieri) totalmente diversa dalla nostra; un bizzarro mix di ritrovati iper-tecnologici, in grado perfino di immagazzinare infinite conoscenze e prolungare la vita, e vecchiume; un pianeta Terra irriconoscibile, delle cui grandi città si ricordano a stento i nomi… e male, anche (Roum, Perris, Jorslem, Stambool ecc.). Le potenzialità ci sarebbero tutte, ma non c’è sostanza, a differenza de Il Castello di Valentine.
Il perché è presto detto: Silverberg si accontenta di accennare la maggior parte degli elementi, o di non mostrarli affatto, per focalizzarsi su quei pochi che intende sviscerare. Il risultato è ciò a cui mi riferivo prima: technobabble, ovvero tecnichese e ciance pseudo-scientifiche di cui non conosceremo mai il significato. Non contento, l’autore ci riempie di fantaballe di tutti i tipi senza degnarci di una descrizione o di un singolo esempio. Come ne Il Castello di Valentine, non abbiamo idea dell’aspetto della maggior parte delle specie aliene, ma non solo. Abbiamo idea di poco o nulla.
Ali della Notte è, forse, il romanzo più ricco di etichette che abbia mai letto. I sostantivi inventati da Silverberg fluttuano nel vuoto, privi di corrispettivi e scopo, mentre le rovine della Terra prendono vagamente forma nella nostra mente. Qualche descrizione ambientale c’è, per lo meno, sebbene i dettagli scarseggino, e lo stesso si può dire dei personaggi. Come suo solito, però, Silverberg non conosce le mezze misure e si sbrodola in infodumping estremi per illustrarci al meglio quel poco a cui tiene.
La già lenta narrazione viene spezzata senza pietà dalle spiegazioni in forma dialogica o dai monologhi interiori del personaggio. Ma non sono gli unici momenti che penalizzano il discorso, anzi: pensieri e dialoghi risultano a dir poco surreali, oltre che fin troppo comodi, in svariate scene. Riporto una delle più rappresentative, in tal senso, nello spoiler che inserisco di seguito. Attenzione: non aprite lo spoiler se non volete rovinarvi il finale del romanzo!
Quando Tomis ri-incontra Avluela, lei gli dice, tra le altre cose: «Oh, Tomis, cosa succederà quando ritornerai giovane? Lo sapevi che ti amavo? Per tutto il nostro viaggio, e ogni volta che dividevo il letto con Gormon o mi univo al Principe, eri tu il solo che volevo! Ma naturalmente eri una Vedetta, e la cosa era impossibile. D’altra parte, eri così vecchio… Adesso tu non Vigili più, e presto non sarai nemmeno più vecchio, e…». Ma guarda che caso, Avluela lo amava! Nonostante fosse un vegliardo un po’ tocco; nonostante non ci abbia mai fatto pensare nulla del genere; nonostante sia stata con altri, a seconda delle necessità narrative. E ora che la trama vuole che i due stiano insieme, ecco che Avluela, dal nulla, appare per riempirlo d’amore. Del resto, ci doveva essere un motivo per chiamare l’opera Ali della notte, no? Pessimo.
Come se non bastasse, gli elementi fantascientifici introdotti da Silverberg sono semplicemente assurdi. Non solo ipertrofici, intendo, ma concepiti male. Mi riferisco, per esempio, alle cuffie pensanti e alle ipertasche. Nel primo caso abbiamo delle postazioni sparse per le città in grado di collegare i cittadini con una riserva di cervelli usati a mo’ di server, che contengono un’infinità di dati e sono in grado di rispondere a qualunque domanda. Una sorta di Wikipedia ante-internet e a comando vocale, insomma, ma di gran lunga più bizzarra. Cervelli come hard disk? Come? Perché? È una scelta talmente insensata che non riesco a pensare a una ragione valida, oltre che a un modo, per realizzare qualcosa del genere.

I cervelli non trattengono neanche la loro conoscenza, sono semplicemente riempiti di dati esterni (provenienti, presumibilmente, da un macchinario… cioè un vero sistema di archiviazione dati. Perché non usare quello, allora?) Ma questo è niente rispetto alle ipertasche: le tasche di Eta Beta. Letteralmente. Parliamo di semplici tasche, di normali dimensioni, che possono contenere roba infinita e nelle quali frugano negozianti o persone che hanno bisogno di pescare qualcosa dal mucchio.
A parte che se esistesse una roba del genere saremmo probabilmente arrivati alla creazione di galassie con uno schiocco di dita, vi rendete conto della scomodità? Come può una mano frugare tra un’infinità di cose? Già avere tre oggetti in tasca è fonte di problemi, perché non è così facile acchiappare quello giusto o capire quale sia; figuriamoci se fossero… infiniti. Inoltre, la rotazione della mano ha una portata limitata e, anche infilando l’intero braccio nella tasca, non riuscirebbe a sfiorare più di una decina di oggetti.
La cosa peggiore di trovate come le cuffie pensanti, le ipertasche, il rinnovamento o l’ipercubo, è che risolvono qualsiasi problema alla radice, impedendo il sorgere di conflitti e scene interessanti. Sono deus-ex machina, perché scendono dal cielo, cioè dal nulla, quando la narrazione richiede il superamento di ostacoli particolarmente ostici. È un testamento della pigrizia di Silverberg nella stesura di Ali della Notte, alla luce della quale tutto acquista maggior senso. Non che sia la prima volta, eh; ricordate i deus ex de Il Castello di Lord Valentine?
Pensateci: Silverberg ha scritto il romanzo breve in un anno tumultuoso e ha composto i due seguiti a tempo di record, per poi riunirli nella versione che conosciamo. Aveva bisogno di soldi; non aveva certo il tempo o la voglia di scrivere un capolavoro. Non sto dicendo che Ali della Notte sia un penoso tentativo di cash grab (andato a buon fine, per altro). Del resto, non è un’opera priva di meriti, e a riprova di ciò si erge il Premio Hugo riscosso dall’autore. Premio che non vale un bel nulla, tanto per cambiare, ma tant’è…
La Notte di Silverberg
Come accennato precedentemente, il romanzo è diviso in tre parti, ognuna delle quali sufficientemente autonoma e, al contempo, integrata nella struttura globale. Non dimenticate che ciascun racconto apparve su rivista singolarmente e doveva risultare sensato e apprezzabile così com’era. Ogni parte mantiene, infatti, il ritmo di un’opera a sé stante: partenza lenta, sviluppo e conflitti, finale con tanto di rivelazione/colpo di scena. I rivolgimenti sono, invero, più numerosi della norma per questo motivo, nonostante l’opera resti nell’alveo della narrativa breve.

Il fatto che si trattasse di storie separate, però, si nota anche in senso negativo. La gestione dei personaggi, in Ali della Notte, mi ha fatto sorgere non pochi dubbi su come Silverberg abbia gestito il fix-up. Abbiamo il nostro protagonista, ovviamente, che narra dall’inizio alla conclusione, e una serie di personaggi che appaiono e scompaiono a comando. Il motivo è presto detto: siccome ciascun racconto doveva funzionare anche da solo, trascinare gli stessi personaggi e re-introdurli in ogni storia non avrebbe avuto senso. Personaggi nuovi per storie nuove, ecco la soluzione migliore.
O forse no, perché perfino il personaggio più importante (dopo l’eroe) si volatilizza dopo la prima parte. Quelli che pensiamo saranno i personaggi principali, ci lasciano; quindi, i personaggi principali della seconda parte fanno altrettanto e… indovinate? La terza parte non fa eccezione. In Ali della Notte sono tutti comparse e no, ritrovarli in dei camei qua e là non cambia nulla. Solitudine e vuoto dominano la storia, almeno fino al climax, dove riacquista una parvenza di senso. Non a caso, credo si tratti del momento migliore dell’opera.
Tornando ai personaggi, è un peccato che l’autore abbia optato per una scelta simile, ma Silverberg rimane Silverberg. Il che significa che la banalità non appartiene alle sue opere, se non per rarissime eccezioni. La maggior parte dei personaggi sono ben caratterizzati e per nulla scontati, come il protagonista stesso. Ancora, l’introspezione la fa da padrona; non siamo ai livelli di Morire Dentro, neanche lontanamente, ma le riflessioni di Silverberg e del suo eroe risultano profonde e stimolanti, il più delle volte.
Non tutte le volte, sia chiaro, anche a causa dell’infodumping e dei pensieri surreali a cui accennavo prima. E, come detto, non tutti i personaggi sono a tutto tondo; quelli che non lo sono appaiono monodimensionali o non vengono minimamente sviluppati. In realtà, nonostante si attesti ben al di sopra della media, il Silverberg di Ali della Notte è decisamente sottotono rispetto alla sua media. Non aiutano certe cadute, in fatto di personaggi, che commetterebbe un autore alle prime armi.

Mi riferisco, per esempio, alla comparsa di un personaggio potenzialmente interessante, che viene descritto a più riprese e… muore nel giro di un paio di pagine. Quel personaggi non assolve ad alcuna funzione narrativa, non fa nulla, non serve letteralmente a niente. Perché diamine è stato inserito? Beh, data la sua natura, la motivazione è chiara: per fare colore. Ecco cosa accade quando si scrive di fretta e per racimolare quattro soldi.
L’aspetto peggiore di Ali della Notte non sono neanche i personaggi, a essere sinceri. È lo stile, e in questo, ancora, ricorda Il Castello di Lord Valentine. La differenza è che quest’ultimo presenta (poche) situazioni e scene in cui la prosa brilla, le descrizioni sono eccellenti e stimolanti e l’autore riesce a somministrare al lettore muri di testo come fossero i versetti di una ballata. Un’abilità unica, da parte dell’autore: non importa quanto faccia cagare la trama o quanto poco interessante sia il tutto, Silverberg riesce sempre a renderlo piacevole da leggere.
Ebbene, Ali della Notte rimane, miracolosamente, piacevole da leggere, ma momenti brillanti proprio non ce ne sono. Neanche uno. L’autore si sbrodola in una prosa iper-aggettivata e ricca di avverbi, vuota di immagini e significati ma ricca di lirismi d’accatto come mai prima d’ora. Le soluzioni poetiche non sono lontanamente al livello di quelle di Morire Dentro, de L’Uomo Stocastico o Il Libro dei Teschi, badate: è roba già sentita, acquosa, buttata giù in fretta. Pochi dettagli, poco impatto.
Eppure, lo ripeto: Ali della Notte si fa leggere. Anche se, a ben vedere, ciò si deve alla brevità dell’opera e all’abbondanza di dialoghi, oltre che all’abilità dell’autore. Non credo sarei riuscito ad andare avanti per molto, se non si fosse trattato di un romanzo breve.
In città individuammo quasi subito la bottega di Bordo l’Artefice. Era un uomo tozzo dal volto lentigginoso, la barba grigia, un tic a un occhio e il naso schiacciato, ma aveva dita delicate quanto quelle di una donna. La sua bottega era un ambiente buio con polverosi scaffali di legno e piccole finestre; la costruzione poteva avere anche diecimila anni. Alcuni oggetti di scelta raffinata erano in mostra. La maggior parte no. Ci osservò con occhi guardinghi, chiaramente sconcertato al vedere che una Vedetta e un Pellegrino si rivolgevano a lui.
Ali della Notte, pag. 95-96
A una gomitata del Principe dissi: – Il mio compagno ha bisogno di occhi.
– Ne faccio un tipo, sì. Ma sono cari, e ci vanno mesi per costruirli. Superiori alle possibilità di un Pellegrino.
Deposi un gioiello sul bancone consumato dal tempo. – Abbiamo possibilità.
Scosso, Bordo afferrò il gioiello, lo girò da una parte e dall’altra e vide il fuoco di altri mondi sfavillare nel cuore della pietra.
– Se tornerete al cader delle foglie…
– Non tenete occhi in negozio? – chiesi.
Lui sorrise. – Ne vendo così pochi… E teniamo poco assortimento in negozio.
Misi sul bancone il globo celeste. Bordo lo riconobbe immediatamente come l’opera di un maestro, e spalancò la bocca per la sorpresa. Appoggiò il globo su un palmo e prese a tormentarsi la barba con l’altra mano. Glielo lasciai ammirare quel tanto che bastava perché se ne innamorasse, poi lo ripresi e dissi: – L’autunno è così lontano… Dovremo rivolgerci altrove. A Perris, forse. – Presi per il gomito il Principe e ci avviammo lentamente verso la porta.
– Fermatevi! – gridò Bordo. – Fatemi fare almeno un controllo! Forse posso averne un paio da qualche parte… – E si mise a rovistare furiosamente nelle ipertasche montate sulla parete di fondo.
Fra quanto aveva in negozio c’erano occhi, naturalmente, e io mercanteggiai un poco sul prezzo finché non ci accordammo per il globo, l’anello e un gioiello. Il Principe rimase silenzioso per tutta la transazione. Io richiesi l’installazione immediata e Bordo, annuendo eccitato, chiuse bottega e s’infilò una cuffia pensante, con cui chiamò un Chirurgo dal viso giallastro. In breve cominciarono i preliminari per l’intervento.
Conclusione: sconsigliato!
Contro:
- Tecnichese, fantaballe e sostantivi inventati a profusione, privi di riferimenti e descrizioni.
- Un’ammucchiata di idee che Silverberg riprende in tanti altri romanzi… e sviluppa in modo simile.
- Tanta carne al fuoco, poca sostanza.
- Tanto infodumping e pensieri/dialoghi surreali.
- Elementi fantascientifici inverosimili.
- Deus-ex machina.
- Pessima gestione dei personaggi.
- Prosa decisamente sottotono.
Pro:
- Introspezione decente.
- Alcuni personaggi ben caratterizzati.
- Scorrevole, nonostante tutto.
- Finale interessante; qualche spunto letterario.
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2 risposte
È sempre un piacere leggere le tue recensioni 🙂 . Da quello che scrivi questo romanzo non mi stuzzica affatto anche perchè odio quando una storia è piena di deus-ex machina, e questo libro sembra avere molti più difetti del Castello di Lord Valentine. È vero che in generale i libri di Silverberg si fanno leggere, anche se non sono niente di che. Personalmente non penso che perderò del tempo dietro a questo romanzo, non mi stuzzica abbastanza 🙂 A presto con una nuova recensione.
Grazie Toradora! Onestamente, non te lo consiglio. Silverberg ha scritto decisamente di meglio.